domenica 20 gennaio 2008

SANTA LUCIA LUNTANA……piccola storia di un grande patrimonio che gli emigranti trasferirono nel nuovo mondo Parte prima di Angela Cingottini


Tra gli ultimi anni dell’800 e i primi del ‘900 milioni di emigranti partirono dall’Italia per cercare condizioni di vita migliori nei paesi d’oltre oceano. Moltissimi erano napoletani che lasciavano la loro città salpando da quello che ancora oggi è conosciuto come molo Umberto I.

Gli emigranti non avevano molti bagagli: si imbarcavano portando con sé soprattutto i ricordi del loro bel paese. Le immagini si mescolavano agli odori della loro cucina povera e al suono delle loro canzoni. E sono proprio la cucina e le canzoni che nel ‘900 hanno fatto conoscere al mondo un’altra Italia, fatta non solo di Antichità e di Arte, ma anche di gente semplice, felice di vivere nella cultura che si tramanda all’interno della famiglia, nei gesti e nei fatti della vita quotidiana. E da sempre i napoletani hanno amato parlare della propria vita dando corpo a immagini e sentimenti per mezzo del canto.
E’ un po’ come accade con il presepe, altra grande tradizione napoletana ,in cui questo popolo trasferisce e rappresenta immagini della propria vita e angoli della propria città .

La canzone a Napoli ha origini antiche. Antiche almeno come il Maschio Angioino o l’Università fondata nel 1224 da Federico II di Svevia e di cui porta il nome. A quell’epoca Napoli era già un città molto grande: contava 35.000 abitanti. Federico aveva voluto farne una capitale a tutti gli effetti, emanando decreti e regole per favorire gli scambi culturali e la presenza di studiosi stranieri.
E’ proprio a quell’epoca che si fanno risalire le prime canzoni documentate, il frammento di un Inno al sole e il Canto delle lavandaie del Vomero. Quest’ultimo è ancora molto conosciuto e amato a Napoli. Ricorda il tempo in cui le donne del popolo andavano a lavare il bucato nelle famiglie nobili e benestanti e qualche volta accadeva che la biancheria ,tutta rigorosamente bianca ,venisse confusa e scambiata. La canzone è infatti un’allegra disputa a causa di quattro fazzoletti da restituire.
Le cose cambiarono sotto la dominazione degli Angioini che furono a Napoli per due secoli, dalla seconda metà del ‘200 a quella del ‘400, comportandosi da veri dominatori. Essi sfruttarono la città e i suoi abitanti , tenendo in genere una condotta così scandalosa da attirarsi la scomunica papale. In quell’epoca i napoletani si servirono delle canzoni come satire per mettere in ridicolo e rendere pubblici fatti che sicuramente non facevano onore ai regnanti. Poco ci è rimasto di questo materiale caduto nell'oblio perché privo di vero valore artistico e troppo storicamente datato. Si deve infatti tener presente che nulla veniva scritto e le canzoni erano tramandate oralmente, parole e musica. Così quando perdevano di attualità la gente smetteva di cantarle e andavano perdute.
Un caso a parte è costituito dalla villanella,un genere musicale nato a Napoli nei primi decenni del 1500 e di lì rapidamente diffusosi in tutta Europa. Si tratta di un componimento musicale breve,veramente l’antecedente più diretto della canzone moderna. Di contenuto non religioso, canta in genere l’amore e le bellezze della natura. Nate come canzoni spontanee, composte e eseguite per le strade da cantanti popolari, le villanelle sono però state immediatamente accolte nei repertori delle corti e trascritte in codici che , arrivati fino ai nostri giorni, hanno impedito che tale materiale andasse perduto e dimenticato. Moltissimi musicisti e poeti dell’epoca ne hanno a loro volta composte, allontanandosi talvolta molto dalla spontaneità primitiva a favore di una certa letterarietà. Ce ne sono comunque di bellissime, come la famosa Villanella che all’acqua vai o Voccuccia de ‘no pierzeco. Il testo veniva in genere scritto in napoletano, tenuto in conto di vera e propria lingua. Il compositore belga Orlando di Lasso, che visse molti anni a Napoli come musicista domestico presso una famiglia nobile, lo imparò per scrivere le sue apprezzatissime villanelle.
Tramontato già nei primi anni del 1600 questo genere, le canzoni continuarono a prodursi e tramandarsi spontaneamente. Da un semplice motivo iniziale le musiche si diffondevano da sé e la gente, ascoltandole, inventava sempre nuove frasi e ritmi . In questo modo l’autore o, meglio,gli autori,rimanevano perloppiù sconosciuti. Dobbiamo solo alla buona volontà e al grande amore per la ricerca degli studiosi del settore se noi oggi possiamo ancora cantare o ascoltare pezzi bellissimi come Fenesta ca’ lucive,’O guarracino, Michelemmà, Fenesta vascia e tanti altri. Queste canzoni, composte prevalentemente nel settecento, ma talvolta anche nel seicento o addirittura prima, hanno avuto regolari trascrizioni e pubblicazioni solo nell’ottocento, quando gli studiosi, sotto la spinta del movimento romantico che nei primi anni del diciannovesimo secolo dilagava in tutta Europa, svilupparono l’interesse per il canto e le storie popolari, cercando in essi motivi antichi di identificazione nazionale.
A Napoli fu particolarmente importante l’opera di Guglielmo Cottrau,un francese stabilitosi lì da ragazzo al seguito di Gioacchino Murat e che fondò una casa editrice pubblicando e salvando così dall’oblìo decine e decine di belle canzoni. Probabilmente chi le abbia realmente composte non lo sapremo mai. Spesso sotto queste canzoni figura la dicitura ‘di anonimo’ o il nome di colui che l’ha trascritta ascoltandola cantare da qualcuno.

