domenica 31 agosto 2014

Guitars Speak: le chitarre contemporanee di Alessandra Novaga e Giacomo Fiore


Mercoledì sera alle 21 ricomincia Guitars Speak il programma radio interamente dedicato alla chitarra, sempre sulle frequenze di Radio Voce della Speranza.

Wednesday at 9PM Guitars Speak will start again the radio program entirely devoted to guitar, always on Radio Voce della Speranza

In questa prima puntata ascolteremo i nuovi lavori discografici, "La Chambres dex Jeux Sonores" e "IV electric american guitar",  usciti nel corso dell'estate del 2014 da parte di Alessandra Novaga e Giacomo Fiore. Due interessanti uscite discografiche, una in Cd e l'altra in Lp, interamente dedicate al repertorio contemporaneo e eseguite con chitarre elettriche.

In this first episode we will listen to two new records, "The Chambres dex Jeux Sonores" by Alessandra Novaga and "IV american electric guitar" by Giacomo Fiore, released in the summer of 2014. Two interesting releases, one is a Cd and the other a Lp, entirely dedicated to contemporary repertoire and performed with electric guitars.






venerdì 29 agosto 2014

Lou Harrison / Played by John Schneider / sound. at the Kings Road Park Pavilion: Just Guitars


John Schneider (born 1950) is a classical guitarist. He performs in just intonation and well-temperament, including pythagorean tuning, including works by Lou HarrisonLaMonte YoungJohn Cage, and Harry Partch. He often arranges pieces for guitar and other instruments such as harp or percussion.
Schneider is a professor of music at Los Angeles Pierce College.



giovedì 28 agosto 2014

Keep calm and ... Guitas Speak is back


MERCOLEDI' 3 SETTEMBRE TORNA, PER IL QUARTO ANNO, IL PROGRAMMA RADIO "GUITARS SPEAK" SULLE FREQUENZE DI RADIO VOCE DELLA SPERANZA

WEDNESDAY 3th SEPTEMBER THE RADIO PROGRAM "GUITARS SPEAK" WILL BE BACK ON RADIO VOCE DELLA SPERANZA 

mercoledì 27 agosto 2014

Recensione di Perpetual Frontier / The Properties of Free Music di Joe Morris, Riti Publishing, 2012



Lavoro davvero interessante questo libro realizzato da Joe Morris, chitarrista, contrabbassista, compositore e improvvisatore statunitense, interamente dedicato alla Free Music, nicchia musicale di origine prevalentemente newyorkese che integra al proprio interno elementi tratta dalla musica contemporanea, dal free jazz, dalla libera improvvisazione e dalla musica etnica.
Se mi è permesso fare una comparazione, questo libro può stare comodamente a fianco dei volumi della serie Arcana edita da John Zorn e al fondamentale Improvisation: Its Nature and Practice in Music di Derek Bailey.
L’obiettivo del libro è infatti quello di formulare una precisa analisi delle caratteristiche improvvisative e compositive che accomunano la comunità di musicisti che da diversi anni si dedicata con assiduità e impegno alla Free Music. E’ singolare che, come già per il libro di Bailey e per quelli editi da John Zorn, siano gli stessi musicisti a impegnarsi in questo gravoso compito. Come mai questa particolarità? Concordo sul fatto che questo genere musicale non goda né di molta popolarità e seguito né che sia particolarmente semplice da descrivere e interpretare, anche tecnicamente, però trovo che questa sia l’ennesima dimostrazione di una grave carenza da parte del giornalismo musicale, carenza che in pratica costringe i musicisti stessi a improvvisarsi (scusate il gioco di parole) loro stessi giornalisti e informatori del loro pubblico.




E devo anche dire che ci riescono decisamente bene: il libro di Morris è ottimo e ha il grande pregio di non solo dare delle informazioni tecniche sulle caratteristiche che riguardano l’improvvisazione e la composizione, ma anche di dare una prospettiva storica sullo stato dell’arte della Free Music, citando e spiegando correttamente anche le diverse “sorgenti musicali” (Unit Structures, Harmolodics, Tri-Axiom Theory e European Free Improvisation) da cui la Free Music attinge e corredando il tutto con 15 interviste a musicisti direttamente impegnati e collegati con questo genere musicale.

Attenzione non si tratta di un libro strettamente tecnico, nel senso che non ci sono all’interno consigli specifici o metodologie tecniche da dover seguire per poter suonare Free Music, ma piuttosto un’analisi dettagliata delle caratteristiche stesse della Free Music e delle filosofie che accomunano la comunità di musicisti che si muove in questo ambito musicale. In questo senso trovo si tratti davvero di un ottimo lavoro, impegnativo e coraggioso nello stesso tempo, un libro che non solo conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, le doti e la statura musicale di Morris, ma anche le sue complesse e articolate capacità di analisi e di pensiero musicale. Non per nulla Joe Morris è un chitarrista ….

martedì 26 agosto 2014

Review of Perpetual Frontier / The Properties of Free Music by Joe Morris, Riti Publishing, 2012


One of the most interesting book I have read this year, this work written by Joe Morris, American guitarist, bassist, composer and improviser, entirely dedicated to Free Music, musical niche mostly based in New York that integrates elements drawn from contemporary music, free jazz, free improvisation and the ethnic music.
If I shall make a comparison, this book can stand comfortably alongside the volumes of the Arcana series published by John Zorn and the fundamental Improvisation: Its Nature and Practice in Music by Derek Bailey.
The aim of the book is to formulate a precise analysis of the improvisational and compositional characteristics that unite the community of musicians who for many years devoted himself with assiduity and commitment to Free Music. It 'strange that, as for the book by Bailey and those published by John Zorn, are the same musicians to engage in this difficult task. Why is this worth mentioning? I agree that this kind of music does not enjoy much popularity nor that it is particularly easy to describe and interpret, even technically, but I find that this is a further evidence of a serious failure on the part of music journalism, this deficiency forces musicians themselves to improvise themselves (excuse the pun) their own journalists and whistleblowers of their audience and music.




