Gli inglesi usano un'espressione efficace riferendosi alle piccole dispute in cui la colpa è di entrambe le parti: It takes two to Tango. E davvero è così. Non solo il Tango si balla in due, ma "si fa" in due. E le due parti sono ugualmente responsabili - nella distinzione dei ruoli - della riuscita della magia. I due ballerini cercano costantemente quell'equilibrio che li fa convergere, lo correggono ad ogni passo, rispondono e reagiscono al compagno. Una donna che segua il proprio uomo come una foglia che si lascia scorrere su un torrente, non sta ballando davvero il Tango. L'equilibrio è più sottile. E’ un gioco di attrazione tra i due partner. L’uomo e la donna stretti in un abbraccio eseguono e improvvisano passi molto diversi, per dare vita ad un’unica danza. I ruoli sono distinti, ma i ballerini convergono nella stretta dell’abbraccio e in quell’equilibrio intrecciano i loro passi. Esercitano costantemente una forza sull’altro, sia per attrarlo a sé, per dare un impulso, per reagire, per abbellire, per guidare o per seguire.
L'attrazione e la repulsione regolano l'universo e anch'esse per esercitarsi hanno bisogno di due "parti" entro cui esprimersi, così il Tango per esistere ha bisogno di due elementi.
Così il Tango è il prodotto di una relazione, la colpa è di entrambi i ballerini. E una melodia può davvero tentare di sfuggire e slanciarsi nelle libertà più ardite o sussurrare desolata, se sotto ha un ritmo che continua inesorabile nella sua fierezza e affonda implacabile il colpo ad ogni accento.
Quasi due anni fa partecipai ad un progetto sul tango (intitolato appunto “It takes two to Tango”, nel quale erano coinvolti anche altri artisti, pittori, attori, scrittori) i cui fini erano l’esplorazione del Tango nella sua essenza e l’analisi di come questo suo essere “relazione” si esprimesse in ambiti artistici diversi. Il progetto, sin dai primi incontri, si caratterizzò per una componente fortemente fisica dell’esperienza di ricerca svolta insieme. Già al secondo incontro, ancora sconosciuti gli uni agli altri, guidati da una ballerina, sperimentammo in coppie e in gruppo diverse possibili forme di contatto, di interazione tra i nostri corpi. Uno di questi esercizi (apparentemente “innocuo” e poco spregiudicato nell’ interagire con un corpo estraneo) si è impresso più distintamente nella mia memoria. A coppie, seduti per terra, schiena contro schiena, la testa sulla spalla dell’altro, dovevamo parlare con il compagno: parlare di noi e conversare, di fatto quasi sussurrando all’orecchio dell’altro. Sperimentammo un momento di intimità con uno sconosciuto, l’essergli così vicino, sentire il suo profumo, appoggiarsi a lui. E questo è in parte ciò che accade ripetutamente in una milonga: spesso la magia del Tango si avvera tra due sconosciuti, che in quei tre minuti si abbracciano e si concedono all’altro nella danza.
Altri esercizi fatti nel corso dei mesi ebbero un coinvolgimento fisico maggiore (come sperimentare gli equilibri possibili tra due corpi, il giocare col peso dell’altro, sbilanciarsi verso di lui, sostenerlo, allontanarlo o attrarlo a sé, reagire alle sue richieste, decidere se seguirlo o resistergli), ma ricordo quei minuti, trascorsi sussurrando all’orecchio del compagno e ascoltando le sue parole, come una innocua ma profonda violazione del mio spazio. Forse più sensibile in questa sfera in quanto musicista abituata a suonare per anni con altri musicisti ai quali al massimo ha stretto la mano o sfiorato la guancia per saluto o scambiato rari abbracci di stima.
