Tangier
Session è l’ultimo disco in solo realizzato da Sir Richard Bishop,
chitarrista, improvvisatore, compositore statunitense, membro
fondatore del gruppo Sun City Girls. L’ascolto di questa sua
ultima, ottima, fatica discografica uscita per l’etichetta
indipendente Drag City, rappresenta l’occasione per fare due
chiacchiere sulla sua musica e sul suo stile chitarristico,
riascoltando un paio di altri suoi lavori del passato.
Cominciamo
con Improvika, cd uscito nel 2004 per la Locust Music, il suo secondo
lavoro dopo Salvator Dalì, prodotto nel 1998 per la Revanant Records
di John Fahey. Questo disco si compone di nove brani interamente
strumentali (Bishop non canta mai), nove brani basati
sull’improvvisazione, elemento strettamente caratterizzante lo
stile del nostro chitarrista. Improvika definisce già lo stile del
nostro uomo: improvvisazioni estremamente curate basate su strutture
modali che attingono pienamente al blues afroamericano, alla musica
indiana e a quella araba. Sono evidenti le origini libanesi di Bishop
e l’uso estensivo di accordature aperte. E’ un bel disco che
segnala al mondo la presenza di un nuovo chitarrista caratterizzato
da uno stile molto personale e unico, che allo stesso tempo, si
inserisce pienamente nella tradizione di Basho e di Fahey.
While
My Guitar Violently Bleeds esce nel 2007 per la Locust , ed ha un
carattere decisamente diverso da Improvika, sono tre brani dalla
struttura più estesa per chitarra elettrica e acustica
caratterizzati non solo dalle improvvisazioni modali ma anche da
loop, drones e noises vari. E’ un salto di qualità verso una
musicalità più contemporanea e di avanguardia che tuttavia ben si
integra con i precedenti ascolti: la chitarra di Bishop non solo
sanguina violentemente, ma anche ringhia e digrigna i denti scorrendo
su corde affilate, non è un disco semplice, la sperimentazione qui
si fa più audace e l’atonalità è una costante.
E
arriviamo all’ultima fatica: Tangier Session, uscito quest’anno
per la Drag City. Le sonorità qui sono più vicine a quelle di
Improvika, ma sono più mature, sono passati più di dieci anni e i
due dischi testimoniano i notevoli progressi fatti da Bishop
nell’arricchire il proprio vocabolario e lessico musicale.
Allo
stesso tempo questo disco è anche qualcosa di più: è una sorta di
storia d’amore tra un uomo e il suo strumento, tra un musicista e
la sua chitarra. Qualcosa che si pone tra un racconto di X File e
l’Amarcord di Fellini. Nel corso delle sue peregrinazioni
attraverso il mondo, a Genova, porto di mare italiano, Bishop scova
questa chitarra, uno strumento sicuramente vintage in un piccolo
negozio perso nei caruggi della città, se ne innamora, la compra e
la porta con se fino a Tangeri, in Marocco, dove nella tranquilla
solitudine di una casa locale riesce a trovare la quiete, la
concentrazione e la giusta ispirazione per creare le musiche che
registrerà, così, di getto con una rudimentale strumentazione per
questo nuovo album. Dalle dita e dal plettro di Bishop esce un suono
caldo e allo stesso puro, pulito, nitido e così bello all’ascolto,
dall’incontro con questo strumento di cui si sa solo che ha circa
un secolo di vita alle spalle e che era stata venduta da un
distributore della Georgia, tale C. Bruno & Sons, nascono brani
che sono il risultato di continue ibridazioni tra musica del medio
oriente, flamenco, musica gitana, folk americano, musica classica,
jazz e quant’altro possa riuscire a esprimere la creatività di Sir
Richard Bishop. Per
lui,
mescolare
stili
e
perseguire
esperienze
musicali
non
comuni
o
fuori da “normali” percorsi turistici terzomondisti è
diventato un vero e proprio stile di
vita.
E'
stato
socio
fondatore
dei
Sun
City
Girls,
un
trio che
saputo scolpire
un
vero e proprio percorso attraverso la
scena
internazionale
creando una
improvvisazione
ai
confini tra
rock,
jazz,
world, punk e
musica
sperimentale
in
una forma
onnicomprensiva
catturata
da 50
album,
cassette
e
video
di
concerti
per oltre
26 anni,
a
partire dal
1979.
Condendo le
loro leggendarie performance
con
continui riferimenti al
misticismo,
alla
religione,
agli UFO, al
ritualismo
e
al teatro
Kabuki
...
riflettendo la loro disinibita gamma
musicale.
Personalmente
ritengo che con Tangier Session Bishop sia riuscito ad alzare ancora
un po’ più in su il livello qualitativo delle sue incisioni
discografiche riuscendo a raggiungere e a eguagliare l’altra
intensità e quello “stream of consciousness” creativo che riesce
sempre a sprigionare nei suoi concerti. Uno dei migliori dischi del
2015.
Nessun commento:
Posta un commento