E.T.: Nel 1976 l’ingresso nella Nuova Compagnia di Canto Popolare. Dunque, chitarrista classico di formazione, ma da oltre 30 anni direttore artistico e musicale, parte vitale del gruppo.
C.S.: Qui parliamo di un’esperienza non facile. Pensa che ho incominciato sulla scia del lavoro svolto da Roberto De Simone, quando la Nuova Compagnia aveva già raggiunto il successo.
Certo, il successo è una meta, ma è fondamentale poi mantenere standard proporzionati. Ancora oggi è così.
Credo che almeno musicalmente siamo riusciti in questo; tutti i cd fatti dopo la separazione da De Simone, e sono circa nove, sono tutti di alto livello. La critica, quindi, deve dare ragione anche a questa “seconda” Nuova Compagnia. Quando parlo di “seconda” Compagnia faccio riferimento all’attuale formazione che ha cercato di trasmette quelle che erano le proprie emozioni e le proprie sensazioni nel campo della musica popolare, utilizzando i linguaggi propri della tradizione, e discostandosi quindi dalla “prima”, cioè dal gruppo della ricerca, gruppo dal grande fascino e dalla grande forza.
E.T.: I primi anni di attività del gruppo sono stati improntati principalmente al recupero di sonorità popolari tipicamente campane: tammurriate, villanelle, moresche… con il contributo di personalità illustri quali il maestro Roberto De Simone.
C.S.: Personalmente ho avuto un rapporto abbastanza fugace con il Maestro, diciamo che abbiamo lavorato insieme circa due/tre anni. Comunque è certamente una figura interessantissima che poteva rappresentare davvero un valido punto di riferimento per la musica del sud in genere. Dico poteva, perché poi in realtà De Simone ha preferito intraprendere altre strade tra cui anche il teatro… si è un po’ allontanato.
Riconosco in lui certamente una grande genialità compositiva e culturale.
E.T.: Citando Roberto De Simone è inevitabile rievocare “La gatta Cenerentola”…
C.S.: La Gatta Cenerentola l’ho vissuta come orchestrale, lavorando quindi in quella parte non alla vista di tutti, in quella stessa parte che però rappresentava il motore pulsante di tutta l’opera perché offriva la possibilità a coloro che si esibivano sulla scena di poter cantare, recitare. E’ stata un’esperienza veramente bella in cui prevaleva lo spirito di gruppo; ricordo che prendevamo tutti la stessa paga, dal musicista dell’ultima buca al primo attore perché ciò che contava veramente era il risultato finale.
E.T.: Come ti definiresti oggi: portavoce di una cultura musicale …
C.S.: No, io non mi reputo un portavoce. Diciamo che offro al gruppo la possibilità di dare voce a certi eventi e a certe situazioni che appartengono alla musica di tradizione. Tuttavia non si può scrivere un brano come “Chi è devoto” o ancora “Candelora” se non si conoscono nell’intimo certe immagini o certi simbolismi legati al mondo popolare.
E.T.: 1972- Festival di Spoleto - il grande lancio e poi in giro per tutto il mondo: Berlino, Helsinki, Singapore… Alla NCCP quindi il merito di aver fatto conoscere al grande pubblico un repertorio del tutto nuovo ma dal sapore antico, caratterizzato da una certa poeticità capace a distanza di secoli ancora di “parlare” e “coinvolgere”…
C.S.: E’ vero, il nostro è un gruppo che ha girato veramente tutto il mondo; siamo stati anche a Salisburgo, Monaco, Caracas, Tokio, Sidney, Londra, Parigi. L’ultimo tour risale a tre mesi fa, in Sud America, dove abbiamo toccato l’Argentina, l’ Uruguay e il Perù.
La grande forza della Nuova Compagnia di Canto Popolare sta proprio nella capacità di “tenere” il palcoscenico e di “coinvolgere” il pubblico, portando in giro ciò che sono le nostre radici culturali e musicali.
Come diciamo sempre noi, “…non si può costruire niente del futuro, se non si conosce il proprio passato…”
Forse oggi, dovendo progettare un prodotto discografico, opterei proprio per un disco di ricerca, tornando un po’ alle origini, eventualmente con villanelle mai incise.
Credo, però, che il merito più grande del gruppo sia stato quello di aver operato affinché certe tradizioni musicali non andassero perdute dando l’opportunità a chi era protagonista delle feste popolari di riconoscersi in una cultura con propri valori e grande forza espressiva.
E.T.: Altro grande vanto è quello di aver utilizzato strumenti legati ad un tipo di cultura rurale
in un contesto musicale più vicino, invece, ad un ambiente “colto”.
C.S.: Qui parliamo di un’esperienza non facile. Pensa che ho incominciato sulla scia del lavoro svolto da Roberto De Simone, quando la Nuova Compagnia aveva già raggiunto il successo.
