Insomma come dicevamo mica due qualsiasi, due mostri sacri della techno, anzi due cesellatori fini e intelligenti, capaci di agire con circospezione in un campo minato senza ferirsi, e le cui assidue collaborazioni (si scambiano spesso remix), unite alla stima reciproca, hanno condotto in porto un rifacimento a cui soltanto artisti di tale caratura potevano rispondere con tale precisione e solerzia.
Come dicevamo prima l’interazione fra concezioni musicali agli antipodi è sempre stata una tentazione irresistibile per i musicisti più ambiziosi. Nel caso specifico, cercare possibili collegamenti fra musica classica (o jazz) e pulsazioni techno è stato un obiettivo spesso ambito da diversi anni a questa parte. Partendo dalla fanfare jazz trasfigurate della Matthew Herbert Big Band, passando per Murcof, e arrivando al progetto dello stesso Carl Craig più attinente all’argomento: il disco “Programmed” dell’orchestra Innerzone. I ritmi, quando scomposti e sostenuti, quando caldi e ammalianti, hanno sempre provato a sollecitare (o assecondare) un’atmosfera tutt’altro che abituata a certi stravolgimenti melodici e strutturali e come ho detto precedentemente il risultato, se non supportato da ispirazione e smisurato controllo dei mezzi, s'è dimostrato spesso fuori centro e anacronistico. La realizzazione di questo disco ha chiesto non poco tempo e fatica al duo:" il disco ha preso forma nell’arco di un anno tra Detroit eBerlino, e questo ha. reso tutto ancora piu prezioso, il fatto che quando Moritz poteva veniva a trovarmi e lavoravamo su una sezione, quando potevo io andavo da lui e continuavamo con un’altra, c’è stato un interscambio di energie molto bello".
L’esperienza da entrambi maturata con anni di sperimentazioni sul campo aiuta la coppia a condurre le composizioni dalle parti di un minimalismo classico, scosso da flebili tumulti, un’oasi floreale di tranquilla beatitudine da cui prende vita il “Bolero” poi adeguatamente smembrato nel minimalismo quasi “reichiano” dei primi due movimenti, fra serpentine di fiati messi in loop che si aggrovigliano fra loro, comiche fanfare di trombe, flauti e fagotti timidi, elevando con tatto il numero di battiti al secondo nella parte centrale sfociando nell’implosione di “Movement 4” dove Von Oswald prende le redini del gioco e ci conduce in un universo di bolle dub, radiazioni sotterranee, frequenze metastatiche, luce fredda di tastiere mai così acide: gli universi della Basic Channel che tornano a farci visita in tutto il loro gelido meccanico splendore. Si rende necessario uno spatiacque, una pausa, un tramite, ecco quindi “Interlude” che ci trasporta senza bruschi cambi verso la seconda parte del cd, composta da sole due tracce, entrambe sui quindici minuti, un nuovo flusso armonico. Due movimenti che sembrano essere terreno fertile per Carl Craig, e non è un caso che siano anche i più sinfonici e tempestosamente romantici del lotto, con i contrabbassi a danzare pensantemente e gli archi a fondersi ciclicamente con il beat in un affresco degno dei cavalieri kosmische tedeschi. La maggiore durata dei due movimenti permette di svilupparne i concetti in maniera più tranquilla e meditata, con le melodie che serpeggiano furbone, le percussioni esplodono e si adagiano su un registro d’esecuzione più posato. Nel finale il ritmo si fa’ trascinante, quasi jazzy, rendendo così il sesto movimento un balletto disperatamente vitale, colmo di desiderio, profondamente “craighiano” a dimostrazione della validità del progetto e dell’idea originaria.
Ho cercato reazioni e recensioni a questa fatica discografica nel web e in alcune riviste ma le sole che ho trovato erano a nome di appassionati di techno ed erano tutte favorevoli. Nessun commento, nessun cenno dal mondo della classica che evidentemente non ritiene necessario interessarsi a questo esperimento, anche se avviene sotto le ali della prestigiosa Deutsche Grammophone.
Il punto che mi pare interessante sottolineare è che non vedo poi così tante differenze tra l’atteggiamento di chi fa techno e usa in maniera scientifica le macchine per generare musica tramite campionamenti e l’atteggiamento di compositori come Schomberg, Boulez e Cage caratterizzati dal desiderio assoluto di controllo sull’esecuzione e sugli esecutori. E allo stesso tempo mi interrogo sulle strategie della Deutsche Grammophone, già poco più di un anno fa ci aveva meravigliato iniziando (la prima tra le case discografiche dedite alla musica classica) la vendita di musica in formato mp3 anche se ad alta qualità (320 kb) e ora questa nuova collana dedicata ai remix effettuati attingendo a un catalogo semplicemente eccezionale. L’ennesimo tentativo di avvicinare nuove categorie di consumatori alla musica classica? Non so. Carl Graig e Moritz Von Oswald sono personaggi di culto nel mondo techno ma non penso assolutamente che le vendite dei loro cd siano lontanamente paragonabili alle vendite di un Giovanni Allevi o di un cantante pop. E la techno? Si prepara a un nuovo quantum leap evolutivo? Staremo a vedere.
Per ora mi godo questo disco, incrocio tra le radici del suono techno (i Kraftwerk, la “E2-E4” di Manuel Göttsching) e le avanguardie minimaliste da cui continua ad attingere idee e nuova linfa (Terry Riley e Steve Reich sono da sempre amati dai DJ) e il desiderio di remix che da sempre è uno stimolo e un pungolo per chi ama questa musica. Un opera di confine, molto borderline, in cui la manipolazione del materiale di partenza è talmente profonda da rasentare la riscrittura vera e propria: ci vuole un buon orecchio per riuscire a riconoscere i frammenti delle partiture classiche dalle alchimie perfezionate dai due signori del mixer e, in fin dei conti, ho trovato divertente andare a cercarli.
