Quando
ha iniziato a suonare la chitarra e perché? Che
studi ha fatto e qual è il suo background musicale? Con che chitarre
suona e con quali ha suonato?
E’
curioso che uno dei primissimi ricordi della mia infanzia sia legato
ad un’immagine che ho ancora vivissima nella memoria: io bimbetto
in piedi in un lettino e davanti a me mio padre che, sostenendo per
il manico una chitarra, ne sollecita le sei corde suscitando in me
un’indescrivibile emozione nel vederle vibrare in un sorprendente
tripudio sonoro.
Mio
padre non suonava la chitarra ma era sempre stato un appassionato
frequentatore di compagnie di “musicanti” modenesi (fra i quali
il padre del grande Luciano Pavarotti) e indubbiamente quella
chitarra era entrata in casa nostra solo per il gusto di possederla e
di poterla semplicemente toccare!
Una
dozzina di anni dopo il caso volle (o forse ancora mio padre) che in
occasione della Cresima del mio più giovane fratello gli venisse
regalata una modestissima chitarra della quale però egli non sapeva
che fare, e fu così che, caduta in mio possesso, ebbe inizio la mia
avventura chitarristica.
Quali
sono state e sono le sue principali influenze musicali?
In quel momento io venivo da una vita trascorsa per cinque anni in un
collegio dove avevo imparato a leggere la musica cantando in coro dal
gregoriano a Palestrina, da Hëndel a Perosi, da Mascagni a Verdi.
Per contro mia madre, una Piccinini di Nonantola, cantava in maniera
deliziosa le canzoni popolari in voga a quel tempo, mentre l’altro
mio fratello maggiore che suonava magnificamente fin da giovane la
fisarmonica, si avviava a farne la sua principale attività
professionale.
Tra
il mio gusto per la musica classica e il gusto per la musica leggera
di mio fratello non ho mai avvertito alcun conflitto fino al momento
in cui, scoperta quasi per caso alla radio la chitarra classica, non
so se fosse Andrés Segovia, Ida Presti o Luise Walker ho lasciato da
parte la chitarra “popolare” per andare alla ricerca di un metodo
per suonare classico.
Con
che chitarre suona e con quali ha suonato?
Come
ho già detto, la prima chitarra era una povera cosa, piccola e con
le corde di acciaio; si era nel’52 e delle corde di nylon,
inventate solo da un paio di anni, non si sapeva nulla. Un deciso
salto di qualità, visto l’infimo grado di partenza, avvenne con
l’acquisto di un nuovo strumento armato di corde di nylon dei F.lli
Masetti, liutai a Modena, che mi fu compagno per alcuni anni anche in
occasione delle prime esibizioni alla radio. I passaggi successivi si
chiamarono Enrico Piretti, Carlo Raspagni e infine, su consiglio di
Alirio Diaz, Armando Giulietti al quale sono rimasto sempre fedele.
Quale
significato ha l'improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può
tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così
codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e
rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
Penso
che l’improvvisare sul repertorio classico prima che impossibile
sia inutile. Fra i miei migliori allievi ne ho avuto uno, purtroppo
scomparso prematuramente, di nome Daniele Russo che aveva una
straordinaria abilità di improvvisatore (ne fa fede una
video-cassetta che ho ancora in mio possesso). Si poteva sentirlo
suonare un falso rinascomentale, barocco, classico o moderno e
ritenersi convinti di ascoltare musica originale di Francesco Da
Milano, di Bach, di Giuliani, di Ponce o di Villa-Lobos.
Ma
una volta apprezzato lo straordinario gioco inventivo, si doveva
riconoscere che non poteva derivare alcun vantaggio dall’ascolto di
una musica falsa potendo suonare quella autentica. Ciò che può fare
l’esecutore di musica classica è scavare in maniera sempre più
approfondita nel significato profondo di una pagina musicale e nella
ricerca dei mezzi più efficaci per esprimerne e comunicarne il
contenuto.
