venerdì 23 ottobre 2015

Recensione di Premieres di Hilary Field, Yellow Tail records, 2015


Hilary Field è una giovane chitarrista americana, molto talentuosa e promettente. Questo non è il suo debutto discografico, ha già al suo attivo diversi cd dedicati a ballate, ninne nanna, musiche spagnole e latine, ma questo Premieres è, in un certo senso, la prova della maturità. In questo lavoro infatti ha deciso di misurarsi con 19 tracce, tutte di compositori contemporanei. I nomi coinvolti sono diversi: Richard Charlton con la sua Suite Latina, Douglas Lora con Northeastern Lullaby, Jorge Morel con Suite for Olga and Echoes Del Sur, Alberto Cumplido con Retrato Antiguo dedicato a John Dowland, la Donzella una fantasia su una ninna nanna sefardita della stessa Field, Mimose di Victor Kioulaphides, Preludio e Baiser di Nadia Borislova, Berceuse Op. 56 di Gerard Drozd e Reluctant Farewell di Rick Sowash.
Ora. Dischi di questo tipo non sono esattamente una novità: la chitarra classica da tempo raccoglie attestati di stima e di attenzione da un gran numero di nuovi compositori e sempre più spesso gli stessi chitarristi declinano volentieri dal tradizionale ruolo di interprete per creare loro stessi brani di loro gusto. Il risultato è una ipertrofia di brani e di produzioni musicali, spesso e volentieri, e qui sta il bello, di ottimo gusto e eseguite benissimo. Magari non esattamente innovative, spesso, come in questo caso, più incentrate sulla ricerca di espressività, colore, melodia e sentimento, che su strutture armoniche o ritmiche particolari.
Da questo punto di vista Premieres non è un disco d'avanguardia. Il che non vuol dire che non sia un buon disco o che le musiche non siano interessanti o che Hilary Field non sia una brava interprete. Sicuramente è un disco molto sentimentale, ben suonato e molto "ibrido".
Uso il termine "ibridazione" perché credo sia il modo migliore per definire queste musiche e perché trovo che termini come "crossover" e "globalizzazione" abbiamo ormai fatto abbondantemente il loro tempo. Altrimenti non saprei spiegare come un compositore australiano (Richard Charlton) possa comporre una Suite Latina dedicata a Antonio Lauro. O un compositore cileno (Alberto Cumplido) dedicare un brano a John Dowland.

Insomma credo siano finiti i tempi in cui ci domandavamo come un musicista giapponese potesse interpretare bene la musica classica occidentale o come un bianco potesse suonare un blues. Sarà per colpa o grazie della globalizzazione o della rapidità di distribuzione e della gratuità permessa da internet ma ormai non ci possiamo più nascondere: la musica è diventata liquida, come le informazioni, e ogni linguaggio musicale, sia esso di nicchia o appartenente a un particolare gruppo etnico, può essere ascoltato, analizzato, integrato senza doversi scomodare in particolari ricerche bibliografiche, discografiche o etnologiche sul campo. Ogni musicista, ogni interprete, ogni compositore, insomma chiunque può o vuole fare musica ha a sua disposizione la Biblioteca di Babele descritta da Borges a cui può attingere sotto forma di click.  Penso che questo sia un bene, poi il tempo e le nostre scelte definiranno cosa tenere e cosa lasciare. Intanto, brava Hilary.

http://www.hilaryfield.com/
http://www.yellowtailrecords.net/store/index.php?app=ecom&ns=prodshow&ref=10108CD

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