And I must also say that they succeed remarkably well: Perpetual Frontier is great book and has the great advantage of not only give technical information about the characteristics that affect improvisation and composition, but also give you a historical perspective on the state of 'art Free Music, quoting and explaining correctly even different "music sources" (Unit Structures, Harmolodics, Tri-Axiom Theory and European Free Improvisation) from which the Free Music draws and adding to it all with 15 interviews with musicians directly involved and connected with this kind of music.
Please note this is not a strictly technical book in the sense that there are no specific recommendations within or technical methodologies from having to follow in order to play Free Music, but rather a detailed analysis of the characteristics of the same Free Music and philosophies that unite the community of musicians that moves in this field of music. In this sense, I find it is really a great job, challenging and brave at the same time, a book that not only confirms, if ever it were needed, the skills and the musical stature of Morris, but also his complex and analytical skills and musical thought. But we know … Joe Morris is a guitar player...


domenica 24 agosto 2014

Intervista a Tommaso Ieva di Giuseppe Chiaramonte


GIUSEPPE CHIARAMONTE 
Iniziamo da lontano. Tu sei nato in Germania e lì hai vissuto per la maggior parte del tempo, a parte una parentesi di alcuni anni in Italia, dove hai ricevuto una prima e importante formazione musicale. Musicalmente (ma non solo) parlando, ti manca l’Italia? Pensi di tornare un giorno? 

TOMMASO IEVA
Dunque, dal 1985 al 1995 ho vissuto in Italia, dove ho ricevuto la mia prima formazione in chitarra classica presso l'associazione “Amici della musica” di Andria, ho goduto di una preparazione molto solida e “classica” che si concentrava su una preparazione fedelmente orientata al vecchio ordinamento vigente presso il conservatorio di Bari. L'Italia è relativamente vicina dal punto di vista geografico, mi mancano ovviamente tantissime cose tra cui i legami indelebili con la mia radice culturale nonché patria e madrelingua, ma per fortuna ho spesso la possibilità di rientrare per brevi periodi, pertanto riesco in parte a colmare la mancanza. E' difficile affermare di poter rientrare in via definitiva, in quanto esiste attualmente una situazione particolarmente proibitiva un po’ per tutti i giovani, l'auspicio è di ritrovare un giorno un tragitto percorribile, anche se devo ammettere che non è facile intravederne una realizzazione.

G.C. 
Si sente spesso dire che l’Italia non è un paese per musicisti, per tutta una serie di motivi. Cosa ci dici della Germania? 

T.I.
Parlando dell'Italia credo che tutti siano concordi nell'affermare che si tratti di un Paese che in passato (come ancora oggi) ha saputo dare un'indelebile traccia ed un notevole apporto nella divulgazione e sviluppo di tutte le arti, spiccano di epoca in epoca i grandi maestri, partendo da quelli rinascimentali, fino a giungere a quelli contemporanei. Secondo me il nocciolo della questione è che la nostra condizione attuale è una condizione poco agiata a causa di un ambiente difficile. A rendere le cose ulteriormente complicate è il dato di fatto che in altri campi professionali è magari meno arduo ed estenuante affermarsi e guadagnarsi da vivere. Il problema maggiore è la scarsa valorizzazione dei nostri talenti, spesso si assiste alla commercializzazione e divulgazione di tutto ciò che è immediato e passeggero, forse è nel nostro “Zeitgeist”, come direbbero i tedeschi, negare al musicista di classe emergente quel sostegno a volte determinante; a mancare è soprattutto un “Leitmotiv” che potrebbe spingere i più dotati verso indelebili orizzonti, raggiunti dai nostri avi. E' una questione legata alla mentalità contemporanea di fondo e con ogni certezza anche alla mancanza di una rete strutturale ed istituzionale pronta ad investire in una elevata qualità formativa, non contribuendo in maniera sufficiente a creare le premesse per un risvolto professionale duraturo e stabile. Si finisce quindi nella rete della precarietà che soffoca tanti talenti sul nascere. La Germania è dotata di una politica giovanile protesa ad investire, la mentalità consiste nel fornire servizi sempre più competitivi;  esiste pertanto, vicino al settore industriale trainante, una possibilità, per il campo artistico-culturale, di funzionare. Ne scaturiscono tante opportunità dove è sicuramente possibile portare avanti progetti importanti. Le istituzioni forniscono possibilità anche se non posso negare che sono subentrate restrizioni anche qui negli ultimi tempi.


G.C.
Nella nostra ultima chiacchierata mi dicevi che come docente hai tantissime richieste, suppongo che ci sia una particolare sensibilità da parte delle famiglie, delle istituzioni etc. verso la didattica musicale. Nel contempo tu sei un concertista, registri dischi e organizzi da qualche anno un importante Festival Internazionale a Vaihingen (Gitarrentage Vaihingen), di cui parleremo dopo. Come riesci a conciliare tutti questi impegni e, soprattutto, se dovessi ordinare per priorità le tue attività di docente, organizzatore di eventi, concertista, quale sarebbe quest’ordine?