Vincoli
simili non esistono per altri tipi di repertorio, spesso nati proprio
da processi
improvvisativi
perfettamente adeguati a nuove e diverse caratteristiche di nuovi
strumenti.
Come
è nata la sua attività di didatta dello strumento? Quanto è ancora
importante avere una ottima tecnica per un chitarrista? Glielo chiedo
perché mi viene in mente un aneddoto: negli anni '70 Robert Fripp,
pesantemente contestato da alcuni punk che lo consideravano ormai un
dinosauro rispose serafico "chi è più schiavo della tecnica?
Chi ne ha troppa o chi non ne ha?"
Sono
partito da un doppio versante: da un canto la constatazione che i
metodi che impiegavo per il mio studio, pur generalmente ritenuti
ottimi, non davano risultati proporzionali al mio impegno e al
dispendio di tempo. D’altro canto, la prova che i metodi elementari
utilizzati nell’insegnamento presso la Scuola Musicale di Milano,
in particolare il Carulli e il Sagreras, non riscuotevano alcun
successo: dei 12 allievi iscritti al mio primo anno di lezioni, ben 8
non si iscrissero al secondo!
Fu
allora, nel 1966 che gettati alle ortiche i soliti metodi, iniziai a
progettare le prime pagine di un mio metodo personale che crebbe
gradualmente negli anni mostrando di dare buoni frutti tanto per me
che per i miei allievi.
Occorrerebbe
molto tempo per spiegare le ragioni che stanno alla base delle
direttive lungo le quali prese avvio lo sviluppo del nuovo iter
didattico, ma alla base sta il gap
tecnico-strutturale
venutosi a creare tra la produzione musicale
dei compositori chitarristi dell’Ottocento e quella dei compositori
NON chitarristi del Novecento. A rivelare tale gap
furono due straordinarie figure di chitarristi di estrazione
tarreghiana: Miguel Llobet e Andrés Segovia, tanto ammirati quali
sublimi artisti quanto incompresi quali innovatori della tecnica
strumentale. Oggi più che mai per
un chitarrista è di fondamentale importanza avere un’ottima
tecnica ma c’è sempre il rischio incombente che molti non abbiano
di mira che il fine di farne sfoggio, talvolta a grave discapito
della qualità artistica.
Una
domanda un po' provocatoria sulla musica in generale, non solo quella
contemporanea o d'avanguardia, Frank Zappa nella sua autobiografia
scrisse: "Se John Cage per esempio dicesse "Ora metterò un
microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di carota e questa
sarà la mia composizione", ecco che i suoi gargarismi
verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché ha
applicato una cornice, dichiarandola come tale. "Prendere o
lasciare, ora Voglio che questa sia musica." È davvero valida
questa affermazione per definire un genere musicale, basta dire
questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha
ancora senso parlare di "genere musicale"?
Basterebbe
chiedersi se i gargarismi di John Cage possono interessare qualcuno
fino al punto di pagare per ascoltarli dal vivo o per comperarne una
registrazione. Tuttavia anche il rumore di un gargarismo può essere
utile per sonorizzare un’azione scenica, ma allora di fronte ad un
evento sonoro si dovrebbe distinguere tra una semplice sonorizzazione
o “musique
d’ameublement”
(come la definisce Honegger) e la vera e propria musica
quando con il suo semplice fluire riesce a generare forti emozioni in
chi la ascolta.
Berlioz
disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per
farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è
stata spesso usata come una giustificazione per l'esiguità del
repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il
pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più
"messa in crisi" dal crescente interesse che la chitarra
(vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella 'musica
contemporanea, per non parlare del successo nella musica leggera,
dove chitarra elettrica è ormai sinonimo di rock ... in quanto
musicista polivalente e trasversale... quanto ritiene che ci sia di
veritiero ancora nella frase di Berlioz?
