Ogni tanto il Blog esce un po’ dalla sua monomaniacalità per andare ad ascoltare cosa fanno strumenti tradizionali e non diversi dalla sei corde, ogni tanto facciamo un giro nei “dintorni” per sentire cosa bolle di nuovo e di interessante in pentola, soprattutto per la musica contemporanea.
Questo disco suonato, prodotto e realizzato dalla brava violinista Ana Milosavljevic, di origine serbe e da tempo ormai cittadina newyorkese, ha decisamente contribuito a cambiare e a svecchiare le mie ormai troppo consolidate opinioni sul violino.
Il disco contiene sette composizioni, tutte realizzate da compositrici donne, tutte caratterizzate da un uso innovativo del violino, al di fuori dei canoni tradizionali a cui la musica classica ci ha abituato.
Ana è una virtuosa (la title track che apre il cd è composta da lei) che sa destreggiarsi benissimo tra il legno tradizionale, lo strumento amplificato e tutte le possibilità offerte dal suo laptop tramite software come Max/MSP, il titolo del disco non è sicuramente casuale, vista la sua preferenza per brani che le permettono di disegnare atmosfere dilatate, melanconiche, riflessive e sognanti.
Ana suona su tappeti di elettronica e pianoforte riverberati adatti a favorire l’introspezione personale, strutture minimalistiche e massimalistiche estremamente delicate e tenui come tessuti di nebbia sonora che portano musiche create da compositrici che non hanno nulla della sacralità imposta dalla musica classica. Sono musiche contemporanee nel senso perfetto del termine, non lasciano trasparire nulla di pesantemente accademico, siamo lontani anni luce da un certo retrogusto snob e radical-chic. Le musiche di Ana Milosavljevic, Aleksandra Vrebalov, Katarina Miljkovic, Margaret Fairlie-Kennedy, Eve Beglarian (compositrice già nota a chi ama e ascolta la chitarra contemporanea per quel suo brano “Untill it blaze” inciso da Emanuele Forni e da Seth Josel di cui sul blog abbiamo già parlato) e Svjetlana Bukvich-Nichols cantano la realtà e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, dalle trasformazioni che la nostra società ha apportato al violino e al nostro modo di sentire la musica e la nostra vita.
Un deciso salto di qualità, una piacevole scoperta per chi (come me) era rimasto fermo a Laurie Anderson e a Mark Feldman.
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