Più che una domanda .. questa è in realtà una riflessione: Luigi Nono ha dichiarato “Altri pensieri, altri rumori, altre sonorità, altre idee. Quando si ascolta, si cerca spesso di ritrovare se stesso negli altri. Ritrovare i propri meccanismi, sistema, razionalismo, nel altro. E questo è una violenza del tutto conservatrice.” … ora .. la sperimentazione libera dal peso di dover ricordare?
Porre questo “altro” come oggetto di interesse finale mi sembra una forma ancora maggiore di violenza, o perlomeno eccentricità forzata, frutto di condizionamento concettuale. La componente razionale, quella che può interessarsi di altri pensieri, rumori, sonorità e idee è variabile e influenzabile, soprattutto dall’educazione, dall’istruzione, dall’ambiente culturale. Tuttavia la musica dovrebbe portare anche allo smarrimento di quel “sè stesso”, colpendo e illuminando la componente universale dell’essere umano, in comunicazione con il corpo (sensibile al ritmo), con l’energia vitale e con la consapevolezza della mortalità; questo non significa che debba essere musica primitiva o riproporre solo materiali già assimilati e interiorizzati. Quello che andrebbe ri-trovato e ri-conosciuto è nell’individuo, e va solo stimolato con sempre rinnovata precisione. Altri pensieri, rumori, sonorità e idee non come fine della ricerca, quindi, ma come mezzo: quali di questi posso elaborare per “scremare” la trascurabile contingenza storico-culturale e arrivare a una musica più netta e radicale? Ogni artista risponde a questa domanda in modo diverso.
Qual è il ruolo dell’Errore nella tua visione musicale? Dove per errore intendo un procedimento erroneo, un’irregolarità nel normale funzionamento di un meccanismo, una discontinuità su una superficie altrimenti uniforme che può portare a nuovi sviluppi e inattese sorprese...
L’errore di cui parli è fondamentale. Nel mio caso, la ricerca di una forma, di una solidità o verità della composizione (istantanea o premeditata) si scontra con i limiti del mio linguaggio o con la mia ritrosia nel caso l’esecuzione prenda una piega troppo prevedibile, comoda, banale; questo scontro può generare tensione, e spesso proprio quel procedimento erroneo. Che sia frutto di un corto-circuito della mia tecnica, di un raptus o di un gesto volontario, il mio lavoro consiste nel “significare” questo aborto, o aborto mancato, e organizzare il brano di conseguenza.
Va fatta distinzione, però, fra i famosi “errori sbagliati” e gli “errori giusti”. Nell’improvvisazione non premeditata, quando gli “errori” si succedono con frequenza, è importante per me non cedere a quella forma di astrattismo che porta ad accettare acriticamente qualsiasi cosa; l’improvvisazione “aperta”, nella quale si è disposti ad includere di tutto, annulla il rischio: la metafora con il lancio dei dadi richiamata dalla musica “aleatoria” ha senso se il rischio di sbagliare è reale. Se l’esito del lancio è sempre positivo, non c’è più rischio e ogni gesto è decorativo e intercambiabile. Personalmente, preferisco perdere molti brani potenzialmente interessanti (molte volte basta un errore sbagliato, o uno di troppo, per compromettere irrimediabilmente l’esecuzione) che sacrificare quella tensione.
Parliamo di marketing. Quanto pensi che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
È un lavoro assolutamente determinante, che richiede molte risorse, tempo e motivazione. Naturalmente, il fatto che sia fondamentale per la “carriera” di un musicista non significa che abbia rilevanza sulla qualità della musica.
continua domani
Nessun commento:
Posta un commento