Per
sfatare l’idea che il repertorio della chitarra classica sia esiguo
basta confrontarla con quella della viola o dell’arpa, ma quanto
alla frase di Berlioz penso che sia ancor più veritiera per il
cosiddetto compositore “classico contemporaneo” (qualifica
impropria adottata da Maurizio Colonna) perché, a meno di limitarsi
a produrre solo rumori, la musica da suonare, sia essa in stile
antico, classico o contemporaneo, richiede di collocare entro i tasti
del manico le quattro dita di una mano delle cui dimensioni, rimaste
invariate nel tempo, egli è fatalmente costretto a tenere conto al
momento di combinare i suoni.
Luciano
Berio ha scritto "la conservazione del passato ha un senso anche
negativo, quando diventa un modo di dimenticare la musica.
L'ascoltatore ne ricava un'illusione di continuità che gli permette
di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di
censurare tutto quanto pare disturbarla", che ruolo può
assumere la ricerca storica e musicologica in questo contesto?
Non
saprei rispondere meglio che citando le esatte parole della
musicologa francese Gisèle Brelet:”Rispettare
l’opera musicale di un’epoca antica non vuol dire imprigionarla
in un passato morto come vorrebbe chi ritenga che non possa vivere
altrimenti che nel proprio habitat.
Le opere belle rivelano un dualismo per il quale sembrano dotate di
una esistenza ideale permanente che nell’esecuzione si può
realizzare in maniera variabile; esse si sostengono per il loro
valore intrinseco, indipendentemente dallo strumento sul quale
vengono eseguite”.
Intesa in tal senso, una ricerca musicologica che senza
sopravvalutare i testi scritti sappia confrontarli con il reale
contenuto spirituale da trasmettere,
può
indubbiamente contribuire ad arricchire il repertorio chitarristico.
Ho,
a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica
scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico,
nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il
passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non
può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di
una visione uniforme? Di una "globalizzazione" musicale?
Purtroppo
tale rischio esiste e si può toccare, se non con le mani con le
orecchie, quando un pur ottimo strumentista non presta più
attenzione al peculiare carattere di ciascuno dei diversi brani che
compongono il suo récital, infischiandosi bellamente di dati
storici, formali, estetici e di ogni prassi esecutiva. Il motto
sembra essere:” basta fare le note giuste”, e ho l’impressione
che soprattutto gli esecutori particolarmente interessati alla musica
contemporanea tendano ad assumere tale posizione superficiale che si
traduce in un totale appiattimento sonoro delle loro esecuzioni.
Possiamo
parlare un attimo della ristampa avvenuta qualche anno fa della sua
produzione discografica? I suoi dischi
in vinile furono stampati nel 1970 e nel 1974, il primo addirittura
registrato in un'unica sessione come in un concerto, che ricordi ha
di quelle registrazioni? Ci può raccontare qualche aneddoto?
Come è nata l'idea di ristampare i suoi dischi
di vinile in cd?
Devo
premettere che conscio dei miei limiti, dovuti anche al mio lungo e
accidentato percorso di apprendistato, non ho mai preso in
considerazione l’idea di intraprendere una carriera concertistica
ma, completamente volto ai problemi dell’apprendimento e della
didattica, ho ritenuto indispensabile passare dalla mia personale
sperimentazione alla verifica effettiva dei risultati scaturiti dai
miei studi, verifica il cui valore non avrebbe potuto venire
confermato che dall’esecuzione in pubblico di un repertorio
qualificante. Passato il periodo nel quale potevo dare concretamente
prova delle mie performances, mi è parso utile riesumare le
incisioni discografiche degli anni ’70 quale testimonianza storica
a sostegno della metodologia esposta nelle mie numerose pubblicazioni
didattiche. In altri termini, mi premeva che le mie idee non
rimanessero solo parole prive di reale valore pratico. La prima
incisione fu fatta in presa diretta con l’impiego di un semplice
registratore Grundig mentre la seconda fu realizzata in uno studio
professionale dietro richiesta di un produttore che aveva visto il
mio nome in una locandina esposta alle Messaggerie Musicali di Milano
relativa ad una stagione concertistica del Comune di Sesto San
Giovanni.
