venerdì 12 settembre 2008

Recensione di Masada Guitars di John Zorn, Tzadik 2003


Sua Maestà Iperattiva (nonchè figura di spicco dell'avanguardia musicale dell'ultimo ventennio) John Zorn nel 2003 in occasione del decennale dell’inizio della composizione del repertorio Masada (più di 200 composizioni sviluppate attorno al tentativo di fondere brani originali basati su temi della tradizione ebraica e mediorientale con l'improvvisazione di stampo colemaniano, realizzate tra il 1993 ed il 1996 ed eseguite dall’omonimo quartetto o fatte eseguire negli anni dagli ensemble più disparati), aveva battezzato con questo Masada Guitars l’ennesima serie tematica della sua etichetta Tzadik, la Masada 10th Anniversary, dedicata appunto alla celebrazione di un ‘canzoniere’ importantissimo nello sterminato corpus zorniano. Masada Guitars fa parte di questo progetto autocelebrativo e comprende ventuno composizioni rese in versioni per sola chitarra acustica.

I tre chitarristi che a turno affrontano i temi scritti da Zorn sono Bill Frisell, collaboratore del sassofonista in numerosi progetti musicali del passato (vedi Naked City); Marc Ribot, che ha già reso parte ad altre incisioni Masada (su tutte bar Kokba), e soprattutto ha pubblicato per la Tzadik Book of Heads, un CD di composizioni zorniane per sola chitarra; e infine il meno noto Tim Sparks, proveniente dal mondo della chitarra acustica fingerpicking, e già autore di tre notevoli CD per la Tzadik nei quali affronta il mondo della musica klezmer.

Ciascuno dei tre interpreta la musica di Zorn arrangiandone i temi secondo un approccio chitarristico personale, nel quale è possibile distinguere le loro caratteristiche tecniche e stilistiche. Sparks, è particolarmente brillante nel fingerpicking, con molte reminescenze di John Fahey (citato da Zorn nelle note di copertina) e direi Stefan Grossman, con una tecnica armonicamente ricca e ritmicamente complessa, magistralmente esibita in "Sippur". Ribot, (qui ammetto tutta la mia parzialità, vado pazzo per il signor Ribot) essenziale, quasi scheletrico nell'esecuzione dei brani, quasi scarnificandone i temi, mettendone a nudo l'essenzialità in maniera molto efficace.

Frisell, bentornato Signor Frisell, erano anni che non ti sentivo così in forma almeno dai tempi del buon "Nashville" e del meraviglioso "Have a little faith"! E' l'unico a utilizzare anche la chitarra elettrica oltre allo strumento acustico e a ricorrere in alcuni casi alla sovraincisione, sempre con con quel suo approccio "laterale", un po' straniante.

Perchè consiglio questo disco anche a chi non è abituato a improvvisazioni e all'underground di New York? Perchè, comunque è un disco che affascina e che non risulta mai banale, aggiungendo sempre qualcosa a ogni ascolto, i tre chitarristi credo siano il meglio di quel che si può chiedere in termini di avanguardia oggi e Zorn riesce sempre a stupire nella riedizione chitarristica di questi brani già ascoltati in altri ambiti (quartetto jazz, ensamble cameristico, acustic trio). Se vi aspettate il Zorn aspro e violento e dissonante rimmarete delusi, la musica scorre piacevole e orecchiabile anche per chi non ha mai avuto dimestichezza col sassofonista compositore newyorkese.

Ci sono 21 brani nel disco, ma questo non crea assolutamente un senso di frammentarietà, anzi. Mi sono divertito ad ascoltarlo impostando sia l'ascolto causale, sia programmando il lettore cd "a blocchi" isolando i brani id ogni singolo chitarrista e il piacere dell'ascolto è rimasto lo stesso. E ripeto, comunque sia, state tranquilli, non serve nè la Cabala nè la lettura del Talmud per apprezzarne la bellezza.

Empedocle70

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