Sono passati quasi trentanni da quando questi due gentlemen del rock britannico e mondiale si erano trovati per registrare questo disco in duo, il primo a cui seguirà “Bewitched” nel 1984. Nel 1982 ero già un fan dei Police ma conoscevo poco il signor Fripp, dei King Crimson mi era nota solo la bellissima copertina del loro In the Court Of Crimson King, inciso nel 1969, l’anno in cui sono nato.
Trentanni ci sono voluti perché la mia attenzione si rivolgesse a questo disco e perché questo piccolo gioiello entrasse nella mia discoteca.
Il disco mette in mostra e fonde tra di loro gli stili dei due guitar players: l’eleganza della struttura armonica di Andy Summers (bello ritrovare i suoi accordi di settima e di nona) e la disciplina impeccabile della macchina da guerra Frippiana (la sua ritmica metronomica, il suo contrappunto implacabilmente preciso).
Tra i due quello che sembra appropriarsi di maggiore libertà sembra essere Summers, e ci credo qui non c’è Sting che ci cassa gli assoli, qui ha unico contraltare un suo pari con cui non gli resta che un raffinato e pulito dialogo. I due mostrano tutta la loro classe, la loro ironia, sono forse all'apice della loro ricerca musicale e nessuno si nasconde a favore dell’altro: Summers è lanciato coi Police, Fripp ha dato nuova vita al suo Re Cremisi, entrambi sono sopravvissuti al punk, alle tournée in furgone, sono persone e professionisti della musica che sanno cosa vuo, dire entrare in studio di registrazione, firmare un contratto con una major e nonostante la lunga carriera e militanza tra le file del rock sono in perfetta forma fisica, mentale e creativa. Summers ha 40 anni, Fripp 36, di farsi le canne non gliene frega più nulla a nessuno dei due. Se mai gliene è importato qualcosa.
E’ rock quello che suonano? Forse no, non c’è traccia di trasgressione giovanile, nessuna forma di ribellione, nessuna goccia di sudore, la foto nel retro del cd li ritrae in completo nero, Fripp addirittura in cravatta e capelli corti, ma la loro musica non ha mai nascosto l’ambizione di andare oltre ai canonici tre accordi, al ritmo squadrato di cassa e rullante. Sembra che sia uscito dalla camera del tempo questo disco, mi trovo a ascoltare con passione retromane un lavoro di trentanni fa e mi accorgo che se l’avessero fatto uscire oggi forse non sarebbe suonato così diverso, all’epoca era passato inosservato, travolto dai quei capolavori che i rispettivi gruppi sfornavano uno dietro l’altro, coperti da quella colossale ubriacatura creativa questo “I Advance Masked” se l’erano filato solo i chitarristi sfegatati catalogandolo come un divertisment tra due leggende, un educato scambio di idee tra due gentiluomini della chitarra e del rock. Art Rock in guanti bianchi. Lunga vita a questi due leoni.
Nessun commento:
Posta un commento