martedì 1 febbraio 2011

Recensione di Hallelujah Junction di John Adams

Come potete vedere nella foto, la copertina di questo libro riporta una immagine di un John Adams dalla barba e i capelli brizzolati che sorride con aria ironica, arguta e tranquilla. Sembra uno di quei vecchi zii scapoli, gaudenti, che la sanno lunga per aver girato il mondo e averne viste e provate di tutti i colori. In effetti in questa sua autobiografia Adams ne racconta di cose, una vita movimentata,
intensa, dedicata sì alla musica ma con un occhio bene aperto e attento alla società e ai suoi cambiamenti, con una decisa attenzione anche verso altre forme d’arte e un gusto particolare verso il gioco di squadra e i rapporti con gli interpreti e altri collaboratori (librettisti, scrittori, scenografi, registi, ecc.)
Adams sembra avere una capacità e un gusto particolare nel sapersi raccontare senza annoiare, nelle pagine del libro vediamo scorrere la sua infanzia musicale, la sua adolescenza nel New England, il mondo di Thoreau e di Charles Ives, con le sue bande musicali da parata e le sue piccole orchestre, l’incontro con la grande musica sinfonica attraverso i dischi, gli studi, la decisione di trasferirsi a San Francisco, nella Wst Coast negli anni caldi della contestazione. Si attraversa un
secolo assieme a lui: la musica dei Beatles, la beat generation, la passione per la musica elettronica, l’enorme interesse per la musica di Cage, le delusioni delle avanguardie, le droghe, il superlavoro, le frustrazioni, la ricerca di una propria via e vita creativa, il minimalismo e il suo superamento e le molte altre esperienze che gradualmente portano Adams a diventare il compositore di opere controverse come Nixon in China, The Death of Klinghoffer e Doctor Atomic.
Ma Adams non racconta solo se stesso, sarebbe troppo facile. Ad arte, con la discrezione e l’abilità di un prestigiatore letterario inserisce tra un aneddoto e l’altro la nascita e i retroscena di alcune tra le cose più interessanti che siano state composte negli ultimi trent’anni, unendovi assieme ricordi, opinioni, descrizioni e visioni vivissime dimostrandosi un saggista raffinatissimo. Il modo in cui analizza le figure di Duke Ellington, i Beatles, Frank Zappa, Pierre Boulez, Leonard Bernstein, John Cage, Steve Reich, Allen Ginsberg, Peter Sellars, Glenn Branca è encomiabile, con poche parole e in modo affatto polemico come pochissimi altri sono riusciti a fare riesce a definire dei ritratti musicali perfetti, lucidi e consapevoli.
Hallelujah Junction è probabilmente il libro di musica che ho sinceramente letto con maggior piacere nel corso del 2010 e che sicuramente tra qualche tempo riprenderò in mano. Adams non è solo un compositore e uno scrittore ma un mentore le cui parole vanno apprezzate e lentamente assimilate e metabolizzate, le sue idee, così semplici nella loro logica funzionale, sanno lentamente aprirsi una strada nella mente di chi è appassionato di musica e sono infatti portatrici di nuove idee e nuove possibilità di ascolto.
Non mi resta che fare i complimenti alla traduttrice Anna Lovisolo per lo splendido lavoro svolto: approfittando delle possibilità offerte da Amazon e Google libri sono andato a leggere qualche pagina del testo originale inglese e riuscire a rendere nello stesso modo in italiano lo stile brillante e “musicale” della scrittura di Adams non era davvero compito facile, qui eseguito davvero bene con competenza e professionalità.
Complimenti alla EDT che con questa autobiografia sigla il secondo titolo della nuova collana Contrappunti, dedicata alla saggista musicologia, sono sicuro che saprà riservarci altre sorprese.

Una nota personale, è vero Adams ha composto un solo brano dove è presente la chitarra: Naive and Sentimental Music inciso per la Nonesuch Records con la presenza di David Tanenbaum. Cari chitarristi approfittate di questo libro per uscire un po’ dal nostro orticello e respirare idee e visioni diverse, non ve ne pentirete.

Empedocle70

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