mercoledì 12 maggio 2010

Intervista a PierPaolo Dinapoli di Leonardo De Marchi, seconda parte


La seconda: vivi altre esperienze intellettuali oltre alla musica? Come le vivi? In che modo secondo te possono conciliarsi (sempre se possono farlo) con la tua ricerca artistica?


Ti confesso che questa domanda mi mette un po' in crisi! A parte gli scherzi, frequento Matematica all'università di Bari. Non so in quale misura la matematica mi abbia influenzato, ma di sicuro è presente. Sono poi della profonda convinzione che ogni situazione del nostro vissuto si rifletta nella musica, o meglio, nella nostra parte musicale più autentica e profonda. E' come se lasciasse un solco profondo nel nostro essere che, volente o nolente, tiriamo fuori e mostriamo agli altri nell'esecuzione, quasi fosse un'epifania! Altrettanto importanti sono i legami umani che costruiamo e il modo in cui essi rimangono vivi. Ho sempre sempre pensato che quando un interprete suona esprima se stesso attraverso tanti piccoli, ma visibili, particolari che lo mettono in comunicazione col proprio io.


Quali sono le zone del repertorio chitarristico che ti interessano di più? Hai uno o più autori cui rivolgi particolare attenzione? In cosa li senti affini alla tua sensibilità?


Per come la vedo io, uno strumento è il suo repertorio. Mi piace perciò quel repertorio che mi permette di usare tutta la vasta gamma di colori della chitarra e che mi stimoli ad una ricerca in questa direzione. Non ho un buon rapporto con il repertorio ottocentesco, sia esso classico o romantico: preferisco di gran lunga tutto ciò che è venuto dopo l'“Homenaje” di Manuel de Falla. Mi piace molto lo spirito lirico del repertorio cosiddetto “segoviano”, poiché vi trovo un carattere che ben si sposa con la mia idea di chitarra (penso soprattutto a Castelnuovo-Tedesco, a Ponce, a Rodrigo, a Tansman). Mi piace moltissimo a tal proposito ciò che dice Gianni Nuti, nel nuovo “Manuale di storia della chitarra” a proposito di questi autori: li raggruppa in un unico capitolo e definisce la loro poetica come “Poesia dell'evocare”. Ho anche un amore viscerale per la musica contemporanea, mi piace la ricerca continua per accedere a certi nuovi linguaggi. Sono un avido lettore di musica di norma poco frequentata, ma che può rivelare aspetti molto interessanti: mi vengono in mente gli italianissimi Rosetta, Chiereghin, Sergio Prodigo (che ha scritto una bellissima Sonata!). Il repertorio al quale possiamo attingere è talmente vasto che non abbiamo altro che l'imbarazzo della scelta. E poi, beh, apprezzo moltissimo la musica di Dusan Bogdanovic.
Discorso a parte merita poi la musica rinascimentale e barocca. La trovo pervasa di una monumentalità e grandezza intrinseca davvero invidiabile. Purtroppo però non mi sento ancora del tutto a mio agio con questo mondo... per me è una territorio ancora tutto da scoprire.


La tua attività spazia molto nel settore cameristico: in particolare sei attivo con un duo chitarra-violoncello. Cosa ti ha spinto ad intraprendere questa esperienza cameristica poco usuale? Che ruolo riveste nel tuo immaginario musicale?


Anche in questo caso tutto è iniziato per caso. Nel mio paese, Venosa, siamo poco meno di 12.000 abitanti, ci si conosce un po' tutti. Mentre stavo preparando l'esame di storia della musica, un mio amico stava preparando il compimento inferiore di violoncello e così nelle pause spesso parlavamo insieme di musica. La scintilla è scoccata con l'ascolto della splendida Sonata di Radames Gnattali. Abbiamo acquistato lo sparito ed abbiamo iniziato a suonare insieme. L'esperienza ci è piaciuta molto e così, parallelamente alle esibizioni in concerto, abbiamo iniziato una ricerca del repertorio originale composto per questa formazione. Ci siamo accorti, senza grandi sorprese, che è una formazione con un repertorio molto molto giovane (ad oggi non contiamo più di 3-4 brani scritti prima del '900) e priva di un consolidato livello di qualità medio-alto. E' difficile scrivere per questi strumenti, eludendo la classica formula melodia-accompagnamento, per via della sovrapposizione delle loro gamme timbriche e per differenza di “corpo” nel suono. E' stata una bella sfida, e lo è tuttora, cercare gli equilibri giusti, cosa di per sé complessa in ambito cameristico e, a maggior ragione, con strumenti così distanti. Trovo tuttavia che vi sia una bella commistione timbrica sicuramente ancora tutta da esplorare, speriamo quindi di essere dei pionieri! [ride di gusto]


Suoni anche in organici cameristici più “convenzionali”?


Non stabilmente. Ho avuto modo di suonare in duo di chitarre, con il flauto e con a volte con il clarinetto, ma nessuna collaborazione che si sia protratta nel tempo.


Ora una domanda più “terra-terra”: che chitarre suoni?


Una Maguolo in abete del 2007. E' uno strumento che mi piace moltissimo per comodità e sensibilità timbrica che offre. E' stato il mio primo strumento “serio” e mi ha permesso di cominciare a “scavare” sul suono, aspetto che come ti dicevo prima mi piace molto. Trovo inoltre che questa chitarra, per la fascia di prezzo in cui si colloca, sia proprio eccellente: ben rifinita, gradevoli finiture estetiche e ottima proiezione.

continua domani

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