T.I.
A volte mi pongo la stessa domanda, analizzando la mole di lavoro scaturita ed assolta nel corso di un anno di lavoro, rivisitando tutti i compiti svolti , riflettendoci mi rendo conto delle proporzioni ciclopiche che comporta il coordinamento di questi ambiti che comunque hanno una peculiarità in comune, dato che da un certo punto di vista si correlano e completano tra loro. Credo sia possibile conciliarli attraverso la tenacia, il duro lavoro, la determinazione nel riuscire a portare tutti i compiti al termine, la forza di volontà e soprattutto la pianificazione immediata ed attenta. Certo, gestire e portare a termine un festival intero, dove oltre a dirigere, pianificare, eseguire un concerto al contempo ho svolto compiti amministrativi, devo ammettere è un compito tutt'ora non facile, tuttavia di fatto ad oggi siamo giunti alla 4a edizione che attesta la risolutezza con cui è stata pianificata ogni stagione ed edizione dello stesso. Alla fine contano i fatti e le ottime recensioni ricevute che ricaricano di energia positiva il festival dotato di un'atmosfera più unica che rara. Al di là di qualsiasi cosa che a seguito di una maggiore esperienza possa ancora crescere, il festival sembra essere partito collocandosi tra gli eventi culturali di spicco e maggior apporto internazionale siti nella cittadina di Vaihingen. E' sicuramente come uno dei più innovativi nel panorama chitarristico internazionale che riesce a coinvolgere chitarristi provenienti da tutti i continenti.
Conciliare e correlare tra loro queste attività è stato da sempre un sogno, posso affermare di aver saputo avverare in una parte della mia vita questi tre campi quasi in conflitto tra loro, non vorrei dare un ordine prioritario a l'una o l'altra attività svolta. Ma sono convinto che esse siano correlate tra loro da un vincolo che le intreccia a volte favorendole, a volte portandole in contrapposizione tra loro, ma esse si incontrano, si mescolano dando vita ad unicum di straordinaria vitalità ed intensità. L'attività pedagogica con allievi di tutte i ranghi, come i concerti in Italia e fuori ed il costante scambio e lavoro di collaborazione, organizzazione e contatto con i colleghi hanno fruttato risultati interessanti, producendo nuove opportunità condivise e apprezzate da tanti.  


G.C.
Come esecutore hai un repertorio che spazia dalla musica rinascimentale alla musica contemporanea, ma vorrei sottolineare soprattutto l’importanza che dai alle trascrizioni, per le quali proponi un taglio molto personale, con l’utilizzo anche di effetti ricercati sulla chitarra classica che stanno avendo un bel successo tra il pubblico e tra i colleghi chitarristi. Vuoi fare qualche esempio?

T.I.
Sicuramente è la trascrizione di “Libertango”,  unica nel suo genere per come è stata ideata, che ha da sempre riscontrato il plauso da parte di pubblico e colleghi. Nella stessa ho applicato una tecnica ibrida a cavallo tra percussione della mano destra e percussioni della mano sinistra che nel contempo tracciano anche il ritmo armonico. E' questa miscela semplice ed efficace  a rendere il brano interessante, mi auguro che presto sarà possibile ascoltarlo su Youtube ed inoltre ho deciso di pubblicarne una trascrizione sul mio sito Web in allestimento anche se qui dovrò, prima ancora di affermarlo con certezza, accordarmi con la Curci G.m.b.H. e la GEMA di Berlino, che in collegamento con Milano ha il potere di dare il via libera. Un altro aspetto interessante è che nello stesso brano esiste una sezione intermedia di cui io stesso ne sono scrittore in sintonia con tutta Libertango, questa parte apporta un ampliamento interessante e discreto che non ne sconvolge la stesura originale, rispettando la scrittura di A. Piazzolla e rendendola una trascrizione unica con un'impronta del tutto personale ed originale.

G.C.
Sta per uscire un tuo disco dal titolo “La Catedral”. Vuoi darci delle anticipazioni sulla scelta del repertorio, la scelta del titolo...? Vogliamo incuriosire i nostri lettori…

T.I.
Il mio primo lavoro che sarà pubblicato in autunno. Il CD è uno spaccato di diverse epoche. Partendo dall'epoca rinascimentale giungerò fino alla musica contemporanea. Ho deciso di intitolarlo "La Catedral“ in omaggio ad Augustine Barrios, la cui morte ricorre 70 anni fa. Ci saranno alcuni pezzi molto interessanti di Dowland, poi Narvaez, Rodrigo, Tarrega, Stepan Rak e tanti altri ancora …
Il CD e' nato durante diverse fasi. E‘ interessante perché varia molto anche dal punto di vista del suono; ho utilizzato diverse soluzioni timbriche adoperando il capotasto, usando diverse chitarre ...

G.C.  
Che strumenti usi solitamente per le tue performance? Quali sono gli strumenti che preferisci? Usi gli stesso strumenti per registrare e per suonare dal vivo? Mi parlavi anche di una fedele riproduzione di una Stauffer del periodo romantico con la quale suonare il repertorio della prima metà del XIX secolo, hai già delle registrazioni con questo strumento?

T.I.
Di solito uso una chitarra Stauffer nella parte iniziale, che adopero anche per la musica antica, il suono si presta molto bene anche per dare un carattere più autentico alla musica rinascimentale, ad esempio, una sorpresa!, cosa che non avevo minimamente tenuto in considerazione quando ordinai lo strumento, infatti credevo di usarla solo ed esclusivamente per suonare compositori romantici, finché riscontrai che il suono è davvero molto più „universale“ di quanto si possa immaginare. Altrimenti ho strumenti tedeschi innovativi come ad esempio una chitarra costruita da Carl Herrmann Schaefer, di cui spicca molto sia la volumetria che la rotondità del suono. Ho inoltre una chitarra tradizionale che si rifà a Torres, costruita da Nikola Minev, molto bella, le cui timbriche sono particolarmente indicate per l'interpretazione di Tarrega e compositori dell‘epoca tardo romantica spagnola oltre che quelli del novecento storico nostrano.


