Il titolo di un articolo è senza dubbio promessa di quello che verrà, ma purtroppo infrangerò la promessa; infatti, risposte sull’argomento “lunfardo” non ne troverete nei seguenti paragrafi. Forse ci saranno alcune chiavi di lettura con le qualli mettere in dubbio le definizioni categoriche sul lunfardo contenute nei libri pubblicati in Italia e in siti web italiani.
Forse qualche studioso di linguistica dirà che sarebbe meglio sostituire la parola “lingua” con “linguaggio” e che alla parola tango andrebbe aggiunto “rioplatense”, per circoscrivere un ambito geografico-culturale dove il linguaggio si sviluppa. Chiedo scusa.
Gli intellettuali che hanno scritto e teorizzato sul tango da decenni discutono sulla definizione del termine lunfardo. Senza dubbio il lunfardo esiste e, secondo me, non è necessario definirlo né difenderlo, ma sulle rive del Rio della Plata la polemica è una delle caratteristiche esenziali del tango. Entriamo dunque in questa polemica.
A Buenos Aires c’è una lingua ufficiale chiamata castellano (spagnolo) che, pur essendo condivisa con il resto degli ispano-parlanti del mondo, risulta molto diversa nel suo carattere formale (pronuncia, grammatica, sintassi); differenza ancor più marcata nel linguaggio “popolare” (quello di tutti i giorni per intenderci). Questa differenza era già manifesta nel XIX secolo e l’idea di cambiare la grammatica spangola per una rioplantese circolava fra gli intellettuali dell’inizio del ‘9001; ma un vero cambiamento non è mai avvenuto, solo un’accettazione graduale di nuove forme grammaticali e nuove parole che appaiono nel Diccionario Real Academia Española sotto il nome di “argentinismi”.
Il linguaggio popolare ha sempre “interagito” con quello dei mezzi di comunicazione; facendo un esempio dei giorni nostri: le serie tv e le telenovelas utilizzano un linguaggio che le persone riconoscono come familiare, ma nella realtà le persone non parlano così. Quando il tango nacque, all’alba del XX secolo, i mezzi di comunicazione erano: giornali, libri, spettacoli teatrali e canzoni; la gente capiva questi autori ma non parlava come loro; perciò non dobbiamo confondere la letteratura di carattere popolare con il linguaggio popolare.
A metà dell‘800 i fondatori dello Stato argentino, dopo aver stermitato le popolazioni autoctone e quelle discendenti dagli schiavi africani, decisero di popolare il Paese con la “razza” europea, pensando di accogliere dall’Europa letterati, ingenieri e dottori, ma ricevettero milioni di contadini analfabeti, avanzi di galera e disperati.
La fine del XIX secolo presenta un fenomento particolare: la partecipazione della masse popolari alla vita politica. La lotta tra il potere stabilito e i cittadini si manifestò mediante guerre civili, scioperi, repressioni e manifestazioni di piazza; ma principalmente sul piano simbolico, in particolare con la lingua e tutto quello che essa rappresenta. Una battaglia di carta e inchiostro la vinse Josè Hernàndez nel 1872 pubblicando il libro El gaucho Martìn Fierro2, nel quale si descrive l’oppressione dei gauchos da parte dello Stato. Questo poema epico utilizza un linguaggio chiamato gauchesco3, già usato da altri ma che Hernàndez fu il primo a utilizzare come arma politica. Dopo la pubblicazione di quest’opera a Buenos Aires e Montevideo la prevalenza della cultura rurale cedeva il passo ad una cultura dei sobborghi.
Una traduzione del termine lunfardo è quella di ladro, parola che dà il il nome anche al gergo utilizzato dagli stessi delinquenti.
Forse qualche studioso di linguistica dirà che sarebbe meglio sostituire la parola “lingua” con “linguaggio” e che alla parola tango andrebbe aggiunto “rioplatense”, per circoscrivere un ambito geografico-culturale dove il linguaggio si sviluppa. Chiedo scusa.
Gli intellettuali che hanno scritto e teorizzato sul tango da decenni discutono sulla definizione del termine lunfardo. Senza dubbio il lunfardo esiste e, secondo me, non è necessario definirlo né difenderlo, ma sulle rive del Rio della Plata la polemica è una delle caratteristiche esenziali del tango. Entriamo dunque in questa polemica.
