sabato 26 aprile 2008

Variazioni di stile su una favola di Esopo, parte prima

Premessa


“Stabilire un confine tra esperimento e gioco è sempre stato difficile" così diceva Italo Calvino a proposito delle invenzioni verbali di Raymond Queneau, sospese fra "il divertimento del trattamento linguistico insolito d'un tema dato e il divertimento della formalizzazione rigorosa applicata all'invenzione poetica". Anche queste "Variazioni", infatti, come il precedente illustre a cui si richiamano (gli "Esercizi di stile" di Queneau, appunto) nascono dal gusto, forse un po' sadico, di affettare, sezionare, rivoltare, scombussolare un testo per poi rimetterlo insieme in forme metriche e stili diversi, in modo da ottenere ogni volta testi letterari distantissimi fra loro. Ma così facendo, grazie all'artificio e alla bizzarria del gioco apparentemente fine a se stesso, si compie in fondo un esperimento molto serio: si sondano le potenzialità di una lingua e delle sue convenzioni letterarie. E lo si fa, a mio modesto parere, nel modo più accattivante: invitando i lettori a mettersi a loro agio e a giocare alla pari, visitando, come vecchi amici, il retrobottega del "poeta" (con tutti i ferri del suo sano mestiere artigianale ben allineati sul banco di lavoro). Come dire: accostatevi pure sereni alla poesia, imparate a gustare le sue qualità di linguaggio senza spaventarvi per l'aura di oscurità e sacralità di cui la Poesia e i Poeti troppo spesso, a torto, amano circondarsi...
Due parole, infine, sul testo prescelto per questi "esercizi di stile": differentemente da Queneau che era partito da un banale episodio di cronaca, qui il punto di partenza è un testo di antiche e nobili ascendenze: una favola esopica.D'altronde, come scriveva Giorgio Manganelli, "una favola esopica è una fulminea epifania, una apparizione: balena un disegno, appare qualcosa di umile, ma disegnato con estrema parsimonia, una nudità non frettolosa". Proprio quella nudità, quella scheletrica asciuttezza del narrare che si presta a meraviglia, credo, al gioco del rivestimento stilistico.





Testo-base

La colomba e la cornacchia

Una colomba, allevata in piccionaia, faceva tutta la spocchiosa per la sua fecondità. Una cornacchia che aveva sentito quelle vanterie: "Bella mia, smettila"disse "più figli farai e più servi avrai da compiangere."



Filastrocca

Filastrocca, filastrocca,
la colomba è proprio sciocca,
che si loda a perdifiato
per aver prolificato.
Filastrocca, filastrocca,
la cornacchia ha aperto bocca:
"Cresci figli e cresci schiavi
e di questo ti lodavi?"
La cornacchia glielo dice
che di lei è più felice
perché il cielo ha per dimora,
perché è libera e signora.
"Tanti figli nella gabbia,
tanti figli nella rabbia...
e per questo, mia comare,
non dovresti più covare."
Filastrocca, filastrocca,
la colomba è proprio sciocca,
la cornacchia ha aperto bocca,
tutta qui la filastrocca.


Romanesco

'Na colomba, allevata 'n piccionaia,
d'esse la più feconda se vantava
fra le 'bbestie rinchiuse drento l'aia.
'Na cornacchia l'udì mentre passava
e "Smetti" disse "de farnetica'!
tu covi servi, nun te lo scorda'."



Dadaista

Una cornacchia
che
avrai da compiangere
in piccionaia
-bella mia smettila!
aveva sentito
una colomba
per la tua fecondità
faceva tutta
allevata
quelle vanterie
e più servi
disse
più figli farai
la spocchiosa.


Ode

Una colombella
con aria gioconda
si fa grande e bella
per esser feconda:
fra bestie a lei uguali
di bassi natali
boriosa ristà.

Passandole accanto
la fiera cornacchia
offendesi alquanto
e cupa le gracchia:
"Chi sta nel cortile
dimessa e servile
non ha dignità.

Per questo mi pare
un pò inverecondo
udirti vantare
d'aver messo al mondo
la prole affollata
che mai -sciagurata-
vivrà in libertà."

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