G.C. 
Cambiamo argomento, e parliamo finalmente del Festival Internazionale Gitarrentage Vaihingen. Ho dato uno sguardo al programma del 2014 e agli artisti presenti e devo dire che è veramente notevole da tutti i punti di vista. C’è spazio per giovani esordienti così come per chitarristi affermati, ci sono numerosi concerti, conferenze e masterclass, e via dicendo. E poi c’è  spazio per diversi generi musicali (classica, flamenco, jazz…). Un festival a 360 gradi insomma.  Ma lascerei la parola a te. Vuoi parlarci di come è nato questo evento? Com’è la risposta della gente e delle istituzioni di Vaihingen e dintorni? E, in particolare, quali sono le novità dell’edizione di quest’anno, dove avrò l’onore di partecipare anche io?

T.I.
Nel 2010 suonai su invito del direttore di una delle scuole dove iniziai la mia attività di insegnante, nella chiesa ormai sconsacrata ed adibita a sala auditorium di Vaihingen, notai immediatamente le eccellenti qualità acustiche di cui essa era dotata. Ricordando l'esperienza di altri festival frequentati a Nuertingen, Wetzlar oppure Darmstadt mi venne in mente l'idea di provare a condividere le potenzialità della sala con altri chitarristi, non immaginando ancora che da lì avrei addirittura creato le premesse per un festival il cui risvolto e la cui crescita hanno ad oggi contribuito a dare spazio sia ai giovani ( vedasi Jugendgitarrenorchester Baden Wuerrtemberg ), che ai chitarristi affermati, come ad esempio Heike Matthiesen, Giulio Tampalini, Stefan Hladek, oppure giovani talenti ormai affermati come ad esempio David Dyakov, Francesco Teopini, Antonio Malinconico e tantissimi altri ancora che non sto qui ad elencare perché basta consultare il mio sito: http://gitarrentagevaihingenenz.jimdo.com/.
Ho creato il festival per dare spazio e rilievo a tutti. Una particolare attenzione rivolgo ai giovani chitarristi dotati in cerca di una seria possibilità di esibirsi. Ho fatto del mio meglio per creare sinergie con realtà locali, ma ho anche coinvolto artisti provenienti da tanti paesi diversi, così facendo abbiamo avuto ad oggi (e siamo giunti soltanto alla quarta edizione) chitarristi provenienti da ogni dove. E non soltanto chitarristi, anche
percussionisti, ballerine, cantanti, violinisti e cosi via, dato che la musica cameristica con la chitarra trova sempre un posto di rilievo nelle diverse edizioni.  La gente è man mano aumentata di edizione in edizione e a oggi abbiamo riscontrato un ottimo supporto grazie soprattutto alla gentile attenzione e sensibilità del
comune di Vaihingen an der Enz.
L'edizione di quest'anno vedrà diverse novità, ci saranno di nuovo diversi corsi, un congresso per l'esposizione di strumenti storici e contemporanei, un congresso con le chitarre appena forgiate condotto appunto da Giuseppe Chiaramonte, Masterclass sia per l'interpretazione di musica antica (con il supporto della liutista Sigrun Richter) che moderna, grazie a Stefan Hladek e tanti altri.
Inoltre il programma sarà arrichito di musica flamenco, Fingerstyle e Jazz grazie alla partecipazione di Afra Rubino Malmstroem da Goteborg ( Svezia ), Ray Sandoval (Londra ) e David Lindorf ( Austria ). Sta a voi non perdervi quest'evento !      

G.C. 
Parliamo un po’ dei tuoi progetti futuri. So che stai già pensando all’edizione del festival dell’autunno 2015! E so che stai già lavorando su un nuovo CD, completamente diverso… possiamo avere qualche anteprima per i lettori del nostro Blog? 

T.I.
Il mio prossimo lavoro discografico si baserà su musiche di J.S. Bach, J.K. Mertz, Giulio Regondi, C. Domeniconi. In questo disco la chitarra Stauffer, ora ancora in una fase di “rodaggio”, godrà di una particolare applicazione con uso di corde in Nylgut …

G.C.  
Tommaso, ti ringrazio a nome di tutto lo Staff del Blog Chitarra e Dintorni Nuove Musiche per la tua disponibilità e sarai sempre il benvenuto se vorrai condividere con noi i tuoi progetti e i tuoi eventi futuri. Una piccola anticipazione per i lettori del Blog… potrete ascoltare Tommaso Ieva dal vivo in Italia a Brescia nel mese di settembre 2014… non mancheremo di segnalarvi tutti i dettagli appena saranno in nostro possesso!  


venerdì 22 agosto 2014

Rig Rundown - Wilco's Nels Cline on Premier Guitar

Rig Rundown - Wilco's Nels Cline


Amazing video with Wilco lead guitarist Nels Cline who walks us through his entire rig including Fender Jazzmasters, Schroeder Amps, and an expansive pedalboard on Premier Guitar.

domenica 17 agosto 2014

L’arpa viggianese La storia di un riscatto sociale di Lucia Bova

L’arpa viggianese
La storia di un riscatto sociale



L’ occasione della Masterclass sull’arpa viggianese che sarà tenuta da Giuliana De Donno al Conservatorio “N. Piccinni” di Bari dall’11 al 13 Settembre 2014 offre l’opportunità di ricordare, seppur molto sinteticamente, l’importanza del fenomeno dell’arpa viggianese e della musica popolare nel sud Italia. Un fenomeno spesso ancora considerato marginale e che stenta a trovare la collocazione istituzionale adeguata. Il breve percorso che ci apprestiamo idealmente a tracciare si concluderà con la testimonianza di Giuliana De Donno, talento italiano della musica “etnica” e suonatrice di arpa viggianese, che ha dedicato la sua vita alla scoperta e allo studio di questo repertorio.

