Riportiamo alcune pagine tratte dal saggio Il robot che canta in Musica ex machina (Einaudi, 1963) di Fred K.Prieberg, dedicate alla straordinaria fioritura delle ‘macchine musicali’ nel diciassettesimo e diciottesimo secolo.
Nel diciassettesimo secolo si sapeva già molto bene che la musica, considerata nei suoi fondamenti, non è altro che l’arte di disporre dei numeri. Si possono determinare i suoni con molta maggior precisione mediante i numeri delle loro vibrazioni che non con l’approssimativa e solo relativa denominazione do, re, mi, fa, sol… I ritmi sono rapporti di tempo, anch’essi cioè rappresentabili numericamente. Ogni elemento della musica può, senza particolari difficoltà, essere determinato con esattezza per mezzo di uno o più numeri. Da queste conoscenze e da un rapporto molto familiare con la macchina –una cassetta a paletti è una vera e propria macchina per il diciassettesimo secolo- nacque l’idea di comporre con l’aiuto dell’Arca musarithmica. Non si tratta affatto di un qualche scherzo d’avanguardia, bensì del tentativo illuminista di svelare il segreto della musica. Si trovarono cifre, rapporti numerici, e il nome dello strumento rimanda infatti all’aritmetica. L’incalcolabile sembrava ora essere risolto in ordinate serie di numeri.
Lo sviluppo non si arrestò a questo punto. L’automa che canta, suona, compone, rappresentava la segreta aspirazione del nascente romanticismo, prodotto di una fantasia impetuosa, che per gioco toccava limiti esistenziali e civettava con il caos. (…) Il carattere meccanico dell’organo e del pianoforte, con le loro leve, valvole, molle e viti, era a quei tempi indubbio come lo è oggi; tutti questi elementi della meccanica si adeguarono fino a un determinato momento al generale progresso tecnico. Era soltanto un passo dettato dalla logica far uscire un bel giorno da uno strumento di questo genere una macchina vera e propria. Veramente esso richiedeva la destituzione dell’artista di professione. Così l’orchestra si trasformò nell’orchestrion e il ‘re degli strumenti’ in un organo meccanico. Questo esperimenti fu tentato, non a caso, negli anni del classicismo. Ancor prima del trapasso dal diciottesimo al diciannovesimo secolo nacquero sul terreno dell’arte l’offerta, la domanda e il consumo. (…)
Oltre Johann Joachim Quantz, Carl Philipp Emanuel Bach, Johann Philipp Kirnberger, Michael e Joseph Haydn e perfino Friedrich Haendel, anche Wolfgang Amadeus Mozart dedicò un’intera serie di composizioni agli automi. (…) Il catalogo Koechel enumera tre opere del maestro salisburghese per l’organo a cilindri: Adagio e Rondò K594, la Fantasia con Allegro e Andante K608 e l’Andante K616. Sono tutte degli ultimi anni, composte fra il dicembre del 1790 e il maggio del 1791. Che Mozart abbia preso sul serio anche questo compito lo dimostrano schizzi e rifacimenti. E tuttavia questa musica non aveva alcun rapporto con l’uomo vivente. Essa era collegata all’androide, ingegnoso congegno di leve, fili, molle, ruote dentate, la macchina in figura umana, una specie di incrocio fra la marionetta e il robot…
Mozart iniziò l’Adagio K594 a Vienna, si lamentò però in una lettera dei primi di ottobre del 1790 che egli era
'così infelice di non poterlo condurre a termine, perché è un lavoro odioso… Sì, se fosse un grande orologio e sonasse come un organo, ne avrei piacere; ma così l’opera consiste unicamente in piccoli fischietti che, secondo me, hanno un suono troppo acuto e infantile..'
