venerdì 27 febbraio 2015

Intervista con Val Bonetti di Andrea Aguzzi



Hai un curriculum impressionante a 11 anni hai iniziato a suonare, poi ti sei indirizzato sul jazz e il fingerpicking e non ti sei più fermato, ci racconti un po’ dei tuoi inizi e di come ti sei avvicinato alla chitarra?

Ciò che mi impressiona è che sono passati venticinque anni da quando ho preso in mano la chitarra e una decina almeno da quando ho scelto di farlo come lavoro e dopo tante avventure, delusioni, frustrazioni e qualche soddisfazione ho ancora la stessa passione e curiosità; anzi forse avendo più consapevolezza la passione è pure aumentata!
Da più piccolino studiavo pianoforte e direi malvolentieri, volevo passare al sax ma ho un cugino più grande, un rockettaro che ai tempi mi faceva ascoltare i soli di chitarra di vari gruppi rock e mi diceva: “senti qui! Ma che studi il piano a fare?!”.
Ecco se suono la chitarra è tutta colpa sua!
Ricordo che il mio primo maestro di chitarra classica, mi diede una VHS con un metodo di Jorma Kaukonen per chitarra fingerpicking e un libro di Franco Morone, così mi sono avvicinato alla chiarra acustica. Ho sempre scritto musica sulla chitarra ma la tenevo per me e parallelamente avevo progetti in elettrico, ho davvero suonato tanta musica e con parecchia gente. Il jazz l’ho studiato a Milano alla scuola civica di jazz, conoscere Franco Cerri e studiare con lui è tra le esperienze più belle che mi siano capitate.

Con che chitarre suoni e con quali hai suonato?

In Tales, il nuovo disco, ho utilizzato una acustica Collings OM2H una resofonica National M2 e una classica Alhambra.
Nel disco precedente ho utilizzato invece una Martin 00028 e Una Bourgeois JOMC, che ho entrambe venduto.

Quali sono state e sono le tue principali influenze musicali?

Ascolto principalmente jazz e blues ma in passato ho ascoltato molto rock anni ’70 e anni ‘90; ho una particolare predilezione per ciò che è suonato in acustico quindi anche molta musica tradizionale, etnica, specialmente la musica balcanica avendo la moglie bulgara è un must. E poi alcuni musicisti africani, amo molto la musica del Mali.

Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Sappiamo che l’improvvisazione è nata molti secoli prima del jazz e non tutto il jazz è improvvisato, credo che sia assolutamente una pratica trasversale ai generi, penso sia una scelta che un musicista fa. Anche le modalità, sono del tutto soggettive.
Per quanto mi riguarda mi piace l’idea di suonare libero, riservare sempre degli spazi in cui posso lasciarmi andare, talvolta anche solo una semplice reinterpretazione del tema. Penso che così l’esecuzione ne guadagni in freschezza, magari a scapito di qualche imperfezione, non importa, quello che mi interessa è essere sincero e comunicare qualcosa. E poi c’è il dialogo con i musicisti con cui stai suonando, l’idea di creare qualcosa insieme, al momento, magari su un palco, è troppo affascinante.

La tua tecnica è davvero eccellente, quanto è ancora importante avere una ottima tecnica per un chitarrista o un bassista? Te lo chiedo perché mi viene in mente un aneddoto: negli anni ’70 Robert Fripp, pesantemente contestato da alcuni punk che lo consideravano ormai un dinosauro rispose serafico “chi è più schiavo della tecnica? Chi ne ha troppa o chi non ne ha?

Io ti ringrazio, Fripp non poteva dare una risposta migliore e aggiungo che ciò che lo rende così speciale sono il suono, lo stile unico, nei voicing e nel fraseggio e la ricerca continua. Insomma è un artista che ha fatto di tutto, il punk è roba da dinosauri, altrochè Fripp, lui è avanti ancora adesso!
La tecnica sullo strumento penso sia un mezzo per esprimersi al meglio, poi bisogna avere qualcosa da dire.
Ry Cooder ha una tecnica eccelsa, non ne dà mai troppo sfoggio e fa una musica che trovo eccezionale ci sono invece personaggi che si ostinano a cercare il gesto difficile, la trovata spettacolare, l’accordatura particolare come bastasse solo quella…ma poi alla fine chiudi gli occhi e senti sempre la stessa cosa.

