giovedì 19 giugno 2014
Intervista a Pierluigi Potalivo di Andrea Aguzzi prima parte
Ciao Pierluigi, l’ultima volta che ci siamo sentiti è stato nel 2011, mi pare .. ora sei tornato con un
nuovo cd realizzato con il mandolinista Nunzio Reina, come è nata l’idea di un progetto
discografico interamente dedicato alla chitarra e al mandolino?
Si, era il 2011 e il tempo corre davvero in fretta... È un piacere farci di nuovo una chiacchierata.
La genesi del nuovo lavoro è questa. Grazie a un caro amico che ora non c'è più, appassionato di
mandolino, ho conosciuto qualche anno fa un disco di Nunzio che mi è piaciuto moltissimo.
Si tratta di una raccolta di alcuni tra i migliori pezzi per mandolino e pianoforte di Raffaele Calace.
L'impressione è stata subito forte, e, senza nessuna esagerazione, è uno dei migliori CD che
posseggo. Scoprivo, da un lato, questo compositore napoletano così singolare; dall'altro, un
mandolinista davvero brillante. Un connubio centrato e per me molto significativo, vista la
provenienza partenopea di Nunzio – anche se la famiglia paterna è di origini siciliane. Più ascoltavo
la musica e più sentivo di trovarmi di fronte a un'eco, certo una 'sopravvivenza' (anche se vivissima
e risonante), della vecchia Scuola Napoletana. Calace, infatti, può intendersi come uno degli
ultimissimi rappresentanti di quella tradizione in cui operarono Scarlatti, Pergolesi, Cimarosa e
anche il nostro 'primo' Giuliani. Ora, abbiamo tutti studiato per l'esame di Storia della Musica
ripetendo a memoria frasi come “l'impulso vitale di quella scuola si interrompe, decadendo, intorno
alla fine dell''800” etc. Ma, in fin dei conti, si sa che l'ultimo è stato Rossini – e chi si mette a
cercare i 'sopravvissuti del Titanic' negli anni di Schumann, Brahms e Liszt? Tuttavia, ecco che ne
compariva uno... Per i mandolinisti e gli appassionati Calace non è certo nuovo, anzi è una figura di
grande rilievo, essendo, oltre che compositore e concertista (si dice magnifico), un abile liutaio,
nato proprio in una famiglia di fabbricanti di strumenti dal 1825. È proprio questa natura di Calace
che ne fa un rappresentante-tipo della Scuola Napoletana, se si aggiunge che egli fu anche editore
delle proprie opere. L'ex Regno delle due Sicilie, ai tempi di Calace, era espressione di una cultura
ormai retriva e periferica rispetto al centro Europa, ma, almeno nella sua produzione migliore, il
nostro compositore lancia, da quel contesto decadente, un ultimo e sorprendente acuto. Calace è
capace di dialogare attraverso le forme della musica colta europea col suo sentire puramente
partenopeo, ma non ancora 'canzonettista'. È un mix-up davvero unico ed esaltante. Alcuni temi
sono meraviglia pura, anche se pochi altri lavori arrivano ai picchi della selezione fatta da Nunzio
Reina nel suo CD, che può considerarsi il meglio della produzione. Pochi pezzi, in realtà, ma più
che sufficienti per una vera esperienza musicale. Peccato che una grande quantità di brani di Calace
(anche quelli 'così così') circoli in agghiaccianti e sovreccitate esecuzioni germano-russonipponiche,
che sminuiscono la genuina vena di questo compositore. Quanto a Nunzio, dirò che
trovarsi di fronte a un mandolinista capace di vera 'cavata' è un piacere. Ascoltare per credere... Da
quel momento ho guardato al suo strumento con occhio totalmente diverso, e ho pensato che mi
sarebbe piaciuto fare qualcosa con lui.
Quando hai conosciuto il Maestro Reina e come l’hai convinto a seguirti in questa nuova opera?
Due o tre anni dopo l'ascolto del disco ho contattato Nunzio, semplicemente cercandolo sul web.
Fu lui, per la verità (e per fortuna), a propormi di scrivere qualcosa per il mandolino, mentre io,
meno audacemente, pensavo solo di suonare qualcosa del 'suo' Calace. Semmai una mia azione
persuasiva è arrivata più tardi quando, dopo aver composto i primi brani, ho imboccato una
direzione atonale e poi addirittura microtonale. Ci si chiedeva come sarebbero state accolte queste
musiche, in cui io credo. Alla fine Nunzio, con mio piacere, mi ha appoggiato, essendo molto
ricettivo e curioso – con la giusta malizia...per esempio verso le piccole scordature che gli chiedevo
per ottenere i microtoni.
Quali sono le differenze tecniche tra il comporre per chitarra e per mandolino?
