lunedì 29 marzo 2010

Recensione di EGP di Marco Cappelli, Mode records 2006


Ho scoperto questo disco tramite una recensione e un’interessante intervista a Marco Cappelli sul mensile BlowUp, dove Cappelli descriveva il suo esodo volontario dall’Italia verso New York alla ricerca di nuovi stimoli per il proprio percorso artistico ormai da tempo indirizzato verso la musica contemporanea, l’avanguardia e l’improvvisazione. Percorso artistico sintetizzato nel disco e nel progetto solista EGP, l’idea cioè di fotografare con efficaci “istantanee musicali” il circolo di musicisti di Down Town New York commissionando agli stessi artisti nuove composizioni.
Musicisti / compositori / improvvisatori caratterizzati dal fatto di essere legati tanto ai campi della musica colta che del jazz, dell’elettronica, dell’avanguardia che della sperimentazione rock, e accomunati da un linguaggio musicale scevro di una qualsiasi suddivisione / limitazione in categorie.
Ecco quindi uno dei maggiori motivi di interesse di questo disco: la possibilità di avere a portata … d’orecchio una realtà musicale così particolare attraverso l’ascolto di brani scritti per chitarra classica particolare, modificata dallo stesso Cappelli con l’aggiunta di 8 corde di risonanza,amplificata e predisposta per il controllo MIDI, e caratterizzati da una scrittura … mista, sia rigorosamente strutturata che caratterizzata da soluzioni e modelli più liberi e informali, quasi aleatori con ampio uso dell’improvvisazione. La lista dei compositori, ciascuno presente con una sua composizione è quanto di meglio si possa chiedere per rappresentare l’avanguardia musicale della Big Apple: Elliott Sharp, Otomo Yoshihide, Ikue Mori, Marc Ribot, David Shea, AnthonyColeman, Nick Didkovsky, Mark Stewart, Erik Friedlander e Annie Gosfield.
Non resta ascoltare uno per uno i brani:

1) “Marc Ribot: And So I Went to Pittsburgh” Di tutti i musicisti con cui Cappelli è entrato in contatto non è davvero difficile immaginare una particolare affinità col Signor Ribot. L’interpretazione di questo brano, assolutamente tipico per il chitarrista newyorkese compagno di giochi di John Zorn e Tom Waits, è talmente rigorosa da rasentare la perfezione stilistica. Cappelli ha saputo rendere alla perfezione un brano in cui Ribot ha voluto condensare tutta la sua … schizofrenia, unendo tra loro brividi elettrici e una certa arcaicità american primitive guitar con un suono abrasivo, sporco affiancato a momenti di pace quasi bucolica.

2) “Ikue Mori: Bird Chant” Per chi non la conoscesse la signora Ikue Mori è una dei punti di riferimento dell’avanguardia-rumoristica-elettronica newyorkese fin dai tempi della No Wave. Singolare la sua presenza in questo disco data la sua presenza con i DNA di Arto Lyndsay nella celeberrima antologia musicale “No New York” curata da Brian Eno nel 1978 e recentemente ristampata. Anche qui basta un breve inizio d’ascolto per domandarsi se non sia lei l’autrice. Il brano è realizzato sulla contrapposizione / interazione tra la chitarra e una base preregistrata, creando uno scenario delicato e rarefatto, sospeso su una rete di suoni elettronici e rumori tipici della poetica “musicale” della Mori, in cui la chitarra quasi ne tratteggia i contorni. Isolazionista senza esserlo mai veramente, forse semplicemente siderale.

3) “Elliott Sharp Amigdala” Elliott Sharp è un po’ considerato il Jimi Hendrix delle musiche eterodosse: instancabile ricercatore, inventore di nuove chitarre, i suoi lavori sono caratterizzati da veri blocchi sonori e da influenze rock, blues e dal canto armonico e in generale dall'utilizzo continuo di overtones. Le sue musiche sono eseguite con regolarità dai maggiori ensemble in questo settore, tra i quali l'Ensemble Modern e la non meno prestigiosa orchestra del ORF di Vienna. Anche in questo brano Sharp non si smentisce inventando un lento bordone ritmico in eterea evoluzione che si … sbrindella, si sparpaglia, si avvita su se stesso con le corde percosse, strofinate, accarezzate, pizzicate in tutti i modi possibili, tapping doppi glissando … l’interprete spinto al massimo delle possibilità fisiche, sue e dello strumento.

