venerdì 14 gennaio 2011

Intervista a Daniele Lazzari di Leonardo De Marchi, quarta parte


LDM: So che oramai da qualche anno vivi in Ungheria. Cosa vuol dire essere musicisti in Ungheria? Quali le differenze a tuo avviso più significative rispetto all'Italia?

DL: Prima di venire in Ungheria, la mia esperienza di musicista si era svolta esclusivamente in Italia. L'effetto è stato devastante: mi sembrava essere arrivato in un altro mondo. Naturalmente lo dico in senso positivo. Sembra che gli Italiani all'estero si divertano a denigrare l'Italia, ma non è così. Osservando la situazione del Bel-Paese dall'esterno ci si rende conto che la situazione è molto più grave di quel che si crede. L'Ungheria, lo sanno tutti, versa in condizioni economiche molto più precarie di quelle dell'Italia eppure, proprio in questo momento, le iniziative dello Stato e anche dei privati sono volte a rafforzare la cultura, la scuola, le infrastrutture e la qualità dell'istruzione. Non ci sono stati tagli finanziari alla scuola anzi, posso dire che i fondi stanziati a favore dell'istruzione artistica qui in Ungheria, rispetto a tre anni fa, sono aumentati. Gli enti musicali risentono della crisi, come nel resto del mondo, ma nonostante ciò nessuno è stato mandato a casa. Si moltiplicano invece le iniziative per rendere il mondo dell'arte sempre più interessante e competitivo.
A differenza dell'Italia la gente stima, quasi ammira i musicisti, perché riconosce la difficoltà del nostro lavoro, la scelta di fare dell'arte la propria ragione di vita. In Ungheria mi sento rispettato, la mia professionalità è riconosciuta e la buona notizia è che questa è una situazione generalizzata. I teatri e le sale da concerto, a quanto mi risulta, vengono ristrutturati o rimodernati e non chiusi e, nonostante la crisi, si riempiono ancora. I giovani poi, consapevoli delle proprie capacità, possono ritagliarsi i propri spazi e investire nel proprio futuro artistico. Molti di loro, condizionati dall'andazzo generale mondiale, dai concorsi musicali e dalle carriere fulminanti ad essi legati si buttano a capofitto in queste avventure. Secondo me sbagliano, perché a casa hanno già tutto quello che gli serve. Anche in Ungheria si organizzano questi grandi festival internazionali di chitarra: è interessante sapere che l'Ungheria è il Paese dei Festival. Si organizzano Festival che vanno dal cibo, alla musica, al cinema, etc. E naturalmente il primo Festival al mondo di chitarra è nato in Ungheria, ad Esztergom. Ormai i migliaia di festival di chitarra nel mondo sono un business e non un fatto culturale. Un business per i chitarristi, fatto dai chitarristi e per i chitarristi e non un fatto culturale come dovrebbe essere. In Ungheria, quando si crea un evento non ci si rivolge soltanto agli appassionati o agli specialisti. Ci si rivolge alla comunità intera, alla gente comune, che quando opportunamente sollecitata accorre in massa alle manifestazioni. Mi sembra invece che il “mondo della chitarra” sia diventato oggi un mondo autoreferenziale: questo è un tipo di globalizzazione dannoso!

LDM: Ti rivolgo una domanda classica per gli ospiti di “Chitarra e dintorni”: quali sono i cinque spartiti e le cinque registrazioni che vorresti portare nella fantomatica isola deserta?

DL: Ammesso che sia un isola deserta di lusso :) , porterei con me il doppio DVD (Warner Classics) di Miklós Perényi e András Schiff in cui c'è la registrazione di tre dei cinque concerti (tutti con programmi differenti) che due anni fa hanno tenuto all'Accademia Liszt di Budapest, in occasione dei sessanta anni dello stesso Perényi. Mi è particolarmente caro per due ragioni. La prima è che ero presente a quei concerti che hanno destato in me una profonda impressione: una delle vette più alte del far musica che io conosca, un punto di riferimento. L'altra ragione è che quel DVD è stato un regalo affettuoso di mia moglie: eravamo insieme durante quei concerti, condividendone l'emozione.
Per quanto riguarda gli spartiti, ne porterei solo se avessi con me una chitarra: quei pallini neri sul pentagramma sono morti senza l'esperienza uditiva che li rende vivi. Certo, la musica che amo vive in me senza bisogno di partiture e chitarra, ma è diverso. In ogni caso, credo che non potrei rinunciare alla musica di Bach. Attualmente sto preparando, fra le altre cose, la Chaconne e mi compiaccio del fatto che un pezzo così non possa mai annoiare. Per quanto profondamente vada la nostra ricerca, è sempre possibile cercare e trovare dell'altro: è magnifica!

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