La
prima domanda è sempre quella classica: come è nato il vostro amore
e interesse per la musica? Qual è il vostro background musicale?
Enrico.
Mia nonna materna era una
pianista, e quando l’ascoltavo suonare, dentro al salone in cui
imperavano statuette di Mozart, Bach, Wagner e un inquietante
ritratto di Beethoven, rimanevo incantato.. Credo sia stato quello il
momento. A cinque anni ho cominciato con lei lo studio del
pianoforte, resistendo fino a dodici, trovando finalmente il coraggio
di confessarle che amavo la chitarra più di ogni altra cosa. Da
allora non ho più smesso. Le nozioni di lettura che avevo acquisito
precedentemente mi hanno aiutato tantissimo all’inizio; vedevo le
sei corde come un’intreccio di pianoforti.. Adoravo l’Heavy Metal
(erano gli anni ’90) che ho suonato tantissimo, passando poi per il
dark (The Cure, Cocteau Twins, This Mortal Coil), la New Age e la
musica etnica (era il periodo dell’etichetta Real World fondata da
Peter Gabriel), il Progressive dei Van Der Graaf Generator e dei
B.M.S., il Minimalismo di Reich, Glass e Riley, fino ad arrivare al
jazz, che con il suo idioma improvvisativo mi ha profondamente
cambiato.
Antonio.
L'amore è nato quasi subito. La passione si è alimentata ed è
cresciuta con il tempo. Percuotere qualunque cosa avessi a tiro a
fatto capire ai miei che la musica ed in particolare la batteria era
qualcosa che apparteneva già alla mia storia. Ho studiato pianoforte
per poi virare sulla batteria in adolescenza. Ho adorato il rock ed
il metal per poi studiare/suonare tutto ciò che mi piaceva dagli
Iron Maiden a Pat Metheny, per intenderci, passando per Miles Davis.
Per
Enrico Cassia: che strumenti suoni?
E’
una bella domanda!!!
So
già che non riuscirò a essere sintetico.. Perdonami!!
Sicuramente
non sono un fenderiano (nel senso classico del termine), ma amo le
Gibson, le PRS, il suono dei P90. Però la Tele.. Ahahah!!
Tranne
la De Armond X-155 (chitarrone jazz in cui ho montato al manico un
pickup gibson 57 Classic), che ho usato in Tetraktis e in molte
tracce di Tri Soni, le altre sono chitarre artigianali o chitarre
modificate.
Ho
una tele thinline con camera tonale che monta al ponte un pickup
single coil Kent Armstrong e al manico un Paf della Di Marzio
(splittabile).
Poi
uso una fretless (modello strato) con un humbucker Kent Armstrong al
ponte, la suono praticamente soltanto in quella posizione per sentire
meglio il rimbalzo della corda, e tutta accordata un tono sotto, in
questo modo le corde hanno una risposta meno nervosa.
Nell'ultimo
CD la uso per la prima volta sulla traccia 9 (Saqiya) e l'ho presa
quasi per caso dopo i precedenti due take che non mi avevano
soddisfatto, nei quali avevo usato la Tele.
E'
stato bellissimo suonarla (non avevo programmato di mettere la
fretless in questo disco, non mi sentivo pronto, e poi lo strumento
non è intonatissimo, quindi dovevo fare ancora più attenzione) però
mentre suonavamo, sentendo la voce di Gaia ho trovato una chiave per
risolvere i miei dubbi sul brano. Non avevo più i tasti a
infastidirmi e quindi anticipavo i suoi vocalizzi rincorrendoli con
lunghissimi glissati ascendenti o discendenti, salvo poi sparare
qualche frase nervosa, e con il delay che rendeva il tutto più
acquoso è bastato quel take a convincermi!
Poi
uso una chitarra a 12 corde Yamaha, acquistata nel 1998, serie apx,
niente di che in realtà, però la chitarra ha suonato talmente tanto
che si è aperta e ha un suono incredibile! E' una delle chitarre che
sottopongo a esperimenti: ho sostituito la sesta corda (i due mi) con
un solo Re 0.65 per basso, e in questo momento è a 11 corde, poi per
qualche anno l'ho tenuta sempre con quest'accordatura dalla sesta
alla prima: C G C F G D.
In
questo modo potevo sperimentare altre scale, diteggiature, sonorità,
in un primo momento irrazionalmente, la suonavo soltanto a orecchio,
poi pian piano ho cominciato a mettere un po' d'ordine e a costruire
un sistema di posizioni per armonizzare.
A
livello di posizioni se sei veloce a trasporre le note, non cambia
poi così tanto, e in più puoi usare accordi e posizioni late,
rispetto alla normale accordatura. Comunque già da sola
quest'accordatura ha un suo carattere, io la vedo come un Csus2/4.
Questa
chitarra la suono nella traccia 4 (Kimono Rosso) e nella traccia 8
(Al Madarig).
L'ultima
è una strato (Jim Reed) con elettronica EMG.
Ha
soltanto tre singoli, ma la chitarra non suona assolutamente come una
fender... Ha un suono incredibile, sempre definito, una gamma
dinamica molto estesa, e con le diavolerie che ho montato passo dagli
humbacker ai P90, ai singoli!
Oltretutto
attivo i pickup tramite switch, quindi ho pure la combinazione della
tele neck+bridge.