Empedocle70
Come dicevamo prima l’interazione fra concezioni musicali agli antipodi è sempre stata una tentazione irresistibile per i musicisti più ambiziosi. Nel caso specifico, cercare possibili collegamenti fra musica classica (o jazz) e pulsazioni techno è stato un obiettivo spesso ambito da diversi anni a questa parte. Partendo dalla fanfare jazz trasfigurate della Matthew Herbert Big Band, passando per Murcof, e arrivando al progetto dello stesso Carl Craig più attinente all’argomento: il disco “Programmed” dell’orchestra Innerzone. I ritmi, quando scomposti e sostenuti, quando caldi e ammalianti, hanno sempre provato a sollecitare (o assecondare) un’atmosfera tutt’altro che abituata a certi stravolgimenti melodici e strutturali e come ho detto precedentemente il risultato, se non supportato da ispirazione e smisurato controllo dei mezzi, s'è dimostrato spesso fuori centro e anacronistico. La realizzazione di questo disco ha chiesto non poco tempo e fatica al duo:" il disco ha preso forma nell’arco di un anno tra Detroit eBerlino, e questo ha. reso tutto ancora piu prezioso, il fatto che quando Moritz poteva veniva a trovarmi e lavoravamo su una sezione, quando potevo io andavo da lui e continuavamo con un’altra, c’è stato un interscambio di energie molto bello".
L’esperienza da entrambi maturata con anni di sperimentazioni sul campo aiuta la coppia a condurre le composizioni dalle parti di un minimalismo classico, scosso da flebili tumulti, un’oasi floreale di tranquilla beatitudine da cui prende vita il “Bolero” poi adeguatamente smembrato nel minimalismo quasi “reichiano” dei primi due movimenti, fra serpentine di fiati messi in loop che si aggrovigliano fra loro, comiche fanfare di trombe, flauti e fagotti timidi, elevando con tatto il numero di battiti al secondo nella parte centrale sfociando nell’implosione di “Movement 4” dove Von Oswald prende le redini del gioco e ci conduce in un universo di bolle dub, radiazioni sotterranee, frequenze metastatiche, luce fredda di tastiere mai così acide: gli universi della Basic Channel che tornano a farci visita in tutto il loro gelido meccanico splendore. Si rende necessario uno spatiacque, una pausa, un tramite, ecco quindi “Interlude” che ci trasporta senza bruschi cambi verso la seconda parte del cd, composta da sole due tracce, entrambe sui quindici minuti, un nuovo flusso armonico. Due movimenti che sembrano essere terreno fertile per Carl Craig, e non è un caso che siano anche i più sinfonici e tempestosamente romantici del lotto, con i contrabbassi a danzare pensantemente e gli archi a fondersi ciclicamente con il beat in un affresco degno dei cavalieri kosmische tedeschi. La maggiore durata dei due movimenti permette di svilupparne i concetti in maniera più tranquilla e meditata, con le melodie che serpeggiano furbone, le percussioni esplodono e si adagiano su un registro d’esecuzione più posato. Nel finale il ritmo si fa’ trascinante, quasi jazzy, rendendo così il sesto movimento un balletto disperatamente vitale, colmo di desiderio, profondamente “craighiano” a dimostrazione della validità del progetto e dell’idea originaria.
Ho cercato reazioni e recensioni a questa fatica discografica nel web e in alcune riviste ma le sole che ho trovato erano a nome di appassionati di techno ed erano tutte favorevoli. Nessun commento, nessun cenno dal mondo della classica che evidentemente non ritiene necessario interessarsi a questo esperimento, anche se avviene sotto le ali della prestigiosa Deutsche Grammophone.
Il punto che mi pare interessante sottolineare è che non vedo poi così tante differenze tra l’atteggiamento di chi fa techno e usa in maniera scientifica le macchine per generare musica tramite campionamenti e l’atteggiamento di compositori come Schomberg, Boulez e Cage caratterizzati dal desiderio assoluto di controllo sull’esecuzione e sugli esecutori. E allo stesso tempo mi interrogo sulle strategie della Deutsche Grammophone, già poco più di un anno fa ci aveva meravigliato iniziando (la prima tra le case discografiche dedite alla musica classica) la vendita di musica in formato mp3 anche se ad alta qualità (320 kb) e ora questa nuova collana dedicata ai remix effettuati attingendo a un catalogo semplicemente eccezionale. L’ennesimo tentativo di avvicinare nuove categorie di consumatori alla musica classica? Non so. Carl Graig e Moritz Von Oswald sono personaggi di culto nel mondo techno ma non penso assolutamente che le vendite dei loro cd siano lontanamente paragonabili alle vendite di un Giovanni Allevi o di un cantante pop. E la techno? Si prepara a un nuovo quantum leap evolutivo? Staremo a vedere.
Per ora mi godo questo disco, incrocio tra le radici del suono techno (i Kraftwerk, la “E2-E4” di Manuel Göttsching) e le avanguardie minimaliste da cui continua ad attingere idee e nuova linfa (Terry Riley e Steve Reich sono da sempre amati dai DJ) e il desiderio di remix che da sempre è uno stimolo e un pungolo per chi ama questa musica. Un opera di confine, molto borderline, in cui la manipolazione del materiale di partenza è talmente profonda da rasentare la riscrittura vera e propria: ci vuole un buon orecchio per riuscire a riconoscere i frammenti delle partiture classiche dalle alchimie perfezionate dai due signori del mixer e, in fin dei conti, ho trovato divertente andare a cercarli.
Empedocle70
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