giovedì 13 marzo 2008

Carducci e l’OULIPO

Se il Leopardi va annoverato ‘fra gli ispiratori più autorevoli, diretti o indiretti, della nostra crisi metrica, almeno da mezzo ‘800’ (1), bisogna ricordare che egli era in buona compagnia. Lo stesso Lonardi, nel saggio testé citato, afferma che nella medesima direzione, sia pure con mezzo diversissimi, procedeva l’esperimento carducciano di calco, o imitazione che dir si voglia, dei metri della poesia latina classica: ‘Carducci ha cercato, anche su suggestione leopardiana la forma senza forma, benché ovviamente con mezzi classici’. In effetti, credo che si sia sottovalutata, fino ad oggi, l’importanza del poeta maremmano a questo riguardo. Egli aveva un ‘gusto’ dell’esperimento metrico-ritmico, del vero e proprio ‘gioco poetico’, che trova difficilmente esempi paragonabili nella nostra storia letteraria: si può dire che abbia provato, una dopo l’altra, tutte le forme che la tradizione lirica gli poneva di fronte. Non solo: ha aperto, con le ‘Odi barbare’, appunto, una vera e propria officina in fatto di esperimenti di metrica. ‘Con queste odi’ scriveva il poeta ‘non intesi dare veruna battaglia.. a quella compagna antica e gloriosa della poesia nuova latina (la rima).. E così le composi, perché, avendo da esprimere pensieri e sentimenti che mi parevano diversi da quelli (dei poeti italiani da Dante a Leopardi), credei che questi pensieri e sentimenti io poteva esprimerli con una forma metrica meno discordante dalla forma organica con la quale mi si andavano determinando nella mente’ (2). Sarebbe questa la spiegazione della genesi delle ‘Odi barbare’? E’ davvero credibile che queste antiche (nuove) forme possedessero una maggiore concordanza con la ‘forma organica’ con cui si determinavano pensieri e sentimenti del Carducci? Mah! Abbiamo la parola del poeta, ma… c’è da fidarsi? Come dice, a proposito di E.A.Poe, Queneau, quando i poeti vogliono rivelare o segreti o le ragioni del loro lavoro, spesso non fanno altro che nascondersi dietro un velo di mistero solo apparentemente diverso dalla solita sacralità sacerdotale.. C’è un altro frammento delle note carducciane alla prima edizione delle Odi, in cui appare forse un briciolo di verità in più: ‘Che se a Catullo e ad Orazio fu lecito dedurre i metri della lirica eolia nella lingua romana, che altri ne aveva di suoi originari; se D poté arricchire di ‘care rime provenzali’ la poesia toscana etc. etc., io dovrei secondo ragione potere sperare che di ciò che a quei grandi poeti.. fu lode, a me si desse almeno il perdono..’ Insomma, se agli altri era lecito giocare con la trasposizione di strutture metriche da una lingua all’altra, l’unico bischero cui questo divertimento sarebbe precluso dovrei essere io? C’è chi tira in ballo il ‘classicismo’, inteso quale ‘senso di profondo e religioso mistero che suscita nel poeta la visione delle testimonianze della grandezza di Roma antica’, quel senso della ‘romanitas’, che L.Banfi ancora in un’edizione del 1964 giudica ‘il più nuovo fra tutti quelli che si intrecciano nelle Odi barbare’ (sic).. Ammettiamo che il Carducci stesso ed altri uomini di cultura suoi contemporanei e posteri (massime nel ventennio!), abbiano preso anche troppo sul serio un certo retoricume nazionalista da quattro sesterzi… beh, non credo che una motivazione del genere possa spiegare, da sola, il gusto così ‘giocoso’ di inventare-reinventare strutture melodiche e ritmiche assolutamente stravaganti e insolite. Il fatto è che questo sperimentalismo si pone oggettivamente fuori della tradizione metrica italiana e pazienza che sia ‘ideologicamente’ giustificato come recupero ‘barbarico’ dei moduli dell’antichità greco-romana. Recupero di che? Notare che il marchingegno ideato dal Carducci non è altro che un’imitazione della sonorità dei metri antichi, ottenuta sfruttando le peculiarità ritmiche dei versi italiani: Egli per es. compone in ‘distici elegiaci’, ma i versi che usa sono in realtà: un quinario o senario o settenario più un novenario (ad imitazione dell’esametro) e un quinario o settenario più un settenario (ad imitazione del pentametro). Sono quindi, da qualunque parte le si voglia vedere, creazioni artificiose ed arbitrarie.. beh, artificiose come tutte le norme che stabiliscono ‘a priori’ l’alveo in cui deve scorrere il discorso poetico: non è artificioso il sonetto, per dire? Arbitrarie, perché non appartengono ad una tradizione poetica consolidata, come il sonetto, appunto. Certo, la dissoluzione delle forme metriche tradizionali nella lirica del ‘900 è avvenuta seguendo tutt’altre strade.. Nulla sembra più lontano del ‘verso libero’ da questa ricerca puntigliosa di nuovi, e gratuiti, lacci e laccioli.. Però, uno pensa ai giochi dell’OULIPO, al ‘principio dell’automatismo per cui le regole del gioco generano l’opera’, della struttura come libertà, che ‘produce il testo e nello stesso tempo la possibilità di tutti i testi virtuali che possono sostituirlo’ (3)... ed è costretto ad ammettere che i membri dell’OULIPO troverebbero pane per i loro denti, studiando le alchimie metriche e ritmiche escogitate dal Carducci, per rendere, nella nostra lingua barbara, i metri ‘classici’.. Insomma un loro precursore? O, come scherzosamente gli stessi membri dell’OULIPO definiscono i ‘precursori’ di giochi simil-oulipiani , un plagiario per anticipazione?

Fauvel

(1) Gilberto Lonardi, Leopardismo, Sansoni, 1974
(2) Odi barbare, prefazione alla prima edizione, 1877
(3) Raymond Queneau, Segni, cifre e lettere, introduzione all’edizione italiana di Italo Calvino, Einaudi, 1981

Per chi volesse curiosare…


http://it.wikisource.org/wiki/Odi_barbare

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