Ma di fatto suonare il Tango è fatto anche di questo contatto, o meglio dell’esperienza di questo contatto. In alcune figure ritmiche sembrano disegnati i passi di danza e nel modo di suonare alcuni Tango, per esempio nei – rari - momenti in cui la melodia decide di seguire il ritmo o diventa ritmo, ho ritrovato quella fisicità. A volte quasi violenta: anche parlando di amore fedele, difficilmente il Tango lo descrive a tinte tenui: “Estas clavada en mì/ como una daga en la carne” (sei inchiodata a me come n pugnale nella carne).
Il giovane musicista che si avvicina al Tango, che vuole suonarlo, avvia una ricerca che lo deve portare a conoscere e capire (per quanto possibile nei nostri agi) le ragioni profonde che motivano il suo fraseggio, il suo carattere fiero o desolatamente depresso.
Impara anche cosa siano gli accenti del Tango: che scavano, che ad ogni colpo affondano. Alcuni brani richiedono al quintetto di rinnovare ad ogni accento la stessa intenzione ed il pezzo funziona solo se ogni membro è animato dallo stesso slancio. In fondo su quel ritmo che avanza ostinato hanno ballato migliaia e migliaia di argentini e in esso hanno riconosciuto una parte del loro sentire comune: migliaia di emigranti hanno portato dentro di sé in Argentina gli ingredienti della formula del Tango, per poi trovare in quella musica, in quella cultura una realtà in cui riconoscersi.
Il Tango contiene la storia di emigrati che hanno deciso di tagliare col loro passato europeo, spesso di non raccontarlo ai propri figli. La storia di migliaia di persone (gli emigrati e poi i loro figli) è segnata da questa lacerazione, da legami familiari tranciati, salvo poi essere riscoperti – nei momenti più incerti delle vicissitudini argentine - dai discendenti alla ricerca di una cittadinanza dimenticata. Così la nostalgia di cui tanto Tango è impregnato - letteralmente il “dolore del ritorno”, che aveva legato così saldamente Ulisse al desiderio di rivedere Itaca - per gli europei emigrati in Argentina ha spesso significato il dolore di un ritorno che mai si sarebbe realizzato. Uomini completamente dedicati alla costruzione del futuro loro e dei loro figli, in un Paese – così ricco di risorse - in cui a volte si sono sentiti più ospiti che padroni di casa.
Ed ogni accento affonda.
L'attrazione e la repulsione regolano l'universo e anch'esse per esercitarsi hanno bisogno di due "parti" entro cui esprimersi, così il Tango per esistere ha bisogno di due elementi.
Così il Tango è il prodotto di una relazione, la colpa è di entrambi i ballerini. E una melodia può davvero tentare di sfuggire e slanciarsi nelle libertà più ardite o sussurrare desolata, se sotto ha un ritmo che continua inesorabile nella sua fierezza e affonda implacabile il colpo ad ogni accento.
Quasi due anni fa partecipai ad un progetto sul tango (intitolato appunto “It takes two to Tango”, nel quale erano coinvolti anche altri artisti, pittori, attori, scrittori) i cui fini erano l’esplorazione del Tango nella sua essenza e l’analisi di come questo suo essere “relazione” si esprimesse in ambiti artistici diversi. Il progetto, sin dai primi incontri, si caratterizzò per una componente fortemente fisica dell’esperienza di ricerca svolta insieme. Già al secondo incontro, ancora sconosciuti gli uni agli altri, guidati da una ballerina, sperimentammo in coppie e in gruppo diverse possibili forme di contatto, di interazione tra i nostri corpi. Uno di questi esercizi (apparentemente “innocuo” e poco spregiudicato nell’ interagire con un corpo estraneo) si è impresso più distintamente nella mia memoria. A coppie, seduti per terra, schiena contro schiena, la testa sulla spalla dell’altro, dovevamo parlare con il compagno: parlare di noi e conversare, di fatto quasi sussurrando all’orecchio dell’altro. Sperimentammo un momento di intimità con uno sconosciuto, l’essergli così vicino, sentire il suo profumo, appoggiarsi a lui. E questo è in parte ciò che accade ripetutamente in una milonga: spesso la magia del Tango si avvera tra due sconosciuti, che in quei tre minuti si abbracciano e si concedono all’altro nella danza.