La mancanza di attenzione nei confronti della musica popolare e in particolare dell’uso dell’arpa in questo repertorio non è un fenomeno comune a tutti i paesi. Per esempio: chi non conosce l’arpa celtica e chi non sa quanto sia importante questo strumento per paesi quali l’Irlanda, la Scozia e le regioni del nord della Francia! L’orgoglio con cui gli irlandesi mostrano l’arpa nelle loro bandiere e sulle loro monete ricorda a tutto il mondo quanto si possa e si debba essere fieri della propria storia e delle proprie tradizioni. Analoga importanza a questo strumento viene data in sud America dove è estremamente popolare e vanta ancora oggi virtuosi in grado di strabiliare con le proprie tecniche esecutive e il brillante repertorio gli appassionati di musica di tutto il mondo.
Diversamente la grandissima tradizione popolare arpistica presente nell’Italia meridionale tra la fine del Seicento e l’inizio del Novecento, diffusa in regioni quali la Campania, la Calabria, l’Abruzzo e soprattutto la Basilicata è ancora poco conosciuta. Eppure gli studi sull’argomento attualmente esistenti si basano su di una ricchissima documentazione costituita da numerosissime fonti iconografiche e letterarie risalenti al Settecento e all’Ottocento.
In Basilicata, e in particolare a Viggiano, piccolo centro nella Val d’Agri, l’arpa è stato uno strumento assai presente, tanto che dagli archivi del Comune risulta che quasi in una famiglia su tre ci fosse un suonatore di arpa. Lo strumento era suonato, costruito ed insegnato secondo una tradizione radicatissima che si tramandava di padre in figlio. Ancora oggi è possibile trovare le testimonianze di tale passato passeggiando nelle vie di Viggiano e osservando i bassorilievi raffiguranti arpe che ornano i portali di antiche dimore, una volta di proprietà di famiglie di musicisti. E’ molto significativo poi che in tempi più recenti si sia deciso di celebrare il ricordo di questa importantissima tradizione commissionando un monumento all’arpista in bronzo che è collocato nell’atrio della Scuola Elementare di Viggiano.
La storia dell’arpa viggianese, o arpicedda - uno strumento alto circa 140-147 centimetri, diatonico (cioè privo dei sette pedali presenti nelle arpe classiche moderne necessari per ottenere le note alterate), di struttura sottile e leggera - è strettamente collegata alla storia di un popolo che ha sofferto per lunghi periodi miseria, povertà, carestie, terremoti e guerre. Viggiano e la Basilicata, sebbene abbiano conosciuto lunghi periodi di benessere, tra il Settecento e l’Ottocento erano tra le regioni più povere della penisola italiana, e spesso i genitori non avevano altro da lasciare ai propri figli che la loro conoscenza della musica, di come si costruiscono e si riparano gli strumenti e di come si suonano. Conoscenze tramandate di padre in figlio, affinate e sperimentate sul campo, che molto argutamente i viggianesi avevano compreso essere la loro ricchezza, in molti casi la loro unica ricchezza. Il sistema di trasmissione ed istruzione era sostanzialmente di tipo orale e pratico. L’apprendimento del repertorio e delle tecniche di arrangiamento ed elaborazione del repertorio avveniva per imitazione e suonando ad orecchio, provando e riprovando sotto l’amorevole controllo di chi ne sapeva di più. La tecnica per suonare veniva invece appresa su pochissimi testi provenienti per lo più dalla Francia, probabilmente sempre gli stessi, tramandati di padre in figlio e utilizzati da più famiglie. I segreti della liuteria e della lavorazione del legno si apprendevano nelle botteghe, assistendo al lavoro degli artigiani, cercando di carpirne i segreti, le intuizioni e facendo tesoro della loro esperienza.
Moltissimi viggianesi riposero le loro speranze di vita e di sussistenza nella musica, e in particolare nell’arpa, ed esistono innumerevoli documenti a testimonianza del fatto che almeno dall’inizio del Settecento (ma con tutta probabilità anche prima) cominciarono a viaggiare in Italia, in Europa e poi nel mondo intero per fare della loro arte un mezzo di sussistenza. Si spostavano in piccoli gruppi, facendosi apprezzare ovunque per la loro abilità di suonatori e di liutai, per le loro qualità musicali e per il repertorio, vasto ed estremamente variegato, costituito da musica popolare come pure da melodie tratte dalle opere più famose del tempo di compositori italiani quali Rossini, Cimarosa, Jommelli, Mercadante, Paisiello, Bellini e Donizetti.
Con la loro arte e grazie alle loro conoscenze e competenze molti riuscirono ad assicurare a se stessi e alle famiglie l’agio economico che consentì a tantissimi di uscire dalla miseria alla quale sembravano destinati, a garantirsi un futuro migliore e a far studiare i propri figli. In alcuni casi i figli degli arpisti viggianesi vennero mandati a studiare nei conservatori di musica e riuscirono successivamente ad essere assunti in prestigiose orchestre nazionali ed internazionali.
La storia dell’arpa viggianese è indissolubilmente legata alla storia di un popolo che si è ribellato ad un destino di povertà e che ha fatto delle proprie abilità e competenze, e soprattutto della propria arte e del proprio ingegno, gli strumenti di un grande riscatto sociale ed economico che non ha paragoni con alcuna altra storia di emigrazione. Per queste ragioni l’arpa viggianese alla fine dell’Ottocento è diventata addirittura un simbolo di orgoglio, di libertà, di coraggio, di forza, di speranza in un futuro migliore conquistabile con la conoscenza e l’abilità. Prova ne è che a Viggiano nel 1876 nacque un giornale dal nome L’Arpa Viggianese. Giornale popolare Educativo che nel proprio programma dichiarava:

