Come è nato il suo interesse per gli studi del Book of Head di Zorn? Non sono molto diffusi tra i chitarristi classici, io li ho sentiti suonare circa 10 anni fa a Venezia da Marc Ribot e mi ricordo la sorpresa nel vedergli suonare la chitarra con palloncini e in maniera assolutamente non ortodossa, mi è sempre rimasta la curiosità di sapere se hanno delle parti in cui si può improvvisare o se invece sono studi dalla struttura già ben definita?
C'è stato un momento, verso la fine degli anni '90, in cui collaboravo molto spesso a delle prime esecuzioni e cercavo brani per chitarra ai "confini" del repertorio e del linguaggio scritto. Un amico di Cagliari mi fece ascoltare il disco di Ribot dove suonava i 35 studi del Book of Heads di Zorn, e scoprii che erano pubblicati da Carl Fisher. Mi procurai la partitura e mi trovai di fronte a questi rettangoli pieni di geroglifici, tra cui qualche nota musicale, aperti destra: a significare che, una volta esposto il materiale contenuto nei rettangoli, si poteva - volendo - improvvisare con esso. Se non fosse stato per l'aiuto di Ribot probabilmente sarei ancora li a decifrare i geroglifici...invece ne scelsi 10 e li registrai del cd YUN MU.
Sembra che Electric Counterpoint stia diventando un pezzo da repertorio "classico" per chi vuole cimentarsi con la musica contemporanea, vuole parlarci del suo approccio e della sua interpretazione a questo pezzo? Come è nata l'idea di suonarlo ricorrendo a strumenti di origine folk invece che alla chitarra e al basso elettrico? Sa se Reich ha mai ascoltato la sua interpretazione?
L'idea di reincidere il nastro è nata dal disagio che , nell'ascoltare quel pezzo straordinario, ho sempre avvertito per quel suono geometrico e computeristico delle versioni disponibili. In più da sempre volevo utilizzare in qualche modo la straordinaria collezione di strumenti etnici del mio primo insegnante Gino Bufano, che da bambino mi aveva tanto impressionato da lasciarmi un'indelebile passione per gli strumenti etnici. Così passai una notte a registrare patterns utilizzando una ventina di strumenti inaccordabili, per montarli successivamente con Daniele Ledda a Cagliari negli studi di Ti con Zero. Il risultato fu che il nastro suonava come una banda di paese più che come un computer... fortunatamente piacque anche a Steve Reich, che confessando un leggero fastidio iniziale per l'intonazione "poco temperata" se ne lasciò conquistare scrivendomi una bellissima lettera e parlando della mia interpretazione in diverse interviste (ne ricordo una su Blow Up). Per me era già tanto che non mi avesse mandato una lettera del suo avvocato...
Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
Purtroppo è fondamentale. Dico purtroppo perche` appartengo ad una generazione di idealisti che e` cresciuta con il mito dell'artista dedito solo alla creazione mentre un'agente si occupa di lui. In realta` se questo era vero in passato parzialmente e solo per alcuni grossi nomi, oggi non lo e` quasi piu` per nessuno. I canali attraverso i quali passa la propria proposta musicale sono saturi di informazione, e far breccia nel muro dell'iper-produzione di arte non e` facile. Probabilmente il futuro e` di chi capira` come manovrare bene le nuove leve della comunicazione, e questo e` difficile che capiti a chi si ricorda ancora dei telefoni grigi della Sip con la rotella che girava per fare i numeri.
Per adesso mi pare che la qualita` della proposta non sia meno importante del modo in cui viene impacchettata e venduta, se il fine e` farla arrivare al pubblico. Io ho un rapporto ambiguo con questa realta`: a volte mi diverte e mi sento molto "moderno" nel dover avere a che fare con questo problema comunicativo che mi affascina sotto il profilo direi... sociologico.