Si leggono fra le righe istruttivi chiarimenti sulla posizione del maestro nei confronti della meccanica. Egli non aveva evidentemente alcun timore dell’automatismo, non lo considerava come la morte dell’arte né lo riteneva indegno di sé. Non avanzava dei dubbi per partito preso. Essi si riferivano unicamente alle insufficienti qualità musicali dello strumento. L’organo di Francoforte, al quale era destinato il lavoro, assomigliava troppo nel suono a un carillon. Perciò Mozart non se ne occupò più e poco dopo riscrisse il pezzo per un organo più adatto a Vienna.
Proprio il giorno in cui Mozart scriveva le frasi sopra ricordate, morì il famoso feldmaresciallo laudon. Il proprietario del gabinetto delle figure di cera Mueller al Kohlmarkt, un certo conte Deym von Stritetz, decise di onorare l’eroe morto in un modo che usuale a quei tempi. Oggi si condannerebbe una cosa simile per la sua mostruosa mancanza di gusto. Il conte fece erigere nel suo gabinetto un mausoleo, dove espose una statua di cera in grandezza naturale del maresciallo, circondata da figure allegoriche. Ma non si accontentò di ciò. Un osservatore contemporaneo riferisce ciò che udì:
'..ogni ora una musica funebre, composta dall’indimenticabile musicista Mozart proprio per questa occasione, che dura otto minuti, e per precisione e purezza è superiore a tutto ciò che si tentò di produrre in questo genere di opere d’arte.'
Questa musica era l’Adagio e l’Allegro K594. Nella descrizione saltano subito all’occhio le espressioni ‘precisione’ e ‘purezza’. Questi sono vocaboli della tecnica. Senza dubbio un organo a cilindri suona anche in modo puro e preciso. Ma non è tutto. Sappiamo oggi che a quei tempi l’esecuzione musicale era molto trascurata e manchevole. I musicisti dell’orchestra suonavano senza fare molte prove, il più delle volte perfino a prima vista. E’ comprensibile che Mozart affidasse volentieri la sua musica alla macchina, poiché gli artisti di professione non sapevano nulla di precisione e purezza.
Come la marcia funebre, anche altri due pezzi erano stati composti su ordinazione per il gabinetto delle figure di cera del conte Deym. Molte delle curiosità esposte richiedevano un accompagnamento musicale, per rendere credibile il ‘vivente’, la naturalezza e autenticità di vita. Vi era un esempio di automa musicale che aveva la figura di una dama abbigliata con un piccante abito rococò, che suonava il pianoforte; Pan suonava il flauto; in un’alcova le Grazie si dilettavano con flauto e pianoforte; minuscoli canarini trillavano nelle loro gabbie; figure in costumi spagnoli suonavano il flauto; erano tutte macchine, piccoli e grandi capolavori della meccanica di precisione.
Nella galleria Mueller risuonava anche la già ricordata Fantasia, composta nel marzo 1791, inoltre - probabilmente dal pianoforte della dama in negligé - l’Andante per un piccolo organo a rulli K616 del maggio 1791, un numero giunto fino a noi solo come frammento e infine - nell’alcova delle Grazie - un adattamento della prima parte dell’Adagio e Rondò K617 per armonica, flauto, oboe, viola e violoncello.
Questi organi meccanici assomigliavano già, nella loro struttura, ai moderni cervelli elettronici che compongono, sebbene rimanesse loro naturalmente precluso l’aiuto della corrente elettrica e della valvola elettronica. Ma in un caso come nell’altro l’attività dell’uomo si limitava soltanto a regolare la macchina. Nel diciottesimo secolo ciò avveniva mediante dei cilindri che, corrispondentemente alla successione dei suoni, venivano forati in modo tale che degli aghi potessero penetrare nei fori e premere così i tasti dello strumento musicale che dovevano essere abbassati. Altri sistemi si basano su di un principio molto simile. Si tratta sempre della riduzione della musica, con l’aiuto di aghi e fori, a un codice che la macchina decifra e traduce in note e suoni. Questo procedimento è identico al modo di lavorare di una calcolatrice elettronica di oggi, e persino la carta perforata, con la quale si regola la macchina, è la stessa. Il programma è composto dalle diverse disposizioni dei fori.