[ … ] Prometto solo di essere fedele alla missione di un giornale che deve istruire e dilettare [ … L’Arpa di Viggiano] animata, com’è, dal desiderio del bene, del vero, e del giusto, sarà l’eco della voce della giustizia, della buona educazione, dell’educazione veracemente sana, e dei bisogni del popolo, specialmente di quella parte, che chiede istruzione, pane e lavoro, diritto incontrastabile e sacro di ogni uomo [ … ] La corda che vibrerà costantemente è quella che chiamasi dell’Istruzione con le due laterali attigue, che Educazione e Lavoro appellasi [ … ] L’altra principale corda, destinata a dilettare, vibrerà all’unisono colle suddette, e [ … ] conterrà Romanzi e buone letture [ … ] Racconti, Poesie e Biografie [ … ] tratterà dei viaggi più importanti, di Geografia, dell’emigrazione, del Commercio [ … ] L’Arpa griderà sempre istruzione, istruzione [ … ] I Redattori dell’Arpa non sono e non saranno mai servi a nessuno, nemmeno alle passioni di quel campo dove sono i loro interessi.

Nonostante l’importanza e la bellezza di questa tradizione oggi si conosce pochissimo dell’arpa viggianese, sebbene l’arpa viggianese sia stata di recente dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco e a Viggiano siano stati istituiti un attivissimo centro di studi, corsi di arpa popolare e classica e corsi di liuteria di arpa viggianese.
Come sia stato possibile dimenticare la storia di questo strumento e l’arte di chi la suonava non è facile dirlo ma si possono fare delle ipotesi. Forse una storia di miseria così profonda alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento diventò troppo scomoda e si preferì rimuoverla per impedire che l’immagine del nuovo Regno d’Italia unito potesse essere associato a storie spesso tristissime nelle quali governanti e politica non furono di alcun ausilio al popolo e nelle quali solo la forza interiore dei diseredati ha consentito ad un intero paese di uscire dalla disperazione.
Forse è per queste ragioni che alla fine dell’Ottocento all’immagine dell’arpista e del musicista itinerante che delizia gli astanti con la propria arte e il proprio talento (celebrata in tutto il mondo e per secoli da scrittori e poeti quali Johann Wolfgang von Goethe, Giovanni Pascoli, Giuseppe Gioacchino Belli e Charles Burney) si sovrappone l’immagine dell’accattone, che senza arte né parte, e soprattutto senza voglia di lavorare, importuna la gente nelle strade per mendicare l’elemosina. Ed è così che gli arpisti viggianesi dopo secoli di riconoscimenti e di gloria furono associati agli zingari, agli accattoni e denigrati al punto che quei pochi suonatori di arpa ancora viventi oggi hanno preferito tacere e nascondere per anni la propria storia e il fatto di aver conquistato il proprio benessere suonando l’arpa in giro per il mondo. Solo di recente, rendendosi conto di un rinnovato e sincero interesse nei confronti di questa importantissima tradizione hanno ripreso a suonare le loro arpicedde, a raccontare le loro storie e a tramandare le loro esperienze.
Ed è forse per le stesse ragioni che la musica popolare, tradizione importantissima del nostro Paese, non riesce ad essere riconosciuta nel suo pieno valore storico, culturale ed artistico.

Intervista a Giuliana De Donno

Lucia Bova: Hai iniziato i tuoi studi seguendo un percorso classico: il Conservatorio, il Diploma, poi gli studi accademici, i concorsi ecc. Vuoi parlarcene?

Giuliana De Donno: Mi sono avvicinata all’arpa all’età di 8 anni, ma già a 6 tormentavo i miei genitori affinché mi facessero suonare questo strumento che mia aveva profondamente colpita e affascinata vedendolo semplicemente nell’orchestra dei varietà televisivi del sabato sera. Il mio percorso di studi è iniziato presso il Conservatorio “E.R. Duni” a Matera, città in cui sono nata, mentre ho conseguito il diploma in arpa classica presso il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma sotto la guida della Prof.ssa Jolanta Jugo de Grodnicka. Successivamente ho frequentato il I anno del corso di arpa di Elena Zaniboni all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e poi le lezioni di Claudia Antonelli presso la scuola di Musica di Fiesole. Pochi i concorsi a cui ho partecipato (superati brillantemente) poiché li ho sempre percepiti e vissuti come una minaccia alla creatività e alla fantasia per via della eccessiva ostentazione di virtuosismo tecnico richiesto nelle selezioni. Una sana e formativa competizione l’ho esercitata invece sul campo, confrontandomi con vari generi e forme musicali e tanti bravi maestri, musicisti e colleghi.

L.B: Quando hai deciso di dedicarti al repertorio popolare e soprattutto che cosa ti ha spinto a specializzarti in questo repertorio?

G.D.D.: Dopo il diploma ho tenuto numerosi concerti di arpa classica sia da solista, che in formazione da camera e in orchestra. Per qualche anno ho conosciuto e approfondito la musica contemporanea e d’avanguardia, eseguendo anche composizioni in prima esecuzione assoluta. Perlustrai nuovi orizzonti musicali e scoprii la tavolozza infinita di suoni e colori che la musica può offrire, ma tanto ancora dovevo conoscere e studiare e così, compiendo un percorso al contrario, tornai alla musica tonale ripartendo dalla musica popolare. Arpa celtica, arpa sud-americana, arpa viggianese, tutti questi meravigliosi strumenti erano li che mi aspettavano! E custodendo come un prezioso tesoro la preparazione classica, iniziai a nutrire la mia curiosità approfondendo la ricerca nel campo della musica popolare. Così dopo i lunghi studi di arpa classica avevo nuovamente una mole di lavoro da affrontare, stili e tecniche nuove da imparare e, cosa più difficile, cambiare e rivoluzionare il mio approccio alla musica. Ho cercato e inseguito maestri arpisti - talvolta raggiungendoli dall’altra parte del mondo - che mi insegnassero l’arte delle arpe popolari. Per le strade di antichi paesi del Sud Italia ho danzato e ascoltato la musica suonata proprio dai musicisti della tradizione per poterne carpire i segreti. Ho suonato con gruppi e orchestre popolari come quella della Notte della Taranta, con cui ho cimentato la mia fantasia, allenato il mio orecchio e imparato anche l’arte di adattare e arrangiare la musica per il mio strumento… ma nel vero senso della parola, dal momento che su un programma di 40 brani da eseguire con l’orchestra, non avevo neanche una nota scritta sullo spartito … e di fronte a quel palco c’erano più di 10.000 mila persone ad ascoltarci! La musica, vissuta come energia, tensione, sfida, conoscenza, ma soprattutto rapporti umani, gioia e divertimento, è stata la forza propulsiva che mi ha spinto a superare i tanti momenti di difficoltà e a mettermi costantemente in gioco.

