Spillane! Basta già da solo il nome quasi 25 anni dopo a mettere i brividi, con quell’urlo iniziale nella title track che da solo vale come dichiarazione di intenti e manifesto artistico per tutto ciò che Zorn ha realizzato successivamente. E’ il primo disco che bisogna comprare per approcciarsi al compositore/improvvisatore/sassofonista newyorchese e purtroppo non è nenache facilissimo da trovare a prezzi ragionevoli dato che non è mai più stato ristrampato a causa delle incomprensioni e della rottura contrattuale avvenuta con la Nonesuch Records qualche anno dopo con l’uscita di Torture Garden dei Naked City.
Se posso fare un paragone questo disco equivale a quel Lumpy Gravy, ai sughi grumosi di Frank Zappa. Sono simili. In essi entrambi hanno concetrato in uno spazio angusto e limitato temporaneamente tutta una serie di idee, intuizioni, poetiche, schizzi musicali da cui avrebbero continuato ad attingere e continuato a sviluppare con rigorosa e ferrea coerenza negli anni a venire.
In Spillane c’è tutto: l’amore per il cinema, la cartoon music, la gestione dei blocchi musicali, la musica contemporanea, il jazz, la scrittura, l’improvvisazione, New York, la velocità accecante del grind core, l’indie rock, la decadenza, la sporcizia, il collezionismo musicale, il pane azzimo, la shtetl, i giubbotti in pelle, la rabbia, il Giappone, il porno, il desiderio e la sua assenza.
I chitarristi non possono trascurare la presenza di Bill Frisell, di Albert Collins (semplicemente fantastico e monumentale, di Robert Quine, gli amanti dell’avanguardia gli archi del Kronos Quartet, all’epoca fece scandalo, oggi si continua a scavare, ada analizzare, a correggere la mira. E’ il vaso di pandora di Zorn e le note del booklet valgono come mille saggi per capire la sua poetica. Imprescindibile. Confido che l’anno prossimo per il venticinquesimo anniversario Zorn faccia uscire una nuova versione con inediti come ha fatto per The Big Gundown.
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