A Buenos Aires c’è una lingua ufficiale chiamata castellano (spagnolo) che, pur essendo condivisa con il resto degli ispano-parlanti del mondo, risulta molto diversa nel suo carattere formale (pronuncia, grammatica, sintassi); differenza ancor più marcata nel linguaggio “popolare” (quello di tutti i giorni per intenderci). Questa differenza era già manifesta nel XIX secolo e l’idea di cambiare la grammatica spangola per una rioplantese circolava fra gli intellettuali dell’inizio del ‘9001; ma un vero cambiamento non è mai avvenuto, solo un’accettazione graduale di nuove forme grammaticali e nuove parole che appaiono nel Diccionario Real Academia Española sotto il nome di “argentinismi”.
Il linguaggio popolare ha sempre “interagito” con quello dei mezzi di comunicazione; facendo un esempio dei giorni nostri: le serie tv e le telenovelas utilizzano un linguaggio che le persone riconoscono come familiare, ma nella realtà le persone non parlano così. Quando il tango nacque, all’alba del XX secolo, i mezzi di comunicazione erano: giornali, libri, spettacoli teatrali e canzoni; la gente capiva questi autori ma non parlava come loro; perciò non dobbiamo confondere la letteratura di carattere popolare con il linguaggio popolare.
A metà dell‘800 i fondatori dello Stato argentino, dopo aver stermitato le popolazioni autoctone e quelle discendenti dagli schiavi africani, decisero di popolare il Paese con la “razza” europea, pensando di accogliere dall’Europa letterati, ingenieri e dottori, ma ricevettero milioni di contadini analfabeti, avanzi di galera e disperati.
La fine del XIX secolo presenta un fenomento particolare: la partecipazione della masse popolari alla vita politica. La lotta tra il potere stabilito e i cittadini si manifestò mediante guerre civili, scioperi, repressioni e manifestazioni di piazza; ma principalmente sul piano simbolico, in particolare con la lingua e tutto quello che essa rappresenta. Una battaglia di carta e inchiostro la vinse Josè Hernàndez nel 1872 pubblicando il libro El gaucho Martìn Fierro2, nel quale si descrive l’oppressione dei gauchos da parte dello Stato. Questo poema epico utilizza un linguaggio chiamato gauchesco3, già usato da altri ma che Hernàndez fu il primo a utilizzare come arma politica. Dopo la pubblicazione di quest’opera a Buenos Aires e Montevideo la prevalenza della cultura rurale cedeva il passo ad una cultura dei sobborghi.
Una traduzione del termine lunfardo è quella di ladro, parola che dà il il nome anche al gergo utilizzato dagli stessi delinquenti.
continua domani ..
1 J.L. Borges El tamaño de mi esperanza. Alianza Editorial. Madrid. 2000. Per esempio Borges omette la lettera “d” in parole come “realidad” che diventa “realidà”.
Vicente Rossi, Cosas de Negros. Libreria Hachette. Buenos Aires 1958 (la prima edizione e del 1926) Nello studio preliminare all’ edizione del 1958 Horacio Jorge Becco fa una spiegazione dei tentativi di cambiamenti nella grafia spagnola nel Rio de la Plata
2 Josè Hernàndez, El Gaucho Martìn Fierro. Ediciones Càtedra. Madrid 1991. Edizione a cura di Luis Sàinz de Medrano
3 Gauchesco è tutto ciò che è relativo al Gaucho, abitante delle praterie argentine, lavorava come mandriano, ormai sono solo personaggi letterari. Sulla poesia gauchesca raccomando il libro di Fernando Hugo Casullo La poesia Gauchesca Rioplatense. Popular y Culta. A. Peña Lillo editor. Buenos Aires 1963 colecciòn: La Siringa
Vicente Rossi, Cosas de Negros. Libreria Hachette. Buenos Aires 1958 (la prima edizione e del 1926) Nello studio preliminare all’ edizione del 1958 Horacio Jorge Becco fa una spiegazione dei tentativi di cambiamenti nella grafia spagnola nel Rio de la Plata
2 Josè Hernàndez, El Gaucho Martìn Fierro. Ediciones Càtedra. Madrid 1991. Edizione a cura di Luis Sàinz de Medrano
3 Gauchesco è tutto ciò che è relativo al Gaucho, abitante delle praterie argentine, lavorava come mandriano, ormai sono solo personaggi letterari. Sulla poesia gauchesca raccomando il libro di Fernando Hugo Casullo La poesia Gauchesca Rioplatense. Popular y Culta. A. Peña Lillo editor. Buenos Aires 1963 colecciòn: La Siringa
Nessun commento:
Posta un commento