L.B.: Quali sono le arpe che suoni nei tuoi concerti?

G.D.D.: Arpa celtica elettroacustica, arpa paraguayana e l’arpa viggianese della quale posseggo un prezioso esemplare di metà ‘800 che vista la rarità utilizzo solo in situazioni particolari.

L.B.: In breve quali sono le differenze tra queste arpe popolari e l’arpa classica?

G.D.D.: La differenza principale è che l’arpa classica è semi-cromatica e ha sette pedali per poter alterare i suoni prodotti dal pizzico delle corde, mentre l’arpa celtica ha le levette a capo di ogni corda che consentono un uso limitato delle alterazioni (solo un semitono) e si azionano con una mano, talvolta anche mentre si suona. La stessa cosa avviene per la viggianese che ha i cosiddetti bischeri (levette) ma non su tutte le corde; invece l’arpa paraguayana è diatonica e le alterazioni si ottengono con una tecnica speciale grazie all’utilizzo di un ditale. Altra differenza sostanziale sono i materiali delle corde e la relativa tensione: nella arpa classica e nella maggior parte delle celtiche, le corde sono di metallo, budello e nylon; la viggianese ha invece tutte le corde di budello, mentre la paraguayana le ha tutte di nylon. Questo fa sì che il suono e il timbro caratterizzino ciascuna arpa e che la tecnica per suonarle, e quindi l’impostazione delle mani, siano differenti. Sull’arpa classica si utilizzano i polpastrelli per affrontare la forte tensione delle corde causata dal maggiore spessore delle corde; invece sulle arpe popolari, che hanno le corde di spessore inferiore e minore tensione, si utilizzano le unghie alternate ai polpastrelli.

L.B.: La musica popolare in Italia è sufficientemente compresa e valorizzata?

G.D.D.: Nelle istituzioni italiane il valore e l’importanza storica e culturale di questo repertorio sono ancora poco compresi e evidenziati. Malgrado ciò si è avviato da diversi anni un processo di valorizzazione e riscoperta dell’enorme patrimonio musicale popolare italiano e non solo, ad opera di numerosi studiosi, ricercatori, etnomusicologi, giovani e validi musicisti che si sono assunti l’oneroso compito di riscoprire questa tradizione. La musica in quanto linguaggio universale è patrimonio della intera umanità, non conosce confini, colori di pelle e differenze sociali, pertanto deve essere di tutti e accessibile a tutti!
Ritengo che sia stata una grande rivoluzione l’aver introdotto nei Conservatori italiani l’insegnamento della musica jazz, ma bisogna fare attenzione, perché rinchiudere ancora una volta i generi musicali in compartimenti stagni vorrebbe dire mortificare, limitare la formazione e la cultura di un giovane musicista. Sarebbe invece interessante fargli scoprire quali sono le relazioni tra generi musicali apparentemente distanti, raccontandogli ad esempio come Mozart, Prokof’ev o Rossini attingessero per le loro composizioni dal patrimonio musicale popolare; che Britten quando era a Napoli andava alla ricerca del teatro dei pupi per trarre spunti per le sue opere e che le origini del jazz provengono dai ritmi della lontana Africa. Evidenziare inoltre come le composizioni di Bach, Debussy e tanti altri importantissimi compositori classici abbiano forgiato generazioni di raffinati e straordinari musicisti jazz, rock e pop, e ancora, come le bande musicali del Sud Italia o la musica barocca europea siano state da esempio e riferimento per molte tradizioni musicali del Sud-America. Insomma, penso che far comprendere e far conoscere la storia e le origini che hanno dato vita agli strumenti e alle varie espressioni musicali e come queste ultime si siano fuse, miscelate, sviluppate e ricreate, dovrebbe essere tra i primi obiettivi di un’Istituzione di Alta Formazione Musicale.

L.B.: Che cosa sarebbe utile per la valorizzazione di questo repertorio?

G.D.D.: Semplicemente farlo conoscere e diffonderlo negli ambiti desueti, con l’ausilio di esperti e di ricercatori, attraverso incontri e concerti eseguiti da musicisti attenti alla tradizione ma nel contempo aperti alle innovazioni e alle contaminazioni.

L.B.: Perché è didatticamente importante che gli allievi si avvicinino alla musica popolare e all’improvvisazione?

G.D.D.: Per avere un approccio alla musica meno strutturato e più libero! Non dimentichiamo che molte delle composizioni dal ‘500 al pieno ‘800 lasciavano ampi spazi all’improvvisazione e alla creatività dell’interprete. Improvvisare vuol dire necessariamente esplorare e sfruttare le numerose risorse sonore e timbriche del proprio strumento, sperimentare nuove tecniche e, ancora, conoscere l’armonia e il ritmo, come anche analizzare, smontare, rimontare, capovolgere, stravolgere e ricreare un brano intero! Sembra un paradosso, ma il processo di apprendimento si articolerebbe così in due fasi: prima di strutturazione e poi di destrutturazione. Conoscere e capire prima, consente di liberarsi e lasciarsi andare alla fantasia e alla creatività poi. Questo percorso porta a una conoscenza così profonda della musica da determinare nell’allievo una sicurezza e una consapevolezza tali per cui anche ritornare poi allo spartito convenzionale e affrontare qualsiasi pagina musicale, che sia di repertorio classico, contemporaneo oppure barocco, sarà puro divertimento!

