giovedì 7 agosto 2008

Appunti sul tema: crittografia musicale di Fausto Bottai

Come si sa, le lettere che compongono l'alfabeto italiano sono 21. E’ naturalmente un fatto puramente casuale il fatto che 21 sia un multiplo di 7 e che 7 sia il numero delle note comprese nella classica scala diatonica, che costituisce –è altrettanto noto- la pietra miliare su cui la musica occidentale si è sviluppata. Sfruttando comunque questa semplice relazione numerica possiamo ottenere il seguente sistema cifrato


















in cui simboli appartenenti a codici di comunicazione diversi possono essere rimpiazzati vicendevolmente in modo da ottenere due diversi messaggi, a seconda appunto del codice usato per interpretarli: è il principio della crittografia, ossia del sistema che permette di ‘codificare messaggi in simboli non comprensibili a prima vista, in modo che non possano essere interpretati da chi non possiede la corretta chiave di lettura’.Chi fosse interessato ad una breve, ma esauriente introduzione al tema specifico delle crittografie musicali può leggere questo saggio di Eric Sams





Senza entrare troppo nel dettaglio, in questa sede basterà constatare, con Sams, ‘come simboli o idee musicali siano stati usati in crittografia e discipline alleate fin dai primordi (e) che idee quasi crittografiche siano state usate liberamente in musica.’ Dopo aver affermato che molti crittografi sono stati musicisti eminenti e che compositori come Tartini, Michael Haydn, Schumann, Elgar sono noti per il loro interesse verso la crittografia, Sams conclude: ‘v’è (dunque) qualche prova che le due abilità siano decisamente correlate. La connessione fu anche riconosciuta e sfruttata durante la Seconda Guerra Mondiale dal servizio britannico di critto-analisi, ai cui candidati veniva chiesto tra le altre cose se fossero in grado di leggere una partitura orchestrale’. Il saggio di Sams si articola significativamente in due aree separate, da un lato la crittografia che usa idee e simboli musicali, dall’altro la musica che usa concetti crittografici e relativi alla crittografia, fino ad ipotizzare una possibile convergenza, più o meno occasionale, fra le due attività. Anzi ‘questa tendenza è diventata più marcata negli anni più avanzati del XX secolo. L’impeto combinatorio venne da ambedue le parti. I crittografi hanno sempre anelato a rendere i loro codici musicali il più possibile simili alla musica reale, così da aumentare la loro validità in quanto codici. Alcuni compositori, al contrario, possono aver ben pensato che la loro musica si arricchisse con il giudizioso additivo di elementi crittografici. (..) Le partiture moderne offrono impareggiabili opportunità per sistemi cifrati d’ogni genere, e senza dubbio vi sono esponenti non dichiarati di tecniche compositive legate a codici nascosti.’
Come si sa, Bach morì il 28 luglio 1750 lasciando incompiuta una grande fuga sul tema: si bemolle, la, do, si; B.A.C.H. in notazione tedesca. (N.B Gli esempi musicali che riportiamo sono tratti dal saggio di Sams citato poco fa.)









Si sa anche che questo tema è stato inglobato da J.S. in altre opere (a quanto pare lo considerava una sorta di rappresentazione della croce in virtù del suo andamento a zig zag sul pentagramma). Molti altri compositori si ispirarono al tema B.A.C.H. (fra gli altri, Beethoven, Schumann, Listz, Busoni etc.).. ma se il gioco motivico legato a queste quattro lettere è forse quello più noto, non si tratta certo di un caso isolato. Chi avesse voglia di leggere il saggio citato di E.Sams scoprirà, per es., che il più grande e prolifico fra i musicisti dediti a simili ‘giochi crittografici’ fu Schumann. In ogni caso, l’uso di lettere per creare temi partendo da parole (o da nomi di persone) era –direi- scontato nei paesi in cui le note musicali venivano comunemente indicate con le lettere dell’alfabeto. Bisogna però anche aggiungere che la creazione di un sistema cifrato coerente e completo comporta l’abbinamento di tutte le lettere dell’alfabeto alle note di una struttura scalare, come si vede negli esempi seguenti, attribuiti a composizioni di Ravel (es.8) e Poulenc (es.9)





















Come si vede, il criterio con il quale Poulenc distribuisce le 24 lettere del suo alfabeto fra le 8 note dell’ottava è simile a quello che abbiamo usato poc’anzi per distribuire le 21 lettere dell’alfabeto italiano: ciascuno ha il suo! e, come dicevamo all’inizio, il fatto che talvolta esistano queste relazioni numeriche ( che 21 sia multiplo di 7 e 24 di 8) non ha gran significato, tanto è vero che il sistema cifrato usato da Ravel, che non presenta la stessa ‘simmetria’, ha lo stessa validità degli altri due.. Semmai, per quanto riguarda il nostro caso, proporrei una variante: ovvero le lettere non definiscano le note, ma i gradi della scala diatonica, lasciando così il compositore libero di scegliere caso per caso l’altezza delle note corrispondenti ai vari gradi; per dir meglio, lasciandolo libero di scegliere ogni volta la struttura modale che preferisce per ciascuno dei suoi esperimenti. Se stabiliamo che il primo grado della scala sia DO, e il brano nel modo maggiore, avremo per conseguenza III grado=mi e VI=la; viceversa nel modo minore III=mib, VI= lab, VII=sib; nel modo misolidio VII=sib e così via…
Per finire, ecco un piccolo esempio musicale, lo spartito di un pezzo per chitarra, la cui melodia rappresenta la ‘traduzione’ in note del verso iniziale della Commedia dantesca:

Nel mezzo del cammin di nostra vita.

Ringrazio l’amico Sergio Pes, che gentilmente ha rivisto e trascritto ex-novo la partitura per chitarra che è possibile scaricare qui, insieme, volendo, al relativo midi-file


n.b. La 'serie' su cui si basa l’esempio musicale suddetto







ricavata seguendo la cifratura note-lettere di cui allo schemino iniziale, è trattata un po' come i dodecafonici trattavano la loro serie (dodecafonica), cioè inserendo note ribattute, di passaggio, di volta, dove ritenevano opportuno e soprattutto trasformandola liberamente sul piano ritmico..

Fausto Bottai

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