Una via diretta conduce dalla macchina musicale del diciottesimo secolo alla composizione meccanica. Il largo automatismo dello strumento musicale doveva assimilare il non meno perfetto automatismo della creazione musicale vera e propria, poiché la macchina che esegue era una premessa della ‘macchina che compone’. Non sorprenderà il fatto che Mozart abbia esaminato a fondo la possibilità della composizione meccanica –come del resto anche Haydn, Kirbberger e molto probabilmente Carl Philipp Emanuel Bach. (…)
Nel 1757 J.P. Kirnberger scrisse un Compositore sempre pronto di polacche e minuetti; vi è inoltre un secondo manoscritto del compositore in due fascicoli, Il nuovo compositore di minuetti, trii e polacche che, mediante uno o due dadi, insegna a fabbricare tanti di quei pezzi di musica sopra ricordati quanti ne desidera un amatore. In quel tempo anche Johann Kade, musicista di corte a Kassel e direttore dei balletti, annunciò la comparsa di tabelle di balletti, seguendo le quali anche 'coloro che non s’intendono di musica possono fare tutti i minuetti che vogliono'. Dozzine di simili ‘ricettari’ insegnavano in tal modo a fabbricare con estrema facilità diverse composizioni. Ricordiamo una Tabella, con la quale si possono comporre con i dadi minuetti e trii di Maximilan Stadler, amico intimo di Mozart e Haydn, stampata a Vienna nel 1781; Le toton armonique con marce di La Chevardière; Il Gioco filarmonico, ossia il facile metodo per comporre un infinito numero di minuetti e trii anche senza conoscere il contrappunto.. per due violini oppure flauto e contrabbasso, di Josef Haydn, pubblicato a Napoli prima del 1790; una Guida alla composizione dei valzer, anonima, stampata da Rellstab e attribuita a Carl Philipp Emanuel Bach. Molte di queste pubblicazioni sono unite al nome di Mozart. (…)
Il sistema di tutte queste attraenti guide (…) per scrivere musica era molto semplice, e concepito in modo tale da permettere molti milioni di combinazioni senza ripetizioni. Senza un particolare dispendio di energie creatrici e di arte della composizione sarebbe stato possibile soddisfare in tal modo tutto il bisogno di musica leggera. Il procedimento era quello che consigliava per esempio Kirnberger:
'dopo aver ottenuto una cifra con il lancio dei dadi, la si cerca nelle tabelle sulle quali sono scritti i numeri, nella prima casella, da sinistra a destra, si prende dalla tabella delle note la battuta corrispondente, si procede quindi con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto o anche settimo e ottavo lancio, e la prima parte è finita con l’aiuto dei numeri che ne risultano..'
La compilazione delle guide è sempre la stessa. Anzitutto si dice con precisione quel che deve fare il volonteroso appassionato di musica. Poi segue una tabella con numeri e infine la parte musicale, cioè la provvista di ‘cellule’ melodiche e armoniche numerate progressivamente battuta per battuta. A volte gli autori hanno ancora aggiunto un esempio, messo insieme rapidamente con il lancio dei dadi, di questo genere di composizione. Se per il gioco erano previsti due dadi, il codice di composizione, negli usuali periodi di otto battute delle danze classiche alla moda, consisteva in ottantotto quadrati con numeri, che si riferivano all’acclusa tabella delle note. Per il gioco con un solo dado Kirnberger aveva inoltre incluso nel suo Nuovo compositore di minuetti, trii e polacche una possibilità di lettura di trentasei quadrati numerati, calcolati in periodi più brevi. A seconda del numero ottenuto – con due dadi può variare da due a dodici - si trova per ogni battuta un numero diverso e lo si va a cercare nella tabella delle note. Ora può essere scritta la battuta che si trova, come dice una delle due guise di Mozart :
'finché, dopo otto lanci, si termina la prima parte del valzer. Si mette poi il segno di ripetizione e si passa alla seconda parte; se si vuole avere un valzer più lungo, si ricomincia da capo, e così via all’infinito.'
