Quando avete iniziato a suonare la chitarra
e perché?
Ci siamo avvicinati alla chitarra in tempi molto
diversi. Mario ha iniziato a sette anni mosso dallo spirito di
emulazione nei confronti di suo padre che si esibiva con la chitarra
elettrica in un gruppo degli anni sessanta. Luca ha intrapreso lo
studio dello strumento ad undici anni, dopo esser stato affascinato
da alcune esecuzioni di virtuosi della chitarra classica e moderna
(Segovia e Van Allen su tutti). Marco ha iniziato da autodidatta
molto tardi, quasi per scherzo, intorno ai 16/17 anni. Condividendo
la passione chitarristica con amici e volendo approfondire lo studio
dello strumento, a 20 anni si è iscritto ad un corso di chitarra
classica: da quel giorno lo studio dello strumento è diventato parte
fondamentale della propria vita.
Che studi avete fatto e qual è il vostro
background musicale?
Mario: a sette anni ho iniziato lo
studio privatamente. A undici sono entrato nella classe di chitarra
del l’Istituto Musicale Donizetti di Bergamo e, sotto la guida di
Giorgio Oltremari, mi sono diplomato con il massimo dei voti a 19
anni. Ho frequentato successivamente corsi di perfezionamento con
Angelo Gilardino e Tilmann Hoppstock, mentre da autodidatta ho
intrapreso parallelamente lo studio della chitarra elettrica. Mi
sono successivamente Laureato in Musicologia e ho conseguito, sempre
all’istituto Donizetti, il diploma in strumento di secondo livello.
Pur avendo una formazione classica, amo ascoltare molta musica rock e
heavy metal, che affronto anche da interprete e autore con un gruppo
rock di amici.
Luca: dopo i corsi in biblioteca mi sono
iscritto all’Istituto Donizetti di Bergamo , diplomandomi sotto la
guida di Giorgio Oltremari. Sono stato membro per diversi anni di una
rock band bergamasca. In ambito classico prediligo i concerti grossi
barocchi e la musica sinfonica ottocentesca. In ambito rock ho una
particolare dedizione ai grandi virtuosi come Steve Vai, Joe
Satriani, Tony McAlpine.
Marco: dai vent’anni ho portato avanti
parallelamente gli studi in Musicologia e lo studio della chitarra
classica terminandoli nello stesso periodo. Mi sono diplomato al
conservatorio di Piacenza sotto la guida di Marco Taio. Ho
frequentato successivamente corsi di perfezionamento con Carlos
Bonell e Giulio Tampalini e ho conseguito con il massimo dei voti il
Diploma di Secondo Livello in chitarra all’Istituto Donizetti di
Bergamo, al termine di due anni di studio con Luigi Attademo. E’
molto difficile sintetizzare in poche righe il mio background
musicale. Se devo citare qualche punto di riferimento, direi
sicuramente Bach e molti autori del Novecento: Debussy, Stravinskij,
Bartok… ma anche Charles Mingus, Jimi Hendrix (come non inserirlo,
sono anch’io mancino..). Negli ascolti prediligo la musica
cameristica e sinfonica, da cui traggo i principali spunti
interpretativi.
Con che chitarre suonate e con quali avete
suonato?
Luca possiede una Masaru Khono Special dell’89
e Mario una Masaru Khono Special del ’92. Marco utilizza
attualmente una chitarra dei f.lli Lodi, dopo aver suonato per
diversi anni una chitarra del liutaio Michele Della Giustina.
Come è nato il Trio Chitarristico di
Bergamo?
Mario e Luca si sono conosciuti durante gli
studi presso l’Istituto Donizetti, mentre Marco e Mario si sono
incontrati a Cremona, entrambi iscritti alla Facoltà di Musicologia.
Nell’estate del 2008 ci siamo ritrovati in un’orchestra di
chitarre diretta da un amico chitarrista, Paolo Viscardi. Quella è
stata l’occasione per rivedersi e nel giro di poco tempo è nata
l’idea e di dar vita al Trio Chitarristico di Bergamo.
Come è nata l'idea di un cd come "LightShadows of Ideas"?
Partendo dallo studio di convincenti
trascrizioni, col passare del tempo ci siamo dedicati sempre più
attivamente allo studio delle opere per trio di chitarre. Una ricerca
continua motivata dal desiderio di scoprire e approfondire anche le
opere contemporanee. L’esecuzione di molti pezzi di autori italiani
viventi ha spinto gli stessi a comporre e a dedicarci nuova musica.
Dopo qualche anno, in modo del tutto naturale, è nata l’idea di
fissare questi brani in un CD “a tema”.
Quale significato ha l’improvvisazione
nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di
improvvisazione in un repertorio così codificato come quello
classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori,
jazz, contemporanea, etc?
E’ un problema molto complesso.
L’improvvisazione nella musica “classica” è sempre esistita,
almeno fino all’inizio dell’800. Il radicarsi del concetto di
“repertorio” in epoca romantica ha spinto le scuole di musica,
soprattutto i conservatori, a specializzarsi sempre più nella
formazione di interpreti, sacrificando l’aspetto creativo che è
rimasto prerogativa dei soli compositori. Saper improvvisare
significa saper comporre in modo estemporaneo; molta musica
contemporanea lascia spazio all’improvvisazione, così pure la
musica barocca o quella di altre epoche più antiche.. Il problema è
principalmente ottocentesco e al giorno d’oggi subiamo ancora il
retaggio di un’impostazione didattica e culturale legata ad una
concezione statica del repertorio e ad una figura del musicista
secolarizzata. Nulla ci vieta di imparare ad essere degli esecutori,
dei compositori e degli improvvisatori. La didattica moderna tende ad
unire e non a dividere questi aspetti.
Berlioz disse che comporre per chitarra
classica era difficile perché per farlo bisognava essere
innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una
giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica
rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo
stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente
interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi)
riscuote nella musica contemporanea, per non parlare del successo
nella musica leggera, dove chitarra elettrica è ormai sinonimo di
rock ... quanto
ritenete che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?
Berlioz lasciò queste osservazioni in un
contesto storico ben preciso. La chitarra iniziava ad essere
soppiantata da un repertorio che prediligeva strumenti dal maggior
impatto sonoro. Tuttavia la frase di Berlioz suona per certi versi
ancora attuale. Quasi tutti i brani che abbiamo inciso nel nostro CD
ad esempio sono stati composti da chitarristi compositori e parte del
repertorio chitarristico è legato al nome di musicisti che hanno
appreso la pratica delle sei corde. Tuttavia, se pensiamo al vasto
repertorio novecentesco per chitarra, molti capolavori sono stati
concepiti da autori non chitarristi che si sono avvalsi spesso
dell’aiuto di interpreti. Ma la chitarra ancora oggi spaventa, è
strumento polifonico che presuppone una conoscenza approfondita,
senza la quale molta musica che potrebbe essere scritta risulterebbe
poco eseguibile o comunque di basso impatto emotivo. Quanto alla
chitarra moderna, sia essa elettrica o acustica, non pensiamo che
abbia messo in crisi la chitarra classica, semplicemente parliamo di
uno strumento diverso, che predilige altre tecniche e altri tipi di
repertorio (non per questo inconciliabili).
Luciano Berio ha scritto “la
conservazione del passato ha un senso anche negativo, quanto diventa
un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava
un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto
pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto
pare disturbarla”, che ruolo può assumere la ricerca storica e
musicologica in questo contesto?
La frase di Berio pensiamo sia rivolta ai
detrattori dell’avanguardia, ma andrebbe contestualizzata. Fare
ricerca musicologica, documentarsi in funzione della prassi
esecutiva, riscoprire e valorizzare i capolavori del passato non
significa chiudere le porte al “nuovo”, anzi potrebbe servire da
preziosa miniera per permettere alla nuova musica di rompere la
continuità temuta.
Ho, a volte, la sensazione che nella
nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare
interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra
discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il
futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare
il rischio per un interprete e per un compositore di una visione
uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?
Pensiamo sia dovere dell’interprete serio
selezionare nella propria discoteca le incisioni che ritiene più
valide, secondo un criterio di scelta che implica un ascolto attento
e una forte capacità critica. Oggigiorno (soprattutto nel web)
esiste un’offerta musicale talmente vasta da oltrepassare la
domanda dei fruitori, i quali affrontano moltissima musica in modo
molto volatile e superficiale. E’ compito dell’ascoltatore
attento e del bravo interprete combattere questa superficialità,
anche perché i mezzi tecnologici al giorno d’oggi, se usati bene,
offrono dei grandissimi vantaggi.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Un disco di musiche dell’800 per trio di
chitarre.
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