martedì 23 marzo 2010

Intervista a Enrico Coniglio prima parte



Caro Enrico .. allora da quanto tempo sei nella musica e perché? Qual è il tuo background?

Caro Andrea… sono nella musica seriamente da pochissimo, forse soltanto da oggi stesso, ma ho dei trascorsi piuttosto lunghi. Il mio background è quello della band di provincia, delle prove il lunedì sera a tutto volume, dei concertini in cui la gente si annoia e il proprietario del locale fa storie per pagarti, dei concorsi in cui vieni fischiato e arrivi ultimo. Poi un giorno, verso il 2002, ho barattato il mio Marshall con un Pc ed è stata la mia piccola svolta. Diciamo che ho lasciato il rock per dedicarmi a quella che - forse ingenuamente - mi figuravo allora come “musica d’atmosfera”, ancor prima di conoscere l’esistenza dell’ambient music. Poi ho capito di essere finito dentro un genere e mi sono riconosciuto nella sua estetica.
Il mio strumento è sempre stato principalmente la chitarra, soltanto negli ultimi anni ho definitivamente disimparato a suonarla. Il mio approccio, oggi, è questo anche quando mi servo di altri strumenti: per generare del “suono” non serve essere dei virtuosi. Il resto è tutto un lavoro di post-produzione.


La tua musica trasmette una certa sensazione di minimalismo, sei legato a questa corrente musicale?

La mia musica non è affatto minimalista, anzi pecca spesso di essere ridondante. Bisogna poi mettersi d’accordo su che cosa si intende per minimalismo, se ci riferisce alla semplificazione della struttura armonica e alla ripetizione del modulo (il minimalismo di La Monte Young, Reich, Glass tanto per capirci), o se parliamo in modo generico di suono rarefatto e tendenza all’essenzialità. Si deve in ogni caso ammettere che l’ambient music, da definizione, è legata alla filosofia minimalista, ma ritengo che tali canoni, se mai sono stati più o meno implicitamente definiti, siano oggi superati. Fare musica ambient significa emanciparsi dalla “regola”, sennò non c’è ricerca. Molta musica ambient-drone ad esempio è fatta di suono massivo, ma è al tempo minimale e non c’è nessuna contraddizione.

Come è nata la collaborazione con la net label Laverna?

Mi ha contattato Mirco Salvadori attraverso myspace, poi abbiamo scoperto di essere della stessa città, non solo, ma di abitare a cinquecento metri l’uno dall’altro. Non è incredibile? Abbiamo bevuto insieme un buon bicchiere e ne è venuta fuori l’idea di fare un lavoro per Laverna. Devo ammettere che è stato proprio Mirco a spingere per un concept sperimentale, perciò Glacial lagoon è un lavoro che in qualche modo dedico a lui e alla sua decadente visione di Venezia. Poi il sodalizio con Laverna si è fatto più stretto conoscendo anche Mario Marino (Molven) e Lorenzo Isacco. Il bello di Laverna è che è un gruppo aperto, collaborativo, sempre alla ricerca di nuove sinestesie. Laverna forse è oggi l’emblema di quello che dovrebbe essere un’etichetta: oltre a occuparsi di release è il luogo ideale di incontro di persone che mettono insieme diversi talenti nel campo della musica, informatica, videoarte, fotografia, letteratura...

continua domani

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