In
più ho montato 2 boost EXG ed SPC, avendo così la possibilità di
portare i singoli quasi ad humbucker, o di avere un taglio a 1 Khz
(il classico effetto loudness) che uso tantissimo quando faccio Slap.
Con questa ho registrato praticamente tutte le tracce del nuovo
disco, perchè quando provavo a registrare con la tele riascoltando
il suono non mi soddisfaceva più come un tempo.
Tra
poco dovrebbe arrivarmi una chitarra di Francesco Distefano, un
liutaio e un artista eccezionale. E' un modello PRS, con corpo in
Korina a camere tonali, manico in pao ferro, pickup Lollar, e manico
incollato con la tecnica “set-thru” cioè in una fresatura
apposita fino al ponte per poi essere sigillato dal top stesso. In
questo modo ponte e pickup sono fissati anche al legno del manico
assicurando la maggiore trasmissione possibile delle vibrazioni.
Penso che suonerò questo strumento per molto molto tempo!
Sia
in tri Soni che in quest’ultimo lavoro, Saqiya, fate un largo uso
dell’improvvisazione, come vi relazionate tra voi? Attingete a una
base di esperienze e di vocabolario musicale in comune?
Enrico
e Antonio. Ovviamente si!
Sono più di dieci anni che suoniamo insieme e al di là della
formazione in duo abbiamo avuto anche altre esperienze in comune, dal
classico trio (o quartetto) di standard jazz,
all’orchestra/laboratorio di improvvisazione (come ad esempio il
Lab PSL diretto da Carlo Cattano e Antonio Moncada). Ma dopo la
registrazione di Tri Soni, prima del tour a New York, è nata
l’esigenza di trovare un vocabolario comune con delle codifiche,
per essere più diretti e sintetici durante i live.
Eravamo
spaventati, non avendo mai fatto un intero concerto solo con pezzi
improvvisati, avevamo il terrore di essere scontati e ripetitivi. Le
codifiche per le nostre improvvisazioni sono semplici e riguardano
essenzialmente le "partenze": Time se si tratta di iniziare
con un loop ritmico, Alea se il tempo invece non deve farla da
padrone, Impromptu se si inizia contemporaneamente. Tutte le
improvvisazioni, poi, seguono il mood del momento e attingono dalla
nostra esperienza di musica insieme.
A
proposito di Saqiya, come è nata l’idea di questo progetto dai
toni fortemente mediterranei? Come è entrata nel vostro duo la voce
di Gaia Mattiuzzi?
Enrico.
Questo progetto ha avuto una
gestazione lunghissima. Nell’ottobre 2004 (deciso a fare una
ricerca musicologica) mi ero trasferito in una piccola frazione di
Mascali, vicino Riposto, abitata soltanto da pescatori, con l’intento
di avvicinarli e intervistarli, per ascoltare le loro antiche storie
e vedere se ricordavano dei canti o degli aneddoti riguardanti il
mare. All’inizio non fu per niente semplice, perché non si
fidavano di un estraneo, ma poi grazie all’aiuto di un amico che
conoscevano bene, non smettevano più di parlare! Il risultato fu
circa sei ore di registrazione, proprio lì nelle loro dimore in riva
al mare. A questo aggiungi anche lo studio di veri e propri documenti
storici, CD come “Canti e orazioni di mietitura e trebbiatura in
Sicilia” di Mario Sarica e Giuliana Fugazzotto. Insomma ero
fortemente in crisi e cercavo in tutti i modi di appropriarmi delle
mie radici, la musica sicula, carpirne l’essenza, il mare, il
ritmo, Giovanni Verga, la dominazione spagnola.. Durante queste
ricerche notavo come molti canti della nostra tradizione fossero
filastrocche basate su ritmi di tarantelle o bulerìe, trovando così
una base, un punto fermo da cui partire per poter rielaborare. Il
confronto e la collaborazione con Antonio sono stati di importanza
assoluta, perché lui stava facendo uno studio meticoloso sui tempi
dispari di derivazione indiana, e cominciammo così a lavorare su
poliritmi. Dall’improvvisazione alla composizione il passaggio è
stato relativamente breve.. Abbiamo fatto molta esperienza dal vivo,
e dopo ogni concerto nascevano sempre nuove idee. Proprio durante il
tour con improvvisatore involontario a New York, nel 2011, abbiamo
conosciuto Gaia, l’anello mancante di questo progetto.
Volevamo
che Saqiya fosse un viaggio attraverso la nostra terra piena di
leggende, una storia in cui ogni brano avesse un carattere proprio ma
fosse comunque parte del tutto. Un concept.
La
voce di Gaia (oltre alla sua notevole tecnica) ci ha aiutato
tantissimo in questo. In alcuni punti sembra che dia vita a dei veri
e propri personaggi, e ciò dona continuità e omogeneità alla
nostra musica, ma anche movimento e mistero. E’ stata un’esperienza
meravigliosa e un grandissimo gioco di squadra fra noi tre musicisti
in primis, ma vorrei includere anche chi ha curato la grafica (Andrea
Baglieri BOMA Studio), chi le note di copertina (Emanuele Coco), e
chi ci ha trasmesso entusiasmo sincero e genuino con la voglia di
condividere la nostra musica, mi riferisco ai ragazzi di La bèl
Netlabel.
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