Prima fatica discografica per Marco Sfogli, figlio d’arte (il padre Corrado e la madre Fausta sono la Nuova Compagnia di Canto Popolare) e chitarrista elettrico virtuoso. Il suo disco “There’s Hope” recupera e celebra una certa scena chitarristica impostasi a partire dagli anni ’80 con musicisti del calibro di Joe Satriani, Steve Vai, Tony McAlphine, Allan Holdsworth volti a trasformare l’idea di guitar hero in guitar virtuoso.
E Marco virtuoso lo è e di sicuro. In questo disco Sfogli dimostra di padroneggiare al massimo tutto il repertorio musicale indispendabile per un chitarrista che vuole muoversi nel repertorio prog metal, sfoggiando una classe innata senza mai però scadere nel lezioso autocompiacimento tipico a volte di questa scena musicale. E’ un vero repertorio quello che si ascolta: voli di tapping, muri di synth alla McAlphine (ho sentito echi di The Edge of Insanity e Maximum Security) e alla Dream Theatre, scale iperveloci e chitarra ben satura.
A differenza dei colleghi anglosassoni Marco però dimostra un gusto per la melodica e un equilibrio difficilmente sentiti altrove, quando in questo genere spesso si esagera nell’esaltazione virtuosistica dell’ axe man. Sparsi nel disco si colgono citazioni di fusion, funky (bellissime le tastiere modello Santana primo periodo di Spread the Disease), tempi dispari a manetta (aver suonato con Bissonette e James LaBrie docet) a dimostrazione del fatto che Marco ha a disposizione un evidente bagaglio culturale composto da molti ascolti tra loro differenziati.
Personalmente, le mie preferenze vanno alla iniziale e nergica “Still Hurts” e a “Seven”, brano dalla struttura più complessa, con un piano all’inizio e la chitarra a sovrapporsi successivamente velocizzando il ritmo e un finale che torna ad essere lento e di atmosfera. Sorpresa finale e ciliegina sulla torta il country blues “Texas BBQ”, inserimento curioso in un disco del genere, a ribadire la diversa matrice culturale del chitarrista.
Un disco eccellente, ulteriore dimostrazione che non è più necessario guardare oltre oceano: i chitarristi italiani hanno ben imparato la lezione e sono pronti a salire sulle spalle dei giganti.
E Marco virtuoso lo è e di sicuro. In questo disco Sfogli dimostra di padroneggiare al massimo tutto il repertorio musicale indispendabile per un chitarrista che vuole muoversi nel repertorio prog metal, sfoggiando una classe innata senza mai però scadere nel lezioso autocompiacimento tipico a volte di questa scena musicale. E’ un vero repertorio quello che si ascolta: voli di tapping, muri di synth alla McAlphine (ho sentito echi di The Edge of Insanity e Maximum Security) e alla Dream Theatre, scale iperveloci e chitarra ben satura.
A differenza dei colleghi anglosassoni Marco però dimostra un gusto per la melodica e un equilibrio difficilmente sentiti altrove, quando in questo genere spesso si esagera nell’esaltazione virtuosistica dell’ axe man. Sparsi nel disco si colgono citazioni di fusion, funky (bellissime le tastiere modello Santana primo periodo di Spread the Disease), tempi dispari a manetta (aver suonato con Bissonette e James LaBrie docet) a dimostrazione del fatto che Marco ha a disposizione un evidente bagaglio culturale composto da molti ascolti tra loro differenziati.
Personalmente, le mie preferenze vanno alla iniziale e nergica “Still Hurts” e a “Seven”, brano dalla struttura più complessa, con un piano all’inizio e la chitarra a sovrapporsi successivamente velocizzando il ritmo e un finale che torna ad essere lento e di atmosfera. Sorpresa finale e ciliegina sulla torta il country blues “Texas BBQ”, inserimento curioso in un disco del genere, a ribadire la diversa matrice culturale del chitarrista.
Un disco eccellente, ulteriore dimostrazione che non è più necessario guardare oltre oceano: i chitarristi italiani hanno ben imparato la lezione e sono pronti a salire sulle spalle dei giganti.
Empedocle70
1 commento:
Marco Sfogli ho cominciato ad ascoltarlo proprio poco fa ed è davvero un bravo virtuoso.
E' un gran professionista ed c'è da calcolare che è del sud, trovare musicisti come lui in Campania è raro poiché è difficile permettersi di studiare musica e avere i mezzi necessari per farlo.
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