9) Mi piacerebbe ora fare qualche passo indietro rispetto a quanto si è discusso prima: voi affrontate un repertorio che avete deciso, in un certo senso, di “ri-scrivere”. Ma che rapporto hanno i vostri arrangiamenti con la componente non-scritta? Mi spiego meglio: rielaborate i brani “solo” con “nuove” note oppure c’è anche un margine di “improvvisazione” in ciò che eseguite?
E: Entrambe le cose. Spesso i temi vengono rielaborati partendo proprio dall’improvvisazione. Alcuni fraseggi che crediamo possano essere efficaci li fissiamo e li riproponiamo quasi sempre uguali. In concerto però c’è sempre spazio all’improvvisazione, c’è sempre qualcosa che rimane indefinito e si concretizza durante il concerto. Anche le sezioni improvvisative vere e proprie all’interno dei brani sono state “assemblate” dopo tantissime versioni, prove, registrazioni ed hanno acquisito prima delle riprese del disco una forma pressoché definitiva. Durante il concerto l’approccio cambia, alcuni fraseggi preferiamo mantenerli, altre volte ci si lascia andare con più libertà e senza pensarci troppo.
M: In un certo senso, almeno nella fase iniziale, l’intera rilettura del brano è un’improvvisazione. Le melodie vengono spesso riviste in una differente chiave ritmica oppure subiscono un processo di “potatura” (..come negli alberi) per farle rinvigorire o adattarle al nuovo contesto. Identico destino riguarda la sezione armonica di accompagnamento. Il tutto accade senza un preciso schema predeterminato, in modo del tutto simile all’improvvisazione.
10) Come potrebbero riassumere Eugenio Polacchini e Matteo Minozzi, in pochissime battute, il proprio personale concetto di “improvvisazione musicale”?
M: Nella mia esperienza chitarristica l’improvvisazione ha sempre avuto un ruolo fondamentale e tuttora lo mantiene. Parallelamente al percorso classico ho affiancato, dopo i 14 anni, lo studio dello strumento elettrico con conseguenti stravolgimenti del mio approccio alla chitarra. Poco ci è voluto a far sì che l’armonia moderna avesse il sopravvento. Lo studio del genere blues, jazz o rock comporta l’approfondimento dell’improvvisazione, dato che spesso la chitarra elettrica riveste il ruolo di strumento solista e il momento dell’assolo chitarristico è parte imprescindibile di tali contesti musicali. Personalmente lascio sempre momenti di improvvisazione durante un brano o comunque all’interno di un concerto. Generalmente mi capita di affezionarmi a determinati fraseggi e di incominciare o terminare con quelli il momento di assolo: la fase intermedia è lasciata alla fantasia. Questo permette di non avere un numero prefissato di battute su cui poter improvvisare, ma di proseguire fintanto che la creatività mi assiste: il “riff conosciuto” richiama l’attenzione del mio collega e gli fa capire che è terminato il mio momento solistico e adesso è il suo turno.
Questa considerazione rappresenta il concetto tipico di improvvisazione, ovvero la presenza di uno strumento solista e di uno strumento di accompagnamento.
Considero peraltro improvvisazione anche il potersi prendere qualche licenza ritmico-melodica durante l’esecuzione delle parti già scritte: un po’ come creare una “variazione” in tempo reale, somigliante di più all’idea di improvvisazione tipica della musica classica. Il limite, in questo caso, è legato al fatto di non stravolgere troppo l’idea iniziale per non trarre in inganno il mio povero collega.. capita talvolta che mi si rimproveri dicendo : “.. accidenti, non capivo più cosa tu stessi suonando”. Certe volte mi prendo un po’ troppa libertà…
E: Sensazione, intenzione, divertimento. L’improvvisazione non ti lascia momenti in cui riposarti, devi stare concentrato, devi stare vigile, devi respirare per suonare sciolto e spontaneo ma non ti lascia fiato se vuoi che la tua intenzione si trasmetta pienamente al pubblico.
Abbiamo parlato di album, di concerti e di “endorserment”... Quindi viene da domandarsi: quanto è importante il marketing in un mestiere (perché di questo si parla) come quello del musicista?
M: Nel mercato musicale attuale il “sapersi vendere” nella maniera migliore è un requisito fondamentale. Conoscere i canali corretti di promozione è basilare: mai come ora la sola “bravura o perizia musicale” risulta insufficiente per poter vivere facendo questo mestiere. Se una volta era necessario conoscere le “persone giuste” per diventare una proposta musicale credibile, adesso, oltre probabilmente a questo, bisogna saper convivere con gli attuali mezzi di comunicazione. Se da un lato il facile accesso all’esposizione mediatica, attraverso gli attuali social-network, permette a tutti di avere una chance di celebrità, è indubbio il fatto che il sovraffollamento genera confusione e di conseguenza una minore attenzione e pazienza da parte degli utenti: devi essere in grado di stupire il pubblico alla prima occasione, altrimenti sei fregato. Per questa ragione escono vincenti spesso personaggi che sono più vicini a fenomeni da baraccone che altro.
E: Purtroppo è molto importante. Dico purtroppo perché il marketing, se studiato a dovere, toglie tantissimo tempo a quella che dovrebbe essere la principale attività di un musicista o comunque di un artista: lavorare con la propria creatività. C’è però da arrendersi all’evidenza: senza promozione è difficile arrivare da qualche parte e far diventare così la propria passione un vero e proprio lavoro, non intesa quindi come semplice integrazione ad altre attività professionali. Non è impossibile ma credo molto difficile.
Anche noi credo che dobbiamo imparare tanto riguardo a questo argomento. Un fatto che noto, anche tra altri musicisti è una sorta di “distanza” dal marketing, non perché non ci sia interesse ma perché la vediamo come una sfera completamente scollegata dal proprio ambito professionale: ed è così infatti!! Occorre invece applicarsi quasi quotidianamente nel promuovere il proprio lavoro.
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