Il principio è basato sulla variazione meccanica di una struttura data – della successione numerata delle battute senza un nesso musicale - secondo le sottili leggi del caso, un principio dunque molto moderno. Naturalmente il caso è guidato, perché se lo si lasciasse completamente libero, la cosa non avrebbe alcun senso musicale, e proprio di questo si trattava, a quei tempi come ai nostri. La limitazione del caso dipende dalla scelta del materiale musicale e dalla disposizione delle cifre sulla tabella del codice di composizione. Occorre garantire un certo nesso musicale. Ciò riesce nel modo più facile non per mezzo della melodia, bensì sulla base dell’impalcatura armonica della cadenza. Per esempio, nel periodo di otto battute, l’ultima di queste deve assolutamente mostrare una tendenza alla conclusione che l’ascoltatore possa avvertire. Ma non è tutto. Nel corso di un periodo è necessario sostenere in qualche modo la melodia con l’armonia, e precisamente mediante successioni dia accordi cadenzati. Nella sua guida stampata dall’editore Simrock 'per comporre tutti i valzer che si vuole mediante due dadi, senza conoscere la musica o la composizione', Mozart impiegò come impalcatura la tonica di do maggiore, la modulò dopo quattro battute sopra l’accordo di settima di dominante, cioè sol maggiore, per ritornare alla tonica di do maggiore nel secondo periodo, sei battute prima della fine.
In altri termini: in qualsiasi modo cada il dado, ne deriva sempre una possibilità calcolata fin dall’inizio, mai un caos disordinato. Il puro caso agisce entro limiti relativamente circoscritti; è vero che esso produce infinite variazioni compositive, ma non può mai distruggere l’ordine prestabilito. Tuttavia, in questo caso, non si tratta tanto di arte quanto piuttosto di un gioco, divertente e pieno di attrattive non solo per i compositori. Veramente il risultato sonoro della composizione con i dadi è, in ultima analisi, piuttosto deludente. Esso dà un’impressione di monotonia, non ha una vera e propria modulazione e tutti i passaggi si assomigliano. L’armonia inoltre non ha alcun risalto e ci si abitua anche troppo presto alle successioni melodiche, attuate da passaggi poco verosimili. La musica composta con i dadi interesserà forse lo storico, forse neppure lui. Persino la musicologia ignorò queste produzioni secondarie nell’opera di maestri più o meno grandi, e ciò è molto significativo.
Tuttavia, per amore di compiutezza, si deve qui tentare di rispondere alla domanda se effettivamente Mozart rese omaggio a questa 'modernissima forma del disordine' – come pensava un tempo Otto Erich Deutsch - oppure se abili editori si servirono soltanto del suo nome. Se già sulla base dei suoi lavori per l’organo a cilindri si poteva supporre che fosse Mozart l’autore di almeno uno dei ‘ricettari’ per la composizione o meglio per la ‘combinazione’, non mancano prove ancor più convincenti. Vi sono schizzi e abbozzi, ad esempio per l’Adagio K516, nei quali singoli gruppi di battute sono stati riassunti, oppure le battute sono state numerate con il cifrario da A a Z. Certamente sarebbe assurdo credere che anche alcune parti delle grandi sinfonie siano state composte secondo il principio dei dadi. L’impiego del dado è un sicuro criterio per distinguere il mestiere musicale dalla vera arte autonoma. Già allora senza dubbio si avvertiva la necessità di separare la musica d’arte, alla quale si attribuiva un maggior valore, dalla musica di consumo pura e semplice, sia pure attraverso le differenze del processo creativo.
Persino gli autori classici più famosi hanno creato musica di consumo, preoccupandosi però di mettere ben in chiaro che questa musica non deve essere propriamente composta, bensì ‘fabbricata’, se si vuol rendere giustizia al suo significato e a quello dell’uomo che crea. Fra il ‘caso’ dei dai dell’epoca classica, innocente al paragone, e alcuni determinati fenomeni alla moda dei nostri giorni, esiste qualcosa di più di un rapporto superficiale.
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