La prima canzone di cui conosciamo l’autore del testo è Te voglio bene assaje, del 1839. Come spesso accade con i poeti popolari , non si trattava di un letterato. Si chiamava Raffaele Sacco ed era un ottico. Il suo negozio esiste ancora nella centralissima via Capitelli e tutto lì parla della sua canzone. Niente di preciso si sa a proposito del compositore della musica,anche se c’è chi vorrebbe farla risalire a Gaetano Donizetti. In realtà si tratta solo di ipotesi .

Oltre all’amore l’ elemento più ricorrente nelle canzoni napoletane è il mare. Ispirati dalla sua natura poeti popolari e colti hanno dato vita a immagini suggestive, come in Marechiaro di Salvatore di Giacomo, del 1885, oppure O’ marenariello di Gennaro Ottaviano, del 1893.Anche la famosissima Santa Lucia, che nel 1848 è stata la prima canzone napoletana ad avere un testo anche in italiano, è legata al mare. E’, più precisamente, l’invito di un barcaiolo a fare un giro sulla sua barca per poter meglio godere il fresco della sera.

(..segue..)

Angela Cingottini

Angela Cingottini vive a Siena, dove è docente di lingua italiana presso l'Università per Stranieri. (http://www.unistrasi.it/ ) Germanista di formazione, ha tradotto e pubblicato testi a carattere storico-artistico e poetico dal tedesco e dall'inglese. Si occupa di glottodidattica e ha condotto sperimentazioni e ricerche all'interno dell'università sull'utilizzazione del canto e del teatro nell'apprendimento dell'italiano lingua straniera e collaborando con l'International Opera Theatre of Philadelphia (http://www.internationaloperatheter.com/)Collabora alla videorivista Tendenze Italiane, per la quale ha curato numerosi servizi di carattere antropologico- musicale. Ha pubblicato articoli in vari settori -cinema, musica, glottodidattica-ed è formatore in master e corsi di aggiornamento in Italia e all'estero. Ha tenuto conferenze e cicli di lezioni sulla storia della canzone italiana presso l'Università per stranieri di Siena, la Libera Università di Città della Pieve e presso istituzioni universitarie in Europa e negli Stati Uniti. Nel 2004 il Circolo dei Lenti di Siena ha curato una sua personale di pittura, 'Immagini', ripetuta nel 2005 nella rassegna 'Arte e Scuola ' dalla Biblioteca Comunale di Monteriggioni. Collabora come voce recitante a eventi poetico-letterari e concerti, ultimo quello organizzato il 26 ottobre 2007 dall'associazione Music Ensemble nel palazzo comunale di Siena, con la soprano Silvana Bartolotta,il pianista Leonardo Angelini e il violinista Franco Barbucci.(http://www.musicensemble.it/ )

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