Se si pensa al mandolino antico, quello di Vivaldi per capirci, esso può considerarsi un piccolo liuto
a plettro, che ha finito per guardare al violino nella modalità di fare melodia. L'introduzione del
tremolo ha portato l'estetica del mandolino a diventare 'caratteristica', e a legarsi a questo aspetto
timbrico. È qui che risiede principalmente la differenza con la chitarra, ed è infatti questo lato che
ho evidenziato di più. Essendo attratto, più che dalla ritmicità del mandolino (che pure ho adoperato
nella Tarantella), dalla sua capacità di schiudere scenari emotivi intensi, non ho mai potuto
prescindere dal tremolo. Ne ho attinto a piene mani, adoperandolo sempre, ma non certo per
trasformare una melodia in una 'mandolinata', col solo proposito di allungarne la durata delle note.
Al contrario, ho guardato allo strumento piuttosto come a un 'violino a plettro' per cercare,
attraverso la possibilità innata della chitarra di sostenere l'armonia con pochi tocchi, risultati
'orchestrali' assolutamente moderni. Essi nulla hanno a che vedere col consueto trattamento dei due
strumenti, cioè chitarra che arpeggia e mandolino che 'plettra' ritmicamente (un esempio sono i
Tre Preludi brevi). Questo approccio tradizionale è ormai vetusto e improponibile, poiché,
convenientemente alle esigenze del tempo, si dialogava prima quasi esclusivamente sulle altezze
musicali, e il mandolino era 'la voce'. L'odierna libertà espressiva, soprattutto in ambito timbrico,
permette di trasformare un duo del genere in un qualcosa di completamente diverso. In questo senso
una chitarra e un mandolino possono offrire possibilità di grande avanguardia. Questo fare musica
'per flussi' (aperture e chiusure improvvise, come nel respiro e le sue sfumature), cioè non
ritmicamente, ci ha creato non poche difficoltà, essendo molto difficile controllarsi senza sentire la
terra sotto i piedi... Ma ne è valsa la pena, per aver contribuito al repertorio di uno strumento
italianissimo, che può dare ancora molto di sé, superando uno stereotipo di duo che appartiene al
museo.
Rispetto a “Spirito di una Sonata” ho notato una evoluzione nelle composizioni, se nel tuo
precedente cd .. “rielaboravi” in un certo senso, componendo mantenendo il vocabolario e lo
spirito delle musiche del passato a cui ti ispiravi, questo cd mostra un maggiore varietà e anche
un .. maggiore coraggio, una maggiore maturità da parte tua: qui ti muovi con disinvoltura dal
romanticismo all’impressionismo, alla tarantella, alla microtonalità dei Frammenti Ellenici che
credo siano i brani che mi hanno di più impressionato…
Si, penso che la tua osservazione sia giusta. Devi sapere, però, che nell'atto di comporre i pezzi non
avevo la minima idea di quello che ne sarebbe risultato, una volta finiti, potendoli considerare uno
vicino all'altro. Alla fine mi sono reso conto di aver attraversato il '900, aprendomi poi al quel ponte
per un futuro che ho imparato a sentire nei suoni microtonali. È vero, c'è una grande varietà di
generi in questo album rispetto a Spirito di una Sonata, un lavoro, si potrebbe dire, 'a tema'. Lì si
trattava di realizzare un'idea che sento tuttora come viva e operante, che mi ha accompagnato a
lungo e a cui devo la comprensione della musica come un atto puramente intuitivo. Continuo
– e continuerò – a sentire le creazioni come organismi viventi, animati da una qualche 'vibrazione'
in grado di risuonare in tutti noi; e sono convinto che sia un errore confondere quest'ultima con la
forma che assume, la quale rappresenta la vibrazione in quel dato momento, ma non in assoluto.
Da questa identificazione scaturiscono un sacco di problemi... In primis quello del culto della
'volontà' dell'autore (meglio se morto, disturba meno), scambiata appunto con la forma, e le
conseguenti punizioni corporali alla più piccola libertà che qualcuno si prende. Il fatto è che,
continuando a confondere la volontà altrui col proprio autoritarismo, si possono solo fondare delle
chiese... I Frammenti Ellenici sono un tentativo di andare oltre l'odierna avanguardia, o il
'contemporaneo'. È importante per me ripartire dai nostri strumenti acustici, senza associare la
microtonalità agli apparecchi elettrici, poiché la si può ottenere facilmente anche 'senza filo'. Non
stigmatizzo cavi, amplificatori e chitarre elettriche, che posseggo e uso, semplicemente non lo farei
volentieri nel genere classico di avanguardia, anche se posso comprendere che oggi in essi i
giovanissimi vedano una possibilità. Credo però che dai nostri vecchi strumenti (si può a buon
diritto cominciare a chiamarli così, se paragonati a quelli elettrici) si possa trarre ancora molto, a
patto di non considerarli immodificabili. Penso, per esempio, al flauto Paetzold, che mescola flauto
dolce e canne d'organo, e ad Antonio Politano, un musicista geniale che suona questo strumento
nuovo come nessuno. Tra Seascape (per flauto Paetzold) e Trash TV Trance (per chitarra elettica),
due brani molto noti di Fausto Romitelli, sono più emozionato dal primo.
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