Certo, il successo è una meta, ma è fondamentale poi mantenere standard proporzionati. Ancora oggi è così.
Credo che almeno musicalmente siamo riusciti in questo; tutti i cd fatti dopo la separazione da De Simone, e sono circa nove, sono tutti di alto livello. La critica, quindi, deve dare ragione anche a questa “seconda” Nuova Compagnia. Quando parlo di “seconda” Compagnia faccio riferimento all’attuale formazione che ha cercato di trasmette quelle che erano le proprie emozioni e le proprie sensazioni nel campo della musica popolare, utilizzando i linguaggi propri della tradizione, e discostandosi quindi dalla “prima”, cioè dal gruppo della ricerca, gruppo dal grande fascino e dalla grande forza.
E.T.: I primi anni di attività del gruppo sono stati improntati principalmente al recupero di sonorità popolari tipicamente campane: tammurriate, villanelle, moresche… con il contributo di personalità illustri quali il maestro Roberto De Simone.
C.S.: Personalmente ho avuto un rapporto abbastanza fugace con il Maestro, diciamo che abbiamo lavorato insieme circa due/tre anni. Comunque è certamente una figura interessantissima che poteva rappresentare davvero un valido punto di riferimento per la musica del sud in genere. Dico poteva, perché poi in realtà De Simone ha preferito intraprendere altre strade tra cui anche il teatro… si è un po’ allontanato.
Riconosco in lui certamente una grande genialità compositiva e culturale.
E.T.: Citando Roberto De Simone è inevitabile rievocare “La gatta Cenerentola”…
C.S.: La Gatta Cenerentola l’ho vissuta come orchestrale, lavorando quindi in quella parte non alla vista di tutti, in quella stessa parte che però rappresentava il motore pulsante di tutta l’opera perché offriva la possibilità a coloro che si esibivano sulla scena di poter cantare, recitare. E’ stata un’esperienza veramente bella in cui prevaleva lo spirito di gruppo; ricordo che prendevamo tutti la stessa paga, dal musicista dell’ultima buca al primo attore perché ciò che contava veramente era il risultato finale.
E.T.: Come ti definiresti oggi: portavoce di una cultura musicale …
C.S.: No, io non mi reputo un portavoce. Diciamo che offro al gruppo la possibilità di dare voce a certi eventi e a certe situazioni che appartengono alla musica di tradizione. Tuttavia non si può scrivere un brano come “Chi è devoto” o ancora “Candelora” se non si conoscono nell’intimo certe immagini o certi simbolismi legati al mondo popolare.
E.T.: 1972- Festival di Spoleto - il grande lancio e poi in giro per tutto il mondo: Berlino, Helsinki, Singapore… Alla NCCP quindi il merito di aver fatto conoscere al grande pubblico un repertorio del tutto nuovo ma dal sapore antico, caratterizzato da una certa poeticità capace a distanza di secoli ancora di “parlare” e “coinvolgere”…
C.S.: E’ vero, il nostro è un gruppo che ha girato veramente tutto il mondo; siamo stati anche a Salisburgo, Monaco, Caracas, Tokio, Sidney, Londra, Parigi. L’ultimo tour risale a tre mesi fa, in Sud America, dove abbiamo toccato l’Argentina, l’ Uruguay e il Perù.
La grande forza della Nuova Compagnia di Canto Popolare sta proprio nella capacità di “tenere” il palcoscenico e di “coinvolgere” il pubblico, portando in giro ciò che sono le nostre radici culturali e musicali.
Come diciamo sempre noi, “…non si può costruire niente del futuro, se non si conosce il proprio passato…”
Forse oggi, dovendo progettare un prodotto discografico, opterei proprio per un disco di ricerca, tornando un po’ alle origini, eventualmente con villanelle mai incise.
Credo, però, che il merito più grande del gruppo sia stato quello di aver operato affinché certe tradizioni musicali non andassero perdute dando l’opportunità a chi era protagonista delle feste popolari di riconoscersi in una cultura con propri valori e grande forza espressiva.
E.T.: Altro grande vanto è quello di aver utilizzato strumenti legati ad un tipo di cultura rurale
in un contesto musicale più vicino, invece, ad un ambiente “colto”.
C.S.: Infatti. La Nuova Compagnia ha riscoperto strumenti dal cuore antico ma, allo stesso tempo assolutamente attuali. Sentir parlare di tammorre, castagnette, chitarra battente, di mandoloncello, è ora abbastanza comune. Quando invece siamo nati come formazione non si sapeva più neanche dove fossero finiti il mandolino e il mandoloncello o cosa fosse la battente. Oggi si ricostruiscono, si vendono, vengono usati.
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