Empedocle70: Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, oltre a lei mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli, David Tanenbaum, David Starobin, Arturo Tallini, Geoffrey Morris, Magnus Anderson, Elena Càsoli, Emanuele Forni, Marc Ribot con gli studi di John Zorn … si può parlare di una scena musicale? Siete in contatto tra di voi o operate ciascuno in modo indipendente? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?
Eugenio Becherucci: Per via del modo molto indipendente ed eterogeneo con cui ognuno vive e crea il suo percorso artistico non è facile stabilire un contatto tra artisti con gusti affini, anche se, magari per strade diverse, si arriva poi a lavorare su scene musicali molto simili. Ovviamente conosco quasi tutti i nomi che mi hai citato, ma a parte