L.B.: Credi che i Conservatori di musica possano essere dei luoghi adatti per lo studio della musica popolare? Perché?

G.D.D.: I Conservatori di musica sono e devono essere i luoghi dove imparare la musica in toto. L’offerta formativa dovrebbe essere a 360° e riguardare tutte le massime espressioni musicali, di modo che poi ognuno possa scegliere la propria specializzazione!

L.B.: Ci sono altri Paesi nel mondo dove la musica popolare è entrata nei Conservatori o nelle Istituzioni deputate alla formazione in ambito musicale? E perché in Italia ciò non è successo?

G.D.D.: In molti paesi del mondo e d’Europa (come in Francia, Irlanda, Spagna) la musica e gli strumenti popolari non sono uno scandalo se insegnati nei Conservatori o nelle istituzioni deputate alla formazione musicale. Da noi ci sono solo alcuni corsi di etnomusicologia, ma certamente non di zampogna, organetto, launeddas, chitarra battente, arpa popolare ecc. Bisognerebbe fare un’attenta analisi dal punto di vista storico, antropologico, sociale e culturale degli ultimi 50/60 anni per comprendere come e perché il nostro Paese abbia voluto dimenticare, se non perdere, la sua memoria storico-culturale, trattenendo solo quelle forme ed espressioni artistiche che potessero essere riconosciute all’estero … con questa piccola provocazione lascio aperta la risposta, con l’auspicio che in futuro qualche giovane studioso potrà darcene una obiettiva ed esauriente.

(Lucia Bova, Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, interprete e autrice di saggi sull’arpa moderna e contemporanea)

mercoledì 13 agosto 2014

Prova delle chitarre GRECI da parte del M° Christian SAGGESE



Prova delle chitarre GRECI da parte del M° Christian SAGGESE
Falaut Campus
Università di Salerno
Teatro dell’Università
5 Agosto 2014, ore 8,35

Il giorno 5 Agosto 2014, nel Teatro dell’Università di Salerno il M° Christian Saggese, dalle ore 8,35 del mattino ha voluto provare due chitarre costruite dal M° Michele Greci.
Le due chitarre sono state la “Innominata”  con tavola in cedro, fasce e fondo in palissandro indiano, diapason da 65,00 cm ed una chitarra denominata “Omaggio a Torres” con tavola in cedro, diapason da 65,00 e fasce e fondo in cartone pressato.

http://www.greci-guitar.com/





martedì 12 agosto 2014

Review of LA CHAMBRE DES JEUX SONORES by Alessandra Novaga, SETOLA DI MAIALE SM2690, 2014



First record for a "new artistic life" by Alessandra Novaga. Why I wrote about a "new life"? Because by some years Alessandra has begun a new exploration around in electrical / improvised / contemporary areas opening her artistic career to new instruments, new sounds and collaborations. After the previous cd made with Spring Duo, always dedicated to contemporary music, but still played with her classical guitar, this " CHAMBRE DES JEUX SONORES " opens not only to new sounds, but also to new musical philosophies.
I try, in this review, to point out some possible ways of listening and meditations about these musics.



First meditation: the title of the cd. "La Chambre Des Jeux Sonores" suggests a dimension of play and space exploration, construction of a non-rigid but more free and expressive.
Second meditation: the choice of the music label. Those who follow my blog know my "affection" towards Setola di Maiale, italian independent label whom, thanks to the consistent efforts his founder Stefano Giust, from over twenty-years is devoted to improvisation and the more free and independent musical thoughts. So the choice of Alessandra to produce this work with this label denotes, in my opinion, even the desire to move into areas other than those usually used for the contemporary music of academic excellence, and moving on land over charged by the free edge. Third meditation: listening to the 5 tracks that “built” this record, International Hash Ring by the New Yorker Travis Just, In Memoria by Sandro Mussida, Collaborating Objects by American Paula Matthusen, Erosive Raindrops by Vittorio Zago, Untitled, January by Francesco Gagliardi, denotes not only the use of open structures with the possibility of improvisation by the interpreter but also a more ... "material" component in her sound. The sound of the electric guitar is often treated with the use of effects and used in a very different manner from what we are used to listen to in other contexts (rock, jazz, blues) in which the electric guitar has accustomed us. The result is a "transfiguration" of electric sound in an extremely innovative and interesting way. On this record, it goes beyond a "simple" use of the guitar as we are accustomed to, a job that transcends a possible melodic structure with the (musical) instrument used as a (sonic) tool generating sound in a similar manner to what people like Keth Rowe, Fred Frith and Eugene Chaudborne have worked over the last 30 years of free improvisation. I don’t think it’s a coincidence that some of the scores used herein are outside thenormal framework” to move towards visual elements such as images and video aimed at stimulating a different musical gesture on the part of the interpreter, in a "set" swaying more and more towards pure performance.
Maybe all of this is no so “new” as it seems to me to synthesize and build upon the causal randomness of Cage, the irony of Fluxus, the free-thinking improvisational European70s, the New York intelligentsia, the physicality of sound and electrical industry by Milan city (where Alessandra lives), I feel the lack of a new "Opera Aperta" like the one by Umberto Eco who knows how to synthesize and better delineate these new forms ... maybe we should ask Giuliana Bruno to focus its semiotic look for a new Atlas of (musical and sound) Emotions.

http://www.setoladimaiale.net/record.asp?id=SM2690&section=audio