Io sono un ungarettiano convinto.. Fin dai lontani tempi scolastici, davanti al poetico dilemma: preferisci il versante ungarettiano della 'parola nuda' o quello più discorsivo di Montale, rispondevo senza indugio Ungaretti! Ah, l'ineffabilità ungarettiana! Dopo di che, è ovvio, bisogna fare i conti con tanta estatica ammirazione. E' una cosa che mi capita con qualsiasi nume tutelare io abbia scelto in qualsivoglia manifestazione artistica. Se uno si sceglie un 'maestro', d'altra parte, non può far altro che studiarlo, copiarlo, usarlo, in definitiva parodiarlo.
E allora ecco il frutto di tanto amorevole studio:
Annego
In un calice
Di limpida acqua
P.S. Di questa poesia ho curato la stampa in dodici esemplari in carta debitamente riciclata, che contiene anche l'autoritratto dell'Autore da Giovane e una sezione (auto)critica dove si pongono le basi per uno studio approfondito delle varianti.
(Fausto Bottai)
Intervento n.1 -Che dire? Certo il Poeta non può prosaicamente confessare, come un qualsiasi comune mortale, di.. stare affogando in un bicchier d'acqua! Annegare in un calice.. è tutta un'altra cosa! Poi bisogna notare come quell'accenno alla limpidezza dell'elemento in cui il Poeta sprofonda offre immediatamente dell'evento una lettura, come dire, meno drammatica di quel che potrebbe sembrare a prima vista.
Perdersi, dicevo. E qui calza a pennello un cenno ad una delle varianti, poi abbandonate. So per certo che la poesia diceva infatti in un precedente versione:
Mi sono perduto
In un calice
Di limpida acqua
Qui l'intento indubbiamente metaforico dell'enunciato sembrerebbe reso molto più icasticamente! Se già è difficile annegare in un bicchier d'acqua, perdercisi, poi.. Si nota anche l'esplicito richiamo ad uno dei 'topoi' preferiti dalla Poesia di tutti i tempi, quasi un richiamo ancestrale: il perdersi, appunto, lo smarrirsi.. Perfino Dante, che era uno tosto, 'si perde' e tutto quel che segue (cioè l'intera Commedia)
è la logica conseguenza di quello smarrimento:
Io non so ben ridir com'io v'entrai,
tanto era pien di sonno in su quel punto..
(Inferno,I, vv.10-11)
Intervento n.2 -Ma allora perché il Poeta ha rinunciato a questa versione, in cui era così esplicito il richiamo a questo comune destino della Poesia? Perché è tornato ad un termine più pregnante, dato il contesto letterale del verso? Ebbene.. ricordate il Leopardi? Ecco come conclude l'Infinito:
Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Questo insigne precedente potrebbe aver indotto il Poeta a ritenere che la forza metaforica dell'annegamento non fosse inferiore a quella dello smarrimento (e, volendo, neanche a quella dello sventramento o della decapitazione)… Ha errato?... Ai posteri l'ardua sentenza.
(Fauvel)
Errata corrige: il testo pubblicato in questa pagina conteneva le brevi note introduttive alla poesia scritte dall'autore e un commento di Fauvel suddiviso in due interventi.. Ora dovrebbe essere tutto più chiaro.
(Fausto Bottai)
Nessun commento:
Posta un commento