Me lo ricordo ancora la prima volta che ho ascoltato questo disco. Era il 1996, un martedì sera, ero in radio. Arriva un amico portando la copia masterizzata (il disco era uscito per la Avant, casa discografica giapponese di John Zorn, in tiratura limitata e all’epoca non c’erano Ebay, Amazon e il mercato di importazione era chiuso come un riccio) e la mettiamo su, c’era un po’ dia ttesa per questo lavoro. Ma come? Possibile che per grande padre dell’improvvisazione radicale inglese scegliesse di suonare assieme a un DJ e proprio sulle strutture rigide della Drums N’Bass?
Tutto vero.
Bailey chiese al DJ Ninj di preparare della basi su cui improvvisare liberamente. Ascoltare questo disco all’epoca mi fece fare un bel salto avanti, mi fece entrare nei meccanismi di Bailey, mi fece innamorare delle sue forme improvvisative e cambiò la mia opinione sulla scena musicale della drums n’ bass spingendomi ad approfondire l’argomento.
Riascoltare questo disco a distanza di 15 anni non fa più lo stesso effetto. Fa impressione rendersi conto di come e in quanto breve tempo il drums n’ bass si sia eclissato, riciclato, rinnovato, rinforzato in altre derivazioni elettroniche come il grime e il dubstep, ma si avverte un maggiore senso di forzatura nelle note della chitarra di Bailey. Si può scegliere di improvvisare con o contro un altro musicista e in questo caso sembra proprio che Derek abbia scelto questa seconda strada. Costretto, incanalato all’interno delle ritmiche frenetiche precampionate e elaborate già tempo prima (nel 1995) da DJ Ninj a Bailey sembra non essere rimasto altra possibilità che cercare di frangiare, logorare, aggredire questi beats che continuano i risuonare come tali indifferenti alle sue iniezioni di suoni chitarristici. Sembra un onda che si infrange contro uno scoglio. Sembra un albatross che sbatte le ali cercando di decollare e librarsi in aria. Avverto un senso quasi di claustrofobia.
O forse sono io che sono 15 meno giovane, più smaliziato e allenato a questo tipo di ascolti?
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