Abbiamo parlato
prima di manga, di disegni, di fumetti giapponesi: pensare che la
poetica di Zorn possa ridursi solo a immagini hentai significa avere
la mente più ristretta di un buco di serratura.
New York, Shelley
Palmer Studio, Ottobre 1988 Gennaio 1989 Zorn
registra la colonna sonora del cartone animato giapponese Cynical
Hysterie Hour che uscirà nel 1997 col titolo FilmWorks VII
Siamo
nella seconda metà degli anni ’80, Zorn all’epoca passa
ogni anno sei mesi a New York e sei mesi a Tokyo, dove ha ha un
pied-a-terre. La disegnatrice giapponese Kiriko
Kubo ha bisogno di aggiungere un commento sonoro a quattro episodi
(di sette minuti l'uno) per la sua serie animata Cynical
Histerie Hour. Zorn accetta
la sua richiesta approfittando dell’occasione per cimentarsi con
uno degli oggetti di studio della sua gioventu, la musica per
cartoon, contenitore ideale di emozioni repentine e caos organizzato,
omaggiando il suo idolo Carl Stalling.
Il
risultato sono ventitre inserti musicali, la piu breve ("End
Title") dura tredici secondi, la piu lunga (la deliziosa "Punk
Rebel/Tsunta's Theme”) poco più di tre, per un totale di poco più
di trentasei minuti, per un caleidoscopio di generi musicali, un
capolavoro di impudente e apocalittico montaggio musicale che porta
alle estreme conseguenze la lezione di Carl Stalling e in cui si
stagliano gli stili inconfondibili dei chitarristi coinvolti: il
casino ossessivo di Arto Lindsay, le sciabolate di Quine, i fraseggi
jazz di Bill Friselle e gli arpeggi country mexican di Marc Ribot.
Zorn
stesso va particolarmente fiero di questo gioiellino che lo vede
impegnarsi (come già visto per Spillane) con la tecnica compositiva
dei file cards, piccola nota: i diritti del disco erano di proprietà
della Sony music, che lo aveva tenuto in catalogo solo per sei mesi e
solo per il mercato nipponico. Solo nel 1997 Zorn riesce ad averne i
diritti e a ristamparlo con la sua Tzadik.
Il
cartone animato in questione sembra una versione giapponese di
Peanuts, che parla di una giornata tipo di alcuni bambini: Tsuneko
(il personaggio principale) sorride raramente ed è ossessionata dal
cibo, non è per niente carina, ha gli occhi marcati come quelli di
un panda ed è completamente calva eccetto per nove capelli che le
spuntano dal cranio. Il fumetto è tuttavia divertente: una delle
storie racconta di Tsuneko che si trova su pianeta dove la razza
evoluta sono gli elefanti e gli umani totalmente scemi. Lo stile di
Kubo si differenzia notevolmente da quello che siamo abituati a
identificare come fumetto giapponese: niente occhi grandi e liquidi
(ad imitazione dello stile Disney), niente lolite dai capelli
colorati, niente criceti nevrotici, niente robot giganti volti a
salvare il pianeta da perfidi alieni. Anche in questo caso siamo
lontani da molti degli stereotipi a cui siamo abituati.
Con
New Traditions in East Asian
Bar Bands, Zorn raggiunge un nuovo limite: il suo “orientalismo”:
si espande in paesi come la Cina, il Vietnam e la Korea, utilizzando
delle voci narranti in queste lingue su un tappeto musicale
predisposto ad hoc. Si tratta di tre lunghe composizioni
assimilabili ai game pieces cui Zorn ci aveva abituati negli anni
precedenti e composti tra il 1986 e il 1996, disco complesso in cui
ogni brano viene accompagnato da una voce narrante orientale, mentre
l'improvvisazione strumentale è affidata ad un duo.
“Hu Die” è
un pezzo per due chitarre, ossia Fred Frith e Bill Frisell, assidui
collaboratori del compositore. La narratrice parla in lingua
mandarina, mentre i due esecutori si esercitano in prove
avanguardistiche davvero notevoli, talvolta sensuali, talvolta
misteriose. Ciò che infatti distingue nettamente questi game pieces
dai precedenti è, oltre ad un suono più moderno, la scelta della
formazione a duo, che permette una collaborazione più decisa e
diretta tra gli esecutori; unita a un ascolto più fruibile e
semplice rispetto agli episodi degli anni 80. Da notare che il testo
è stato scritto da Arto Lindsay e comprensibile solo leggendo la
versione inglese all’interno del raffinato booklet del cd. In
questo caso il testo diventa puro suono, la lingua mandarina svolge
la sua funzione narrante come se fosse uno strumento a fiato su un
tappeto di atmosfere irreali, ipnotiche, a metà fra l'imperturbata
quiete d'un paesaggio lunare e la desolazione di spogli scenari
post-atomici.
Il secondo
brano, “Hwang Chin-Ee”, è un travolgente duo di batterie (Samm
Bennett e il mitico Joey Baron): la ritmica vigorosa e pirotecnica ci
trasporta per un quarto d'ora nell'Asia dell'est primordiale, assieme
ai modesti interventi di una narratrice koreana. I due percussionisti
comunicano tra loro con la stessa versatilità dei chitarristi,
rendendo questo pezzo estremamente il emozionante. Su quest’orgia
di percussioni la voce piana e narante di …
L'ultima
imponente suite di 30 minuti viene infine eseguita da due giganti
dell'arte tastieristica, Wayne Horvitz ed Anthony Coleman. Le loro
cupe divagazioni sono accompagnate da una narratrice vietnamita, che
con i suoi sussurri contribuisce a rendere il brano ancora più
oscuro e inquietante, al pari di “Absinthe” dei Naked City.
L’elemento
“musicale” esotico in questo album è dato dai testi declamati in
lingua mandarina, koreana e vietnamita, la lingua diventa suono e a
sua volta diventa musica, diversamente da Ganryu Island qui non c’è
nessun altro elemento che possa ricondurre all’oriente. Musicisti e
strumentazione sono occidentali. Ben diverso invece il discorso sulle
caratteristiche visive del disco: il packaging è sempre
accuratissimo e dal design elegante e raffinato, ciascun pezzo ha il
suo leaflet con elementi chiaramenti asiatici ma senza alcun punto di
contatto con l’artwork prevista dai Naked City o i Painkiller e la
cosa non deve stupire dato che si trata di musiche completamente
diverse.
Conclusione
Mi sembra
piuttosto evidente che Zorn abbia una buona comprensione della
cultura contemporanea asiatica e giapponese in particolare e che,
coerentemente con quelli che sono i presupposti postmoderni di base
della sua musica, utilizzi questi vari elementi culturali come
ingredienti per la propria arte esattamente come fa utilizzando
elementi più occidentali come la cartoon music, il free jazz, il
grincore e altro. Allo stesso tempo mi sentirei di escludere una sua
forma maniacale verso la coercizione e la sottomissione delle donne
asiatiche. Di sicuro Zorn non si fa nessun problema se deve
infrangere tabù culturali esotici stratificati da chi si occupa
accademicamente di orientalismo, e non nasconde una sua notevole
capacità di saper gestire e manipolare l’attenzione dei media,
sfruttando, come hanno fattoe fanno altri artisti contemporanei, a
proprio vantaggio lo stravoglimento di luoghi comuni culturali. Alla
fine, comunque, resta sempre la musica e in questo campo Zorn si
dimostra sempre ad altissimi livelli creativi, sicuramente non
facilmente comprensibili ma altrettanto affascinanti.
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