lunedì 12 agosto 2013

Recensione di refugio di Laboule, Long Songs Records, 2013



E così sembra che ci siamo, l'ombra lunga del weird folk ha raggiunto anche le periferie italiche. Nel 2011 Gino Dal Soler scrisse il libro "The circle is unbroken" dove raccontava 40 anni di folk visionario e psichedelico e del coraggioso recupero che alcuni "manipoli" di appassionati stavano facendo in modo sporadico, anti economico e discontinuo cercando di allargarne nel frattempo le frontiere.
E se la maggior parte di essi appare e scompare nel mare magnum delle possibilità offerte da un mercato che ha ormai raggiunto dimensioni incontrollate, alcuni di essi sono arrivati nel corso di anni di lavoro tenace e paziente a consolidare una solida reputazione guadagnandosi il compito di proseguire sulla strada iniziata dai loro eroi.
Laboule è al suo primo disco ma la "carne" che mette qui sul fuoco è tanta, di ottima qualità e decisamente gustosa. I riferimenti sono quelli di Robbie Basho, visionario chitarrista che riuscì a fondere tra di loro con la sua chitarra acustica a 12 corde blues, musica indiana e pre war folk.
Accordature aperte, un approccio genuino e sincero, canzoni sussurrate, un senso di dilatazione dello spazio attorno alle sue note che affascina e ammalia .. il tempo lasciato sospeso tra le corde di una chitarra acustica.
Registrato in montagna, nella  pace e solitudine del rifugio Menaggio questo disco cattura le dimensioni e gli spazi delle valli della Valtellina, Laboule ovvero Paolo Novellino, milanese di nascita, artista di adozione, dimostra una maturità artistica impressionante. Sì, i riferimenti sono Basho, Fahey e la primitive guitar ma Novellino metabolizza e rielabora questo glorioso passato rifiutando di lasciarsi imprigionare e allunga il suo sguardo nelle valli e oltre Milano.
Consigliatissimo

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