martedì 27 gennaio 2009

SEGOVIA parte seconda di Mauro Storti

All’incondizionata ammirazione del mondo musicale, per il quale la chitarra era sempre stata considerata nulla più che uno strumento da osteria o, quanto meno, adatto solo alle serenate, (2) faceva eco lo stupore di violinisti, violoncellisti, pianisti e organisti che scoprivano come su di essa si potevano eseguire non solo alcune delle pagine più note del loro repertorio, da Bach a Scarlatti, da Frescobaldi a Mendelssohn, da Albéniz a Granados, ma anche musiche dimenticate del passato rinascimentale accanto ad altre di autori contemporanei.
A partire dagli anni ’30, per la prima volta importanti compositori iniziarono a scrivere per la chitarra pur senza saperla suonare (cosa ritenuta impossibile da Berlioz!) dando vita ad un ricco e originale repertorio moderno di ben altra levatura (3) da lui ispirato, a lui dedicato e oggi patrimonio di tutti i chitarristi.

Per completare il quadro del fenomeno Segovia non vanno dimenticati i suoi meriti nel campo della didattica, svolta principalmente in Italia, a partire dagli anni ’50, presso l’Accademia Chigiana di Siena. A dire il vero, la sua azione didattica era già iniziata da tempo per via indiretta, in quanto il suo repertorio, pubblicato quasi per intero e con grande tempestività dall’editore tedesco Schott e noto a tutto il mondo per le incisioni discografiche del Maestro, era entrato in molte case e in molte biblioteche, sicché anche i dilettanti più sprovveduti avevano potuto tentarne un approccio.

Come fosse il Segovia didatta a Siena e, una decina d’anni più tardi, a Santiago de Compostela, esistono molte testimonianze. Il Maestro ascoltava con molta attenzione e, ove fosse il caso, mostrava con qualche accenno strumentale una diteggiatura più funzionale o un freseggio più espressivo. In fondo, non si dice che l’Arte non si insegna ma si ruba? In effetti, pareva che gli allievi fossero là convenuti da tutto il mondo per mostrargli quanto avevano saputo rubare dai suoi concerti, dai suoi dischi, dai suoi scritti, dalle sue diteggiature e dalle sue trascrizioni.
Unico suo (e nostro) rimpianto, la mancanza di un Metodo scritto che, più volte annunciato e mai pubblicato, avrebbe forse potuto gettare le fondamenta di una didattica rinnovata.
A tal proposito occorre ricordare che fin dagli anni ‘50 del secolo precedente, l’eco delle glorie chitarristiche italiane che si chiamavano Giuliani, Carulli, Molino, Carcassi e Legnani, si era andata lentamente spegnendo e il destino della chitarra si era incamminato verso un declino che l’avrebbe fatalmente relegata ai margini della vita musicale. A tenere vivo lo spirito da catacomba di una sparuta comunità chitarristica provvedevano alcuni cenacoli fra i quali ebbero particolare rilievo quelli di Modena, Bologna e Milano che raccoglievano appassionati dilettanti intorno a poche figure carismatiche come Luigi Mozzani, Benvenuto Terzi e Romolo Ferrari i quali però, pur plaudendo agli straordinari successi di Segovia, non furono capaci di comprendere a fondo ed elaborare sul piano pratico gli straordinari elementi innovativi di carattere tecnico e musicale del suo repertorio. D’altronde, non sarebbe forse bastato riflettere sul fatto che l’esecuzione di un repertorio tanto diverso da quello ottocentesco (e persino considerato antichitarristico) era resa possibile, oltre che per l’innegabile eccezionalità dell’esecutore, per la disponibilità di una tecnica nata, cresciuta e maturata lentamente in terra di Spagna nella seconda metà dell’Ottocento. Come sarebbe stato possibile cambiare dall’oggi al domani una radicata e ultrasecolare metodologia italiana? Segovia sembra avere un tono rassegnato quando dichiara che dai tempi di Aguado e di Sor, ossia dal 1830“ non si è ancora realizzata un’ architettura definitiva dello studio del nostro nobile strumento, [ossia] un sistema pratico di studi ed esercizi coordinati in modo da consentire allo studente fiducioso di progredire con continuità dalle prime lezioni fino alla sua completa padronanza”.
Alla lunga ed instancabile attività concertistica e discografica di Andrés Segovia è da attribuirsi quel fenomeno promozionale di immensa rilevanza culturale grazie al quale la chitarra classica vanta, da ormai cinquant’anni, un grandissimo numero di cultori ed è insegnata nei Conservatori ed in molte Università di tutto il mondo.
Se il personaggio Segovia aveva saputo imporsi prepotentemente come modello artistico, ciò era dovuto in massima parte al suo raro potere comunicativo. Egli non era mosso da una maniacale aspirazione al sublime ma da un terrestre generoso desiderio di comunicare agli altri, con la sua tecnica strumentale, trascendente al punto da farsi dimenticare, le intense emozioni poetiche suscitate in lui dalla Musica. I suoi “utensili” erano un suono inconfondibile e seducente, una cavata a volte lieve, a volte energica e virile, profonda e vibrante, una ricca gamma timbrica impiegata con sobrietà e gusto, un fraseggio personalissimo fatto di licenze agogiche quali si possono riscontrare soltanto nella vita pulsante.


Mauro Storti


(2) Nel numero di gennaio del 1935, sul periodico « La chitarra » appariva, a firma di Benvenuto Terzi, un articolo di questo tenore: “che alla chitarra, che per sua natura ha un carattere spiccatamente romantico, si adattino certi sviluppi moderni, sembrami mi sia permesso dire di chiedere all’istrumento più di quello che possa dare. ... La chitarra, strumento ricco di risorse, ma indubbiamente di limitata estensione di suoni, di debole risonanza e per giunta riluttante agli intrecci polifonici ed alla produzione di molte armonie dissonanti, non potrà mai prestarsi all’esecuzione della musica del nostro tempo che si basa su quelle speciali risorse e da essa trae vita e forza per affermarsi”
(3) Soltanto alcuni mesi dopo, sul medesimo periodico si poteva leggere:“A Londra, Andrés Segovia ha eseguito un nuovo programma. Esso comprendeva: Sarabanda e Gavotta di Scarlatti; Sonata in quattro tempi di Castelnuovo-Tedesco; Fandanguillo di Torroba; Omaggio a Tàrrega di Ponce; Studio in la di Tárrega e Ciaccona di Bach. [...] Il pubblico inglese attendeva con molta curiosità la trascrizione di Segovia della Ciaccona per violino di Bach. Il « Morning Post » ed il « Times » ne parlano con entusiasmo. [...] Nei passaggi polifonici soprattutto gli effetti furono veramente magnifici e questa sua grande bravura provocò gli applausi di un pubblico numeroso ed entusiasta. Segovia, trattando il pezzo con varietà di timbri, ha tolto l’impressione di uniformità che ingenera l’esecuzione sul violino”.

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