Quindi l'operazione iPod non sarebbe null'altro che l'ennesima prova di forza dell'effimero, dell'oggetto‑simbolo, del potere scatenante che ciclicamente alcuni prodotti industriali innervano nel mercato dei desideri di massa e dei feticisti incalliti.
Tecnicamente più che un moderno walkman, iPod (come qualsiasi altro lettore mp3) è l'equivalente in piccolo di un immenso juke box: ore e ore di musica disponibili in formato tascabile, capaci quindi di rispondere alla domanda (fondamentalmente inesistente) di un desiderio (totalmente indotto) di avere sempre disponibile un po' di musica per accompagnare i vari momenti della giornata.
Se è l'mp3 il futuro della musica, allora ecco un aggeggio che dall'mp3 non ti separerà mai con una qualità audio è ancora inferiore a quella del classico formato cd, il suo stile non ha pari, la sua forma è unica, e al piacere dell'occhio aggiunge quello dell'orecchio. Risultato successo totale di vendite, monopolio assoluto sul mercato e l'irruzione del marchio Apple tra le maglie del pubblico generalista, quello stesso pubblico che, a suo tempo, avrebbe considerato Apple il marchio dei professionisti, il marchio dei creativi, il marchio per pochi, il tutto senza creare crisi di rigetto tra i fans di vecchia data. E l’industria discografica? Che fa mentre l’industria informatica balla al suono di un successo nato sul cadavere della vecchia struttura di potere delle majors?
Sulla fine della famigerata industria discografica, cioè sul suo declino dovuto al peer to peer, alla scomparsa del supporto, all'uso massiccio dell'mp3 ecc ‑ negli ultimi anni si sono levati piagnistei e anche sinceri sospiri di sollievo.
Nessuno, penso, rimpiange le vetuste major, dinosauri fuori tempo massimo incapaci di gestire un mondo che alla fine ha dimostrato di saper viaggiare per ben altre direzioni e velocità. L’unico che sembra aver maturato una opinione e un problema sembra essere stato il cosiddetto universo underground: quanto il file sharing danneggia le etichette indipendenti, quanto è giusto privare di un sacrosanto sostegno economico i musicisti estranei ai grandi circuiti commerciali? La soluzione suggerita sembra essere: "Scaricatelo, ma se ti piace, comprati il cd! ".Questo ragionamento, implicitamente, parte da un assunto base: che per le multinazionali discografiche la fine è comunque scritta, e piuttosto sarebbe il caso di stabilire delle specie di “aree protette” per difendere i veri amici della musica, cioè ancora una volta i circuiti indie, soli in grado di apprezzare il materiale di cui trattano, e unici referenti sani per l'ascoltatore cosciente.
Il mondo della musica classica? Un silenzio assordante, rotto solo circa un anno fa dalla decisione della corazzata Deutsche Grammophone di attivare la vendita di file mp3 ad alta risoluzione direttamente dal suo sito internet e da qualche netlabel indipendente che aderendo alla licenza Creative Commons vende solo file (abbiamo parlato poco tempo fa della italianissima OnClassical).
Il mondo della Rete, o piuttosto il mondo che a partire dai suoi fenomeni si è generato, vive da sempre di grandi slanci, di appassionate professioni di idealismo, e anche di ingenuità. Majors al capolinea? Ci credevamo in pochi già all'epoca, e oggi forse nemmeno più quelli. I vecchi dinosauri, dal passo da elefante, ci hanno messo forse più tempo del dovuto, ma alla fine si sono adattati al nuovo ambiente, magari con qualche piccolo aiuto (RIAA e il suo esercito di legali) ma si sono adattati. Come?
Facciamo un piccolo riassunto: da una parte abbiamo un'industria (la Apple) che, giocando sul suo buon nome, intende allargarsi a ogni costo, e per farlo utilizza un mezzo avremmo detto collaterale, secondario: un semplice lettore mp3. Dall'altra abbiamo gli impenetrabili corridoi popolati da discografici in declino, i quali finalmente hanno capito, a furia di milioni di copie vendute in meno, che l’aria era cambiata e che bisognava tirare fuori un coniglio dal cilindro.
Soluzione?
Apple lancia sul mercato iPod, e tutti lo vogliono. Lo vuole quel pubblico tradizionalmente considerato irraggiungibile dalla casa di Steve Jobs, ma lo vuole anche quel pubblico che, di suo, della musica in fondo non gliene importa niente. Ora va bene il feticismo integrale, il fashion victim e il fatto che già possedere un iPod garantisca di suo un elevato grado di adesione iconica, ma è pur vero che possederne uno vuoto, senza almeno una manciata di mp3 da ascoltare, non ha alcun senso. Il pubblico generalista, quello che non riesce neanche a programmare un lettore DVD figuriamoci gestire il file sharing, e soprattutto quello disinteressato ad approfondire qualsivoglia discorso musicale, salvo forse San Remo (ma solo in TV) non ha altra scelta che affidarsi al download legale, quello a pagamento. Il risultato è che le vendite di file digitali hanno ormai surclassato del vendite del formato cd, ma internet non doveva cancellare le major o sta donando loro una seconda giovinezza?
parte prima
parte seconda
parte terza
Tecnicamente più che un moderno walkman, iPod (come qualsiasi altro lettore mp3) è l'equivalente in piccolo di un immenso juke box: ore e ore di musica disponibili in formato tascabile, capaci quindi di rispondere alla domanda (fondamentalmente inesistente) di un desiderio (totalmente indotto) di avere sempre disponibile un po' di musica per accompagnare i vari momenti della giornata.