Con
che chitarre vennero eseguite queste musiche? Devo ammettere di
essere rimasto colpito dalla qualità di incisione di questo cd, il
Maestro Marco Taio ha fatto un lavoro davvero eccellente ... mi
sembra che anche lui sia un suo allievo vero?
Lo
strumento impiegato per entrambe le incisioni è la Giulietti del
1962 di cui ho già parlato e che ancora oggi conservo in ottimo
stato, insieme ad un secondo strumento che egli volle costruirmi,
quasi perfettamente identico al primo, nel 1972 quando, profilandosi
il rischio di un distacco del ponticello, avrei potuto correre il
rischio di dovere interrompere l’attività concertistica. Marco
Taio ha fatto un lavoro da vero professionista, dando prova del
livello sempre eccezionale delle sue prestazioni, tanto come
chitarrista che come tecnico del suono.
Come
era la situazione per quando riguarda la chitarra classica in quel
periodo? Immagino fossero anni difficili .... Anni di pionieri ...
Anni
difficili e da pionieri furono quelli tra il ’50 e il ’60, quando
non esistevano ancora i registratori e le fotocopie! I rari 78 giri
andavano a ruba e si copiavano a mano decine di pagine di Sor, di
Tárrega e di Barrios. Negli anni ’70 si era ormai avviato un
vivace movimento di rinascita da attribuirsi in gran parte alla
diffusione discografica e radiofonica di pezzi entrati poi nella
mitologia come Giochi Proibiti e Recuerdos de la Alhambra e alla
conseguente possibilità di assistere a concerti di artisti che,
anche se non prestigiosi come Segovia che compariva solo a cadenza
decennale, si chiamavano Yepes, Williams, Bream e, soprattutto,
Alirio Diaz.
In
generale come era la situazione musicale? Voglio dire .. oggi siamo
abituati alla possibilità di poter ascoltare e acquistare
praticamente tutto ma all'epoca .. senza internet .. come facevate a
mantenere i rapporti, a trovare gli spartiti, a incentivare la musica
per chitarra classica?
Ci
si poteva conoscere più facilmente se si abitava in una grande città
in occasione dei concerti di chitarra o dei saggi pubblici delle
scuole di musica. C’erano un paio di riviste che recavano notizie
spicciole, articoli sulla didattica, recensioni di concerti,
pubblicità editoriali e liutarie, bandi di concorsi e di convegni,
ecc. E c’erano diverse associazioni chitarristiche sparse un po’
ovunque ma avulse dal grande mondo musicale.
Cosa
le sembra sia cambiato, in meglio o in peggio, rispetto a quel
periodo storico?
A
quel tempo con i primi arpeggi di Giuliani e di Carulli il
chitarrista veniva introdotto gradualmente e felicemente ai misteri
della musica classica arrivando col tempo ad apprezzare dapprima le
pagine del limpido classicismo di Sor e Carcassi per poi addentrarsi
sempre più, attraverso Tárrega, Mozzani nel più complesso
linguaggio bachiano e novecentesco di un Ponce, di un Villa Lobos e
di un Castelnuovo-Tedesco. Si trattava di un entusiasmante cammino di
conquista culturale che senza la chitarra non sarebbe forse mai stato
possibile.
Oggi
il solidissimo e appassionato legame che teneva unito il piccolo
mondo della chitarra si è allentato: ormai tutto è a portata di
mano per tutti ma purtroppo sono venuti meno la voglia e il piacere
della conquista faticosa. Ovviamente esistono le debite eccezioni il
cui numero è però di gran lunga inferiore a quello imponente di
giovani e ragazzi velleitari e svagati, disorientati anche dal
richiamo di tante diverse chitarre.
Che
consigli darebbe oggi a un giovane neodiplomato che volesse incidere
un suo disco? E' ancora così importante poter uscire con un lavoro
discografico?
Oggi
è molto facile produrre un disco anche con mezzi estremamente
sofisticati ma dubito che possa essere di grande utilità ai fini
della notorietà se non si dispone di un importante apparato
pubblicitario e distributivo che possano farsene carico.
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