4) “Anthony Coleman The Buzzing in My Head” Racconta Cappelli, nel bel libretto incluso nella confezione del cd, che questo brano sarebbe servito a Coleman per esorcizzare una fastidiosa malattia dell'orecchio che gli faceva udire un fastidioso e costante ronzio. Coleman è pianista virtuoso, legato alla musica klmezer e al jazz e di cui è impossibile non citare lo splendido lavoro fatto in Bar Khokba di John Zorn. Citando Ligeti e omaggiando Beckett, richiamando concretamente l'odiato ronzio il compositore confeziona uno dei brani forse meno estremi del cd, una scrittura improvvisa e quasi brusca, ben poco melodica, con qualche escamotage da teatro d’avanguardia. Forse un po’ troppo lungo …

5-6-7) “Nick Didkovsky A bright moon makes a little daytime” Il signor Nick Didkovsky è un personaggio singolare, compositore, autore di software, formidabile matematico nonché chitarrista e leader del gruppo dei Doctor Nerve, caratterizzato da una approccio poli-stilistico con echi rock (Frank Zappa, Henry Cow e King Crimson), vicino o forse meglio dire parallelo alla scena avant newyorkese. Bello scoprire in lui l’autore di questo pezzo, un brano in tre parti, fondamentalmente basato sulle possibilità offerte dalle normali 6 corde più le 8 di risonanza della chitarra preparata di Cappelli. I suoni emessi dalle due cordiere si scontrano, incontrano e rincorrono secondo una tecnica che inedita, ogni tanto dalla fitta trama appaiono, come dalla nebbia, radi echi di blues ….

8) “Otomo Yoshihide Pi-Anode” Otomo Yoshihide. Tokyo. Chitarra jazz, turntables, laptop, avant, free, noise, come definire questa simpatica persona dall’aria mite che in un attimo è in grado di saturare l’atmosfera dei suoi concerti passando dalle più dolci melodie alla tortura acustica più spietata? Nel brano in oggetto Otomo decide di vestire i panni del serio compositore, ideando un bezzo basata su una struttura aleatoria: una tavola numerica che incrocia il numero di corde da impiegare con una serie di eventi prestabiliti e lascia all'esecutore la responsabilità di costruire / ricostruire il brano impiegando tutti i suoni incidentali presenti nell'ambiente e derivanti dall'esecuzione, ma senza l’uso di feedback. Date queste regole Cappelli genera una mosaico sonoro confuso, controllato e cangiante. You call that music? Avrebbe chiesto Zappa …

9) “Annie Gosfield Marked by a Hat” La signora Gosfield (è compositrice e membro dei Bang on a Can) è l’autrice del brano apparentemente meno estremo del cd. Al primo ascolto, specialmente subito dopo l’aleatorietà di di Otomo, viene quasi spontaneo chiedersi cosa ci sia di così estremo in un brano costruito su poche variazioni di arpeggio delle otto corde di risonanza aggiunte da Cappelli al proprio strumento? Un brano per sola mano destra e corde a vuoto, caratterizzato da effetti percussivi quasi a creare una trance. Un brano che però cresce di ascolto in ascolto.

10) ”Mark Stewart Uboingee Etude #1“ Geniale estremismo. Impossibilitato a completare la serie di undici studi per chitarra che aveva in mente a causa di un redditizio tour con Simon & Garfunkel, il funambolico chitarrista dei Bang On A Can consegna a Cappelli un 'pezzo' del tutto particolare: uno strumento (in pratica uno scheletro di metallo arrugginito tenuto assieme da vertebre e costole elastiche con un microfono a contatto che ne amplifica ogni vibrazione) da lui costruito sul quale eseguire un'improvvisazione. Cappelli si è pertanto prodotto in un estemporaneo martellamento delle molle e delle fasce di cui lo strumento prima di eseguire il brano vero e proprio - non proprio memorabile, a dire il vero - su di un loop percussivo.

11) “Erik Friedlander Iron Blue” Forse il brano più bello e, apparentemente, più melodico. Elegante, quasi arabescato in certi passaggi deve aver non poco messo a dura prova le capacità di Cappelli, essendo stato costretto ad accordare la chitarra come un violoncello. Il risultato è molto appagante per l’ascoltatore, Friedlander è compositore (e interprete) molto capace, un altro degno compagno di squadra per Coleman e Ribot negli ensamble di John Zorn. Un brano meraviglioso.

12) David Shea Terra from: Metta Meditations Compositore segnalatosi fin da giovane per la brillante capacità di mediare musica elettronica e scrittura compositiva (imperdibili i suoi due capolavori Satirycon e Tower of Mirror) ,Shea ha composto una suite in sette movimenti basata sull'elaborazione in studio di campioni dello strumento di Cappelli e che prevede, nell'esecuzione, il raddoppio della chitarra attraverso un nastro, o meglio un cd pre registrato. Il risultato è un brano estraniante, sospeso, quasi una meditazione indecifrabile, effetti, acuti arpeggi ostinati che passano dondolando dallo strumento al nastro senza soluzione di continuità, come un continuum sonoro che continua a suonare nell’orecchio, anche dopo la sua fine.

Disco consigliatissimo per chi ama l'avanguardia, in particolare la sempre prolifica e interessante scena newyorkese!
Empedocle70

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