Una domanda un po’ provocatoria sulla musica in generale, non solo quella contemporanea o d’avanguardia. Frank Zappa nella sua autobiografia scrisse: “Se John Cage per esempio dicesse “Ora metterò un microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prendere o lasciare, ora Voglio che questa sia musica.” È davvero valida questa affermazione per definire un genere musicale, basta dire questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha ancora senso parlare di “genere musicale”?

Non ho letto la sua autobiografia, interessante Zappa che parla di Cage, due grandissimi.
Comunque sì, ognuno ha il suo linguaggio occorre però presentarsi bene, magari una cravattina e il succo di carota non lo farei troppo liquido, ci metterei anche qualche pezzettino di carota intero in modo che il microfono riesca a captare le variazioni del flusso armonico e poi un casco, consapevole che se lo facessi io dal vivo mi tirerebbero le pietre ma solo perché non ci credo veramente eh!
Penso ci sia musica facilmente catalogabile altra invece è più complicato collocarla in generi e sottogeneri e dargli un nome, preferisco la seconda.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Sì c’è questo rischio ma questa è anche l’epoca in cui tutte le informazioni sono a portata di click perciò sta a noi.



Possiamo parlare un attimo della tua produzione discografica? Nel 2010 hai pubblicato “Wait” e nel 2014 è uscito “Tales” con Cristiano Da Ros che mi ha davvero impressionato, come sono nati questi due progetti?

“Wait” potrei definirlo una raccolta: contiene brani scritti anche dieci anni prima della pubblicazione; è stato un po’ come tirare le somme, mettere in ordine gli appunti e mettere insieme il bagaglio di esperienze che avevo alle spalle. Ho suonato di tutto e in quel disco ho cercato di metterlo tutto nella mia chitarra.
“Tales” invece è un punto di partenza, il progetto con Cristiano Da Ros nasce dall’idea di rubare il sound acustico del blues rurale e collocarlo in un contesto musicale diverso, forse più moderno, e aperto ad armonie differenti. Oltre al suono e l’armonia con Cristiano lavoriamo molto sul ruolo dei nostri due strumenti: il duo ci permette di uscire dalle funzioni più convenzionali, e ci porta al dialogo nei momenti di improvvisazione. Cristiano è un eccellente solista, la chitarra suonata con le dita consente di avere una dimensione polifonica e trasversale allo spettro sonoro; spero tanto si colgano nel disco questi aspetti e i cambi di ruolo che vorrebbero conferire varietà di colore e dinamicità ai brani.
La linea di continuità tra questi due album è l’incisione in presa diretta: mi piace l’idea di incidere la performance e di sudare per inseguirla, vorrei che qualcuno ascoltando il CD pensasse “bello sto ascoltando questi due suonare la loro musica”. Entrambi i dischi escono sotto Baraban Records, che rappresenta il mio progetto, o forse è ancora solo un auspicio, di un etichetta indipendente.



So che sei un appassionato del blues rurale, io adoro suonare Mississippi John Hurt e sto cominciando col Reverendo Gary Davis, a chi vanno le tue preferenze? E’ un mondo davvero vasto da esplorare, siano benedette le ristampe dei cd!

Fantastico! Adoro Skip James poi Blind Blake, chitarrista incredibile, Big Bill Broonzy, sound pazzesco, Blind Willie Johnson Bo Carter…ce ne sono tanti. Sì è davvero un bel viaggio e più ci si addentra più si vuol conoscere. Un esperto? Senza dubbio Woody Mann.

Che consigli daresti oggi a un giovane che vorrebbe incidere un suo disco o iniziare una attività di musicista professionista?

Il consiglio che do sempre a me stesso è di essere concreto e avere dei piccoli obiettivi.

Ultima domanda: qualche anno fa , nel corso di una sua intervista con Bill Milkowski per il sup libro “Rockers, Jazzbos & Visionaries” Carlos Santana disse “Some people have talent, some people have vision. And vision is more important then talent, obviously.” Io credo che abbia un grande talento, ma… qual è la tua visione?

Ho una visione: Marzullo si è impossessato di te per questa domanda! Di Santana basta guardare la sua performance di Woodstock per capire lo spessore. Andrea grazie molte per questa intervista, il tuo blog è molto interessante sono proprio contento di esserci, a presto!



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