Altre volte mi viene voglia di chiudere completamente la bottega in cui "vendo il mio prodotto", e di dedicarmi solo a pensarlo, registrarlo e chi si e` visto si e` visto, aprendo un bel locale per vivere, dove organizzare performance esclusive , master class e offrire da mangiare visto che mi piace cucinare.
C'è stato un momento, verso la fine degli anni '90, in cui collaboravo molto spesso a delle prime esecuzioni e cercavo brani per chitarra ai "confini" del repertorio e del linguaggio scritto. Un amico di Cagliari mi fece ascoltare il disco di Ribot dove suonava i 35 studi del Book of Heads di Zorn, e scoprii che erano pubblicati da Carl Fisher. Mi procurai la partitura e mi trovai di fronte a questi rettangoli pieni di geroglifici, tra cui qualche nota musicale, aperti destra: a significare che, una volta esposto il materiale contenuto nei rettangoli, si poteva - volendo - improvvisare con esso. Se non fosse stato per l'aiuto di Ribot probabilmente sarei ancora li a decifrare i geroglifici...invece ne scelsi 10 e li registrai del cd YUN MU.
Sembra che Electric Counterpoint stia diventando un pezzo da repertorio "classico" per chi vuole cimentarsi con la musica contemporanea, vuole parlarci del suo approccio e della sua interpretazione a questo pezzo? Come è nata l'idea di suonarlo ricorrendo a strumenti di origine folk invece che alla chitarra e al basso elettrico? Sa se Reich ha mai ascoltato la sua interpretazione?
L'idea di reincidere il nastro è nata dal disagio che , nell'ascoltare quel pezzo straordinario, ho sempre avvertito per quel suono geometrico e computeristico delle versioni disponibili. In più da sempre volevo utilizzare in qualche modo la straordinaria collezione di strumenti etnici del mio primo insegnante Gino Bufano, che da bambino mi aveva tanto impressionato da lasciarmi un'indelebile passione per gli strumenti etnici. Così passai una notte a registrare patterns utilizzando una ventina di strumenti inaccordabili, per montarli successivamente con Daniele Ledda a Cagliari negli studi di Ti con Zero. Il risultato fu che il nastro suonava come una banda di paese più che come un computer... fortunatamente piacque anche a Steve Reich, che confessando un leggero fastidio iniziale per l'intonazione "poco temperata" se ne lasciò conquistare scrivendomi una bellissima lettera e parlando della mia interpretazione in diverse interviste (ne ricordo una su Blow Up). Per me era già tanto che non mi avesse mandato una lettera del suo avvocato...
Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?
Purtroppo è fondamentale. Dico purtroppo perche` appartengo ad una generazione di idealisti che e` cresciuta con il mito dell'artista dedito solo alla creazione mentre un'agente si occupa di lui. In realta` se questo era vero in passato parzialmente e solo per alcuni grossi nomi, oggi non lo e` quasi piu` per nessuno. I canali attraverso i quali passa la propria proposta musicale sono saturi di informazione, e far breccia nel muro dell'iper-produzione di arte non e` facile. Probabilmente il futuro e` di chi capira` come manovrare bene le nuove leve della comunicazione, e questo e` difficile che capiti a chi si ricorda ancora dei telefoni grigi della Sip con la rotella che girava per fare i numeri.
Per adesso mi pare che la qualita` della proposta non sia meno importante del modo in cui viene impacchettata e venduta, se il fine e` farla arrivare al pubblico. Io ho un rapporto ambiguo con questa realta`: a volte mi diverte e mi sento molto "moderno" nel dover avere a che fare con questo problema comunicativo che mi affascina sotto il profilo direi... sociologico.
Altre volte mi viene voglia di chiudere completamente la bottega in cui "vendo il mio prodotto", e di dedicarmi solo a pensarlo, registrarlo e chi si e` visto si e` visto, aprendo un bel locale per vivere, dove organizzare performance esclusive , master class e offrire da mangiare visto che mi piace cucinare.
continua domani
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