Luciano
Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche
negativo, quando diventa un modo di dimenticare la musica.
L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli
permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa
continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che
ruolo può assumere la ricerca storica e musicologica in questo
contesto?
Enrico.
Credo di avere risposto nella precedente domanda. Assolutamente
d’accordo.Antonio.
Le novità portano sempre scompiglio. Thomas Kuhn, parlando di
scienza, indicava l'alternanza tra paradigma e rivoluzione
scientifica, individuando sempre la difficoltà nell'accettare
l'innovazione da parte della tradizione. Credo che questo metodo di
analisi possa essere applicato anche alla musica. L'innovazione, poi,
diventa paradigma e si aspetta una nuova rivoluzione. Credo che in
questo senso la ricerca storia e musicologica sia di fondamentale
importanza per evitare di rimanere ingabbiati in un modo di intendere
e suonare la musica.
Ho,
a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica
scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico,
nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il
passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non
può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di
una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?
Antonio.
Il rischio c'è ed è
reale. Ma qui entra e deve entrare in gioco la ricerca, l'intuizione
che viene fuori dallo studio e dall'ascolto e prima ancora dalle
esperienze di vita.
Come
vedete la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal
supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario? A
volte ho la sensazione che la possibilità di scaricare tutto,
qualunque cosa da internet gratis abbia creato una frattura
all’interno del desiderio di musica, una sorta di banalizzazione:
insomma dov’è la spinta per un musicista a incidere un disco che
con pochi euro riesci da solo a registrare e stampare quello che vuoi
e chiunque può farlo? Alla fine diventa quasi un gesto quotidiano
che si perde in un mare di download dove scegliere diventa
impossibile … stiamo entrando in un epoca radicalmente diversa da
quella che abbiamo vissuto finora? Come poter scegliere?
Antonio.
Internet è stata una rivoluzione.
Oggi i ragazzi che si affacciano alla musica possono, tramite
YouTube, ad esempio, "far vedere" subito il loro talento.
Spesso è solo voglia di apparire, altre volte è necessità di poter
dire la propria. Lo stesso per il mercato discografico. Il rischio di
banalizzare tutto c'è ma non penso sia legato all'esistenza del
download digitale e alla morte del vecchio supporto quanto piuttosto
al fatto che nessuno più, o pochi meglio pochissimi, investe nella
musica. E allora ci si arrangia da sé. Il mare di possibilità nasce
da questo, la quantità è elevata ma la qualità viene sempre a
galla.
Consigliateci
cinque dischi per voi indispensabili, da avere sempre con se.. i
classici cinque dischi per l‘isola deserta..
Enrico.
Il concerto in Cm n°2 Op.18
per pianoforte e orchestra di Rachmaninof, “Dream” di Michael
Broock e Ulipop Srinivas, Afro Blue Impressions (live) di John
Coltrane, Danças das Cabeças di Egberto Gismonti, Hydra di Ben
Monder.
Antonio.
Imaginary Day di Pat
Metheny, Skunkworks di Bruce Dickinson, Give di The Bad Plus,
Anything Goes di Brad Mehldau, Ok Computer dei Radiohead, Somewhere
in Time degli Iron Maiden.
Quali
sono invece i vostri cinque spartiti indispensabili?
Enrico.
Le Gymnopedie di Eric Satie,
Frevo di Gismonti, il Preludio n°6 di Bach, il quartetto in Gm Op.10
di Claude Debussy, The Way Up di Pat Metheny e Lyle Mays.
Antonio.
Tutti i miei libri sui rudimenti della batteria e poi, anche per me,
The Way Up del Pat Metheny Group.
Il
Blog viene letto anche da giovani neodiplomati e diplomandi, che
consigli vi sentite di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di
iniziare la carriera di musicista?
Enrico
e Antonio. Non smettere
mai di studiare, e di fare ricerca. Trascrivere e suonare qualsiasi
melodia o semplicemente ritmo. Umiltà sempre. E purtroppo, cambiare
Paese.
Con
chi vi piacerebbe suonare e chi vi piacerebbe suonare? Che musiche
ascoltate di solito?
Enrico.
Dipende dal momento. In questo periodo ascolto Ben Monder che adoro!!
Ma anche Dino Saluzzi, Fred Frith, Chris Potter, Dave Holland, Steve
Coleman, Wayne Shorter, Egberto Gismonti.
Mi
piacerebbe collaborare invece con John Surman e.. con il grandissimo
Pino Forastiere!
Antonio.
Anche per me dipende da momento ma
sicuramente Brad Mehldau. Ascolto tutto ciò che mi piace. Per adesso
sono i The Bad Plus ad attirare le mie orecchie in maniera
particolare!
Quali
sono i vostri prossimi progetti? Su cosa state lavorando?
Enrico.
Un duo dal nome “ij2” con
Domenico Ammendola, talentuoso clarinettista con cui abbiamo
condiviso vari concerti dal 2009 fino ad ora, passando dalla
composizione all’improvvisazione.
Un
disco in Solo in cui farò perdere la mia chitarra tra i loop, e
ovviamente il nuovo Soni Sfardati, che per la prima volta vedrà
l’ingresso di un bassista.
Antonio.
Ho in mente di registrare la batteria di un disco in cui suono gran
parte degli strumenti e che fino ad ora è rimasto chiuso nel
cassetto e poi, ovviamente, il nuovo disco di Soni Sfardati.
Ultima
domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di
J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual
è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale
misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?
Enrico.
Personalmente
perché è un bisogno, un po’ come un atto d’amore. Arte per arte
o arte per la vita? Preferisco risponderti citando uno dei miei
registi preferiti, Andrej Tarkovskij, nel monologo tratto dal film
“Stalker”:
“La
Musica è legata ben poco alla realtà, o meglio anche se è legata
lo è senza ideologie, meccanicamente, come un suono vuoto senza
associazioni.
E
tuttavia la Musica per un qualche miracolo, penetra l’animo umano.
Cosa
risuona in noi in risposta a un rumore elevato ad armonia?
E
come si trasforma per noi nella fonte di un immenso piacere e unisce
e commuove?
A
cosa serve questo? E soprattutto a chi?
Risponderete:
a nessuno e a nulla… così, disinteressatamente..
Ma
è improbabile, perché tutto ha un senso e una ragione.
Ciò
che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale, ma solo
attrito tra l’anima e il mondo esterno.”.
Antonio.
Quoto
Enrico in tutto e per tutto.
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