Se è l'mp3 il futuro della musica, allora ecco un aggeggio che dall'mp3 non ti separerà mai con una qualità audio è ancora inferiore a quella del classico formato cd, il suo stile non ha pari, la sua forma è unica, e al piacere dell'occhio aggiunge quello dell'orecchio. Risultato successo totale di vendite, monopolio assoluto sul mercato e l'irruzione del marchio Apple tra le maglie del pubblico generalista, quello stesso pubblico che, a suo tempo, avrebbe considerato Apple il marchio dei professionisti, il marchio dei creativi, il marchio per pochi, il tutto senza creare crisi di rigetto tra i fans di vecchia data. E l’industria discografica? Che fa mentre l’industria informatica balla al suono di un successo nato sul cadavere della vecchia struttura di potere delle majors?
Sulla fine della famigerata industria discografica, cioè sul suo declino dovuto al peer to peer, alla scomparsa del supporto, all'uso massiccio dell'mp3 ecc ‑ negli ultimi anni si sono levati piagnistei e anche sinceri sospiri di sollievo.
Nessuno, penso, rimpiange le vetuste major, dinosauri fuori tempo massimo incapaci di gestire un mondo che alla fine ha dimostrato di saper viaggiare per ben altre direzioni e velocità. L’unico che sembra aver maturato una opinione e un problema sembra essere stato il cosiddetto universo underground: quanto il file sharing danneggia le etichette indipendenti, quanto è giusto privare di un sacrosanto sostegno economico i musicisti estranei ai grandi circuiti commerciali? La soluzione suggerita sembra essere: "Scaricatelo, ma se ti piace, comprati il cd! ".Questo ragionamento, implicitamente, parte da un assunto base: che per le multinazionali discografiche la fine è comunque scritta, e piuttosto sarebbe il caso di stabilire delle specie di “aree protette” per difendere i veri amici della musica, cioè ancora una volta i circuiti indie, soli in grado di apprezzare il materiale di cui trattano, e unici referenti sani per l'ascoltatore cosciente.
Il mondo della musica classica? Un silenzio assordante, rotto solo circa un anno fa dalla decisione della corazzata Deutsche Grammophone di attivare la vendita di file mp3 ad alta risoluzione direttamente dal suo sito internet e da qualche netlabel indipendente che aderendo alla licenza Creative Commons vende solo file (abbiamo parlato poco tempo fa della italianissima OnClassical).
Il mondo della Rete, o piuttosto il mondo che a partire dai suoi fenomeni si è generato, vive da sempre di grandi slanci, di appassionate professioni di idealismo, e anche di ingenuità. Majors al capolinea? Ci credevamo in pochi già all'epoca, e oggi forse nemmeno più quelli. I vecchi dinosauri, dal passo da elefante, ci hanno messo forse più tempo del dovuto, ma alla fine si sono adattati al nuovo ambiente, magari con qualche piccolo aiuto (RIAA e il suo esercito di legali) ma si sono adattati. Come?
Facciamo un piccolo riassunto: da una parte abbiamo un'industria (la Apple) che, giocando sul suo buon nome, intende allargarsi a ogni costo, e per farlo utilizza un mezzo avremmo detto collaterale, secondario: un semplice lettore mp3. Dall'altra abbiamo gli impenetrabili corridoi popolati da discografici in declino, i quali finalmente hanno capito, a furia di milioni di copie vendute in meno, che l’aria era cambiata e che bisognava tirare fuori un coniglio dal cilindro.
Soluzione?
Apple lancia sul mercato iPod, e tutti lo vogliono. Lo vuole quel pubblico tradizionalmente considerato irraggiungibile dalla casa di Steve Jobs, ma lo vuole anche quel pubblico che, di suo, della musica in fondo non gliene importa niente. Ora va bene il feticismo integrale, il fashion victim e il fatto che già possedere un iPod garantisca di suo un elevato grado di adesione iconica, ma è pur vero che possederne uno vuoto, senza almeno una manciata di mp3 da ascoltare, non ha alcun senso. Il pubblico generalista, quello che non riesce neanche a programmare un lettore DVD figuriamoci gestire il file sharing, e soprattutto quello disinteressato ad approfondire qualsivoglia discorso musicale, salvo forse San Remo (ma solo in TV) non ha altra scelta che affidarsi al download legale, quello a pagamento. Il risultato è che le vendite di file digitali hanno ormai surclassato del vendite del formato cd, ma internet non doveva cancellare le major o sta donando loro una seconda giovinezza?
parte prima
parte seconda
parte terza
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