mercoledì 26 maggio 2010

Intervista a Mauro Franceschi, seconda parte


Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più “messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica contemporanea. Come chitarrista lei quanto ritiene ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?

Credo che il pensiero di Berlioz sia in buona parte veritiero. Distinguerei però lo strumento classico da quello elettrico. L’esiguità del repertorio pregevole della chitarra classica in ensemble credo sia legata anche a limiti propri dello strumento. Diversamente la chitarra elettrica, capace di sonorità imponenti e inusitate, è titolare ancora di poche opere di valore in parte a causa delle difficoltà individuate da Berlioz, in parte per il fatto di essere stata l’ìcona della musica giovanile, e come tale - nel recente passato – quasi ignorata dai compositori colti. Per utilizzare la chitarra elettrica come strumento monodico e con sonorità usuali il compositore non necessita di particolari competenze, diversamente, sia nel caso dell’utilizzo delle possibilità polifoniche dello strumento che degli innumerevoli “effetti” che gli sono propri , le parole di Berlioz rimangono pertinenti.

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, oltre a lei mi vengono in mente i nomi di Elena Càsoli, Arturo Talini, Maurizio Grandinetti, Marco Cappelli e David Tanenbaum, David Starobin, Marc Ribot con gli studi di John Zorn … si può parlare di una scena musicale? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?

Io non sono un classico passato alla chitarra elettrica, ho solamente sostenuto l’esame di compimento inferiore in chitarra classica, strumento che ho poi abbandonato. Non conosco tutti i nomi che lei mi propone, io aggiungerei quelli di Marco Pavin, un virtuoso della classica e dello strumento elettrico che risiede a Padova, e di Seth Josel. Ho avuto talvolta occasione di ascoltare qualche interprete classico che si dedica alla chitarra elettrica, e spesso mi sono annoiato se non irritato, che la chitarra elettrica per me è altro che una classica, o acustica, amplificata. Credo che tra chitarra classica ed elettrica ci sia un rapporto analogo a quello che esiste tra fisarmonica popolare e pianoforte. Comunque, come diceva anche Niccolò Castiglioni “ognuno tira acqua al suo mulino”.

Parlando di compositori innovativi, che ne pensa di John Zorn, dei suoi studi Book of Heads e della scena musicale downtown newyorkese così pronta ad appropriarsi e a ricodificare di qualunque linguaggio musicale, dall’improvvisazione, al jazz, alla contemporanea, al noise, alla musica per cartoni animati?

Conosco in parte la musica di John Zorn, che avverto prossima ma al di fuori del mio mondo. Della scena newyorchese vorrei ricordare piuttosto Scott Johnson, il primo compositore che, con il CD John Somebody, abbia portato la chitarra elettrica ad un ruolo di protagonista nell’ambito della musica colta. Chitarrista e compositore, eseguito anche da Kronos Quartet, Johnson è ideatore di un linguaggio articolato e affascinante, in cui convivono elementi popolari, e forme elaborate.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione temporale” musicale?

Il rischio credo sia reale, soprattutto per le nuove generazioni.

continua domani

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