Queste osservazioni nascono dalla lettura di due ‘classici’ di poesia cinese tradotta in lingua italiana: si tratta di ‘Liriche cinesi’, a cura di Giorgia Valensin, ed.Einaudi, con prefazione di Eugenio Montale e di ‘Tutte le poesie’ di Mao Tse Tung, ed. Newton Compton, con traduzione di Girolamo Mancuso e prefazione di Alberto Moravia.
Eugenio Montale, a proposito della poesia cinese, afferma: "Nel suo processo interiore e nel suo sviluppo storico, ciò che il nostro mondo occidentale intende per poesia non fa che mirare ad una condizione di arte pura del tutto astratta, in quanto limite, ed irraggiungibile.." Ciò che contraddistinguerebbe in modo saliente la nostra poesia, e la nostra concezione della poesia, da quella orientale, cui di fatto viene contrapposta. Da noi "persiste in ogni espressione scritta a fini estetici un certo dualismo fra suono e significato, tra forma e sostanza", e questo dissidio -fecondissimo- "resta aperto nell'altalena classicismo-romanticismo che è alla base di tutta l'arte occidentale". Un dissidio che non è solo fra epoca ed epoca, ma vive anche nel cuore di ogni singolo artista, fra momenti in cui "le linee tendono ad aprirsi, il significato vaga e si sforza di disfarsi della c.d. forma", e momenti che segnano "un ritorno classico, di piena diffidenza per i significati, per i valori di contenuto". In definitiva è proprio questa continua tensione, questa lotta perenne a determinare, nella nostra cultura, il senso del tempo, della storia.. Se è vero che può accaderci talvolta di riflettere con un profondo senso di disagio all'inutilità di tante rivolte e restaurazioni, è altrettanto vero che questo disagio non arriverà mai a farci cogliere l'orror vacui di un mondo stagnante e privo di determinazioni. Anzi "il nostro mondo è compatto, gremito, abitato da divinità umane che ne rifanno e ne consumano il tempo perpetuamente.." Il tempo è legato all'uomo, è fatto dall'uomo. Per i cinesi non è così. Attraverso secoli, durante i quali si avvicendano flagelli, guerre, carestie, orrori, la poesia si trasmette di generazione in generazione come un fiore di giada e ci parla di un uomo immerso, quasi verrebbe di dire sperduto, in un universo indifferente ed immutabile. Un mondo in cui "il tempo è scandito dal ritmo disumano della natura, dove l'avvicendarsi sempre uguale, inalterabile e senza fine, delle stagioni si accompagna al sentimento malinconico della vanità e caducità di ogni operare umano". Sono parole di Alberto Moravia, da un'altra famosa prefazione a poesie cinesi, quelle di Mao Tse Tung (Newton Compton Ed.). Questo sentimento malinconico, questa predisposizione alla constatazione elegiaca non trova riscontro nella poesia occidentale, nota giustamente Moravia, 'se non risalendo all'epoca in cui il mondo occidentale era unificato in un solo organismo politico-culturale, l'impero romano, fuori dal quale si riteneva che vi fosse solo la barbarie e il nulla'. Il fatto è che le nazioni che per un lungo periodo di tempo sono o credono di essere 'tutto il mondo' mancano di termini di paragone e di ostacoli esterni contro i quali misurarsi e lottare, e di conseguenza sembrano destinate fatalmente a ricadere su se stesse e a sentire la propria civiltà come peritura ed illusoria appunto perché isolata e senza rivali, né eredi. Di qui l'assoluta mancanza di 'storia', di sviluppo, di oscillazioni: il dilemma classicismo-romanticismo, di cui si parlava a proposito dell'arte occidentale, qui non si pone, poiché dei due termini in contrasto i cinesi ne conoscono e riconoscono soltanto uno.. "Così abbiamo una poesia antichissima, durata ininterrottamente tremila anni, che già al momento della massima fioritura, nell'epoca Tang, era arrivata al cliché, allo stereotipo, alla frase fatta.." La tendenza 'conservatrice' della civiltà cinese è impressionante, se si fa mente locale ad alcune date: lo stesso Mao Tse Tung compone poesie usando forme codificate in epoca Tang (618-907) e nell'epoca delle Cinque Dinastie (960-1278). Anche a voler prendere in esame la data più recente, "è come se oggi un poeta italiano, e per giunta di sentimenti rivoluzionari, scrivesse poesie in latino o coi moduli del Dolce Stil Novo".Discorso per assurdo, ovviamente, perché l'instabilità occidentale ha prodotto tante di quelle 'rivolte e restaurazioni' negli ultimi 700 anni che per un occidentale risulta magari inconcepibile scrivere come si scriveva trenta o quarant'anni fa, altro che Dolce Stil Novo... Ma, tornando all'affermazione iniziale di Montale, non è che sono proprio i cinesi più vicini di noi a quel 'limite irraggiungibile' che contraddistingue la 'purezza e l'astrattezza' dell'arte? La poesia cinese, dice ancora Montale, "non è un microcosmo che riveli ed illumini perfettamente l'entità macrocosmica che le ha permesso di formarsi... è invece un insieme di gocce d'acqua che dovrebbero rivelarci un oceano e se ne stanno chiuse nelle loro fiale delicate e sottili". Appunto.
Chi sia curioso di ulteriori notizie su questo stesso argomento può cominciare a consultare i link proposti, per la verità un po' alla rinfusa, qui sotto. Su Internet comunque sono ovviamente citate anche edizioni molto più recenti di quelle di cui si parla nell’articolo, che sono ormai ‘datate’, ma restano, in questo campo, a parere dell’autore, un punto fermo obbligatorio.
Fausto Bottai
Link
http://www.poesiattiva.it/poesia/cina.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Li_Po
http://www.sagarana.it/rivista/numero4/saggio7.html
http://www.filidaquilone.it/num003debiasio.html
http://phemios.net/Recensioni/recensioni_005.htm
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