Hai
un curriculum impressionante a 11 anni hai iniziato a suonare, poi ti
sei indirizzato sul jazz e il fingerpicking e non ti sei più
fermato, ci racconti un po’ dei tuoi inizi e di come ti sei
avvicinato alla chitarra?
Ciò che mi impressiona è che sono passati venticinque anni da quando ho preso in mano la chitarra e una decina almeno da quando ho scelto di farlo come lavoro e dopo tante avventure, delusioni, frustrazioni e qualche soddisfazione ho ancora la stessa passione e curiosità; anzi forse avendo più consapevolezza la passione è pure aumentata!
Da
più piccolino studiavo pianoforte e direi malvolentieri, volevo
passare al sax ma ho un cugino più grande, un rockettaro che ai
tempi mi faceva ascoltare i soli di chitarra di vari gruppi rock e mi
diceva: “senti qui! Ma che studi il piano a fare?!”.
Ecco
se suono la chitarra è tutta colpa sua!
Ricordo
che il mio primo maestro di chitarra classica, mi diede una VHS con
un metodo di Jorma Kaukonen per chitarra fingerpicking e un libro di
Franco Morone, così mi sono avvicinato alla chiarra acustica. Ho
sempre scritto musica sulla chitarra ma la tenevo per me e
parallelamente avevo progetti in elettrico, ho davvero suonato tanta
musica e con parecchia gente. Il jazz l’ho studiato a Milano alla
scuola civica di jazz, conoscere Franco Cerri e studiare con lui è
tra le esperienze più belle che mi siano capitate.
Con che chitarre suoni e con quali hai suonato?
In
Tales, il nuovo disco, ho utilizzato una acustica Collings OM2H una
resofonica National M2 e una classica Alhambra.
Nel
disco precedente ho utilizzato invece una Martin 00028 e Una
Bourgeois JOMC, che ho entrambe venduto.
Quali
sono state e sono le tue principali influenze musicali?
Ascolto
principalmente jazz e blues ma in passato ho ascoltato molto rock
anni ’70 e anni ‘90; ho una particolare predilezione per ciò che
è suonato in acustico quindi anche molta musica tradizionale,
etnica, specialmente la musica balcanica avendo la moglie bulgara è
un must. E poi alcuni musicisti africani, amo molto la musica del
Mali.
Quale
significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può
tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così
codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e
rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
Sappiamo
che l’improvvisazione è nata molti secoli prima del jazz e non
tutto il jazz è improvvisato, credo che sia assolutamente una
pratica trasversale ai generi, penso sia una scelta che un musicista
fa. Anche le modalità, sono del tutto soggettive.
Per
quanto mi riguarda mi piace l’idea di suonare libero, riservare
sempre degli spazi in cui posso lasciarmi andare, talvolta anche solo
una semplice reinterpretazione del tema. Penso che così l’esecuzione
ne guadagni in freschezza, magari a scapito di qualche imperfezione,
non importa, quello che mi interessa è essere sincero e comunicare
qualcosa. E poi c’è il dialogo con i musicisti con cui stai
suonando, l’idea di creare qualcosa insieme, al momento, magari su
un palco, è troppo affascinante.
La
tua tecnica è davvero eccellente, quanto è ancora importante avere
una ottima tecnica per un chitarrista o un bassista? Te lo chiedo
perché mi viene in mente un aneddoto: negli anni ’70 Robert Fripp,
pesantemente contestato da alcuni punk che lo consideravano ormai un
dinosauro rispose serafico “chi è più schiavo della tecnica? Chi
ne ha troppa o chi non ne ha?”
Io
ti ringrazio, Fripp non poteva dare una risposta migliore e aggiungo
che ciò che lo rende così speciale sono il suono, lo stile unico,
nei voicing e nel fraseggio e la ricerca continua. Insomma è un
artista che ha fatto di tutto, il punk è roba da dinosauri, altrochè
Fripp, lui è avanti ancora adesso!
La
tecnica sullo strumento penso sia un mezzo per esprimersi al meglio,
poi bisogna avere qualcosa da dire.
Ry
Cooder ha una tecnica eccelsa, non ne dà mai troppo sfoggio e fa una
musica che trovo eccezionale ci sono invece personaggi che si
ostinano a cercare il gesto difficile, la trovata spettacolare,
l’accordatura particolare come bastasse solo quella…ma poi alla
fine chiudi gli occhi e senti sempre la stessa cosa.
Una
domanda un po’ provocatoria sulla musica in generale, non solo
quella contemporanea o d’avanguardia. Frank Zappa nella sua
autobiografia scrisse: “Se John Cage per esempio dicesse “Ora
metterò un microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di
carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi
gargarismi verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché
ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prendere o
lasciare, ora Voglio che questa sia musica.” È davvero valida
questa affermazione per definire un genere musicale, basta dire
questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha
ancora senso parlare di “genere musicale”?
Non
ho letto la sua autobiografia, interessante Zappa che parla di Cage,
due grandissimi.
Comunque
sì, ognuno ha il suo linguaggio occorre però presentarsi bene,
magari una cravattina e il succo di carota non lo farei troppo
liquido, ci metterei anche qualche pezzettino di carota intero in
modo che il microfono riesca a captare le variazioni del flusso
armonico e poi un casco, consapevole che se lo facessi io dal vivo mi
tirerebbero le pietre ma solo perché non ci credo veramente eh!
Penso
ci sia musica facilmente catalogabile altra invece è più complicato
collocarla in generi e sottogeneri e dargli un nome, preferisco la
seconda.
Ho,
a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica
scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico,
nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il
passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non
può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di
una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?
Sì
c’è questo rischio ma questa è anche l’epoca in cui tutte le
informazioni sono a portata di click perciò sta a noi.
Possiamo
parlare un attimo della tua produzione discografica? Nel 2010 hai
pubblicato “Wait” e nel 2014 è uscito “Tales” con Cristiano
Da Ros che mi ha davvero impressionato, come sono nati questi due
progetti?
“Wait”
potrei definirlo una raccolta: contiene brani scritti anche dieci
anni prima della pubblicazione; è stato un po’ come tirare le
somme, mettere in ordine gli appunti e mettere insieme il bagaglio di
esperienze che avevo alle spalle. Ho suonato di tutto e in quel disco
ho cercato di metterlo tutto nella mia chitarra.
“Tales”
invece è un punto di partenza, il progetto con Cristiano Da Ros
nasce dall’idea di rubare il sound acustico del blues rurale e
collocarlo in un contesto musicale diverso, forse più moderno, e
aperto ad armonie differenti. Oltre al suono e l’armonia con
Cristiano lavoriamo molto sul ruolo dei nostri due strumenti: il duo
ci permette di uscire dalle funzioni più convenzionali, e ci porta
al dialogo nei momenti di improvvisazione. Cristiano è un eccellente
solista, la chitarra suonata con le dita consente di avere una
dimensione polifonica e trasversale allo spettro sonoro; spero tanto
si colgano nel disco questi aspetti e i cambi di ruolo che vorrebbero
conferire varietà di colore e dinamicità ai brani.
La
linea di continuità tra questi due album è l’incisione in presa
diretta: mi piace l’idea di incidere la performance e di sudare per
inseguirla, vorrei che qualcuno ascoltando il CD pensasse “bello
sto ascoltando questi due suonare la loro musica”. Entrambi i
dischi escono sotto Baraban Records, che rappresenta il mio progetto,
o forse è ancora solo un auspicio, di un etichetta indipendente.
So che sei un appassionato del blues rurale, io adoro suonare Mississippi John Hurt e sto cominciando col Reverendo Gary Davis, a chi vanno le tue preferenze? E’ un mondo davvero vasto da esplorare, siano benedette le ristampe dei cd!
Fantastico!
Adoro Skip James poi Blind Blake, chitarrista incredibile, Big Bill
Broonzy, sound pazzesco, Blind Willie Johnson Bo Carter…ce ne sono
tanti. Sì è davvero un bel viaggio e più ci si addentra più si
vuol conoscere. Un esperto? Senza dubbio Woody Mann.
Che consigli daresti oggi a un giovane che vorrebbe incidere un suo disco o iniziare una attività di musicista professionista?
Il
consiglio che do sempre a me stesso è di essere concreto e avere dei
piccoli obiettivi.
Ultima
domanda: qualche anno fa , nel corso di una sua intervista con Bill
Milkowski per il sup libro “Rockers, Jazzbos & Visionaries”
Carlos Santana disse “Some people have talent, some people have
vision. And vision is more important then talent, obviously.” Io
credo che abbia un grande talento, ma… qual è la tua visione?
Ho
una visione: Marzullo si è impossessato di te per questa domanda! Di
Santana basta guardare la sua performance di Woodstock per capire lo
spessore. Andrea grazie molte per questa intervista, il tuo blog è
molto interessante sono proprio contento di esserci, a presto!
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