Altri esercizi fatti nel corso dei mesi ebbero un coinvolgimento fisico maggiore (come sperimentare gli equilibri possibili tra due corpi, il giocare col peso dell’altro, sbilanciarsi verso di lui, sostenerlo, allontanarlo o attrarlo a sé, reagire alle sue richieste, decidere se seguirlo o resistergli), ma ricordo quei minuti, trascorsi sussurrando all’orecchio del compagno e ascoltando le sue parole, come una innocua ma profonda violazione del mio spazio. Forse più sensibile in questa sfera in quanto musicista abituata a suonare per anni con altri musicisti ai quali al massimo ha stretto la mano o sfiorato la guancia per saluto o scambiato rari abbracci di stima.
Ma di fatto suonare il Tango è fatto anche di questo contatto, o meglio dell’esperienza di questo contatto. In alcune figure ritmiche sembrano disegnati i passi di danza e nel modo di suonare alcuni Tango, per esempio nei – rari - momenti in cui la melodia decide di seguire il ritmo o diventa ritmo, ho ritrovato quella fisicità. A volte quasi violenta: anche parlando di amore fedele, difficilmente il Tango lo descrive a tinte tenui: “Estas clavada en mì/ como una daga en la carne” (sei inchiodata a me come n pugnale nella carne).
Il giovane musicista che si avvicina al Tango, che vuole suonarlo, avvia una ricerca che lo deve portare a conoscere e capire (per quanto possibile nei nostri agi) le ragioni profonde che motivano il suo fraseggio, il suo carattere fiero o desolatamente depresso.
Impara anche cosa siano gli accenti del Tango: che scavano, che ad ogni colpo affondano. Alcuni brani richiedono al quintetto di rinnovare ad ogni accento la stessa intenzione ed il pezzo funziona solo se ogni membro è animato dallo stesso slancio. In fondo su quel ritmo che avanza ostinato hanno ballato migliaia e migliaia di argentini e in esso hanno riconosciuto una parte del loro sentire comune: migliaia di emigranti hanno portato dentro di sé in Argentina gli ingredienti della formula del Tango, per poi trovare in quella musica, in quella cultura una realtà in cui riconoscersi.
Il Tango contiene la storia di emigrati che hanno deciso di tagliare col loro passato europeo, spesso di non raccontarlo ai propri figli. La storia di migliaia di persone (gli emigrati e poi i loro figli) è segnata da questa lacerazione, da legami familiari tranciati, salvo poi essere riscoperti – nei momenti più incerti delle vicissitudini argentine - dai discendenti alla ricerca di una cittadinanza dimenticata. Così la nostalgia di cui tanto Tango è impregnato - letteralmente il “dolore del ritorno”, che aveva legato così saldamente Ulisse al desiderio di rivedere Itaca - per gli europei emigrati in Argentina ha spesso significato il dolore di un ritorno che mai si sarebbe realizzato. Uomini completamente dedicati alla costruzione del futuro loro e dei loro figli, in un Paese – così ricco di risorse - in cui a volte si sono sentiti più ospiti che padroni di casa.
Ed ogni accento affonda.
Virginia Arancio
Berna, Febbraio 2009
* ” Ansia feroce nel modo in cui si desidera”
dal testo de “El Choclo” (Musica di Ángel Villoldo. Tasto di Enrique Santos Discepolo).
Berna, Febbraio 2009
* ” Ansia feroce nel modo in cui si desidera”
dal testo de “El Choclo” (Musica di Ángel Villoldo. Tasto di Enrique Santos Discepolo).
E' possibile ascoltare un'intervsita Virginia Arancio sul podcast di Radio RSI:
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