Normalmente non scrivo necrologi. Li ho sempre detestati. Sapete ... le solite storie, le solite lagne, i soliti R.I.P. ipocriti. Ma nel caso di B.B. King è diverso.
Quando se ne va uno come lui, bisogna scrivere qualcosa perché è come se scomparisse la facciata di una cattedrale. Musicisti, leggi bene musicisti non chitarristi, come lui sono pochi e preziosi come le dita di una mano perché sono tra i pochi che sono stati in grado di trascendere e il proprio strumento e i canoni del proprio genere musicale trasformando la loro musica in un continuo e universale veicolo di emozioni e di sensazioni.
Si sapeva da tempo dei suoi problemi fisici e questa triste notizia era attesa, era solo questione di tempo. Eppure fa male, perché quando un Re diventa un'icona diventa immortale anzitempo, diventa un santo prima ancora che si vedano le sue reliquie. B.B. King è stato per chiunque ami la chitarra, anzi la musica, in una qualsiasi delle sue forme un esempio di coerenza artistica, umana e professionale inimitabile e unica, ha saputo andare oltre alle mode, ai tempi e alle miserie della nostra umana debolezza, ha saputo regalarci momenti di gioia, felicità, emozioni uniche e irripetibili.
Lo ammetto credevo che fosse immortale, credevo che non potesse morire, che quel suo vibrato così pulito, così emotivo, così emozionale potesse risuonare nell'aria per sempre. Mi sbagliavo.
Il 14 maggio se ne è andato il terzo Re del Blues, dopo Albert King e Freddy King mancava solo lui all'appello. Per chi li volesse riascoltare vi do il link del podcast della mia puntata radio a loro dedicata. Chissà che jam stanno suonando da qualche parte nell'aldilà.
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