Primo
disco del “nuovo corso artistico” per Alessandra Novaga. Perché
scrivo di “nuovo corso”? Perché è da qualche anno che
Alessandra ha iniziato una nuova esplorazione in ambiti
elettrici/improvvisativi/contemporanei aprendo la propria carriera
artistica a nuovi strumenti, nuove sonorità e collaborazioni. Dopo
il precedente cd realizzato con lo Spring Duo, dedicato sempre alla
musica contemporanea, ma dove imbracciava ancora la sua chitarra
classica, questa “stanza dei giochi sonori” apre a non solo nuove
sonorità, ma anche a nuove filosofie musicali.
Provo,
in questa recensione, a indicarvi alcuni possibili percorsi di
ascolto e di riflessione su queste musiche.
Prima
riflessione: il titolo del cd. “La Chambre Des Jeux Sonores” fa
pensare a una dimensione di gioco e di esplorazione
spaziale-architettonica, di una costruzione non rigida ma più libera
e espressiva.
Seconda
riflessione: la scelta della casa discografica. Chi segue il blog
conosce il mio ”affetto” nei confronti di Setola di Maiale,
etichetta indipendente, che grazie al coerente impegno di Stefano
Giust, è riuscita a superare una ventennale carriera dedicata
all’improvvisazione e al più libero e dedicato pensiero musicale.
La scelta quindi di Alessandra di produrre questo lavoro con questa
etichetta denota, a mio avviso, anche il desiderio di muoversi in
ambiti diversi da quelli solitamente utilizzati per la musica
contemporanea di stampo accademico, spostandosi su terreni più
praticati dalla libera avanguardia.
Terza
riflessione: l’ascolto dei 5 brani che compongono il disco,
International Hash Ring del newyorkese Travis Just, In Memoria del
milanese Sandro Mussida, Collaborating Objects della statunitense
Paula Matthusen, Erosive Raindrops di Vittorio Zago, Untitled,
January di Francesco Gagliardi, denota non solo l’uso di strutture
aperte con possibilità di improvvisazione da parte dell’interprete
ma anche un uso più … “materico” della componente sonora. Il
suono della chitarra elettrica viene spesso trattato con l’uso di
effetti e utilizzato in un modo molto diverso da quello a cui siamo
abituati in altri contesti (rock, jazz, blues) a cui la chitarra
elettrica ci ha abituati. Il risultato è una “trasfigurazione”
del suono elettrico in modo estremamente innovativo e interessante.
In questo disco si va oltre a un “semplice” impiego della
chitarra come siamo abituati, un impiego che trascende una possibile
struttura melodica e che vedo lo strumento (musicale) utilizzato come
strumento (fisico, in inglese potrei usare il termine “tool”) per
la generazione di suono in una maniera simile a quella cui gente come
Keth Rowe, Fred Frith e Eugene Chaudborne ci ha abituati nel corso
degli ultimi 30 anni di libera improvvisazione. Non a caso alcune
delle partiture qui utilizzate esulano dalla normale struttura
grafica per andare verso elementi visivi come immagini e video atti a
stimolare una diversa gestualità musicale da parte dell’interprete,
in un “insieme” che ondeggia sempre più verso la pura
performance.
In
questo contesto che forse tanto nuovo non è dato che mi sembra
sintetizzare e rielaborare la causale casualità di Cage, l’ironia
di Fluxus, il libero pensiero improvvisativo europeo degli anni ’70,
l’intellighenzia newyorkese, la fisicità del suono elettrico e
laboriosità milanese, avverto la carenza di una nuova “Opera
Aperta” alla Umberto Eco che sappia sintetizzare e meglio delineare
queste nuove forme … forse bisognerebbe chiedere a Giuliana Bruno
di concentrare il suo sguardo semiotico per un nuovo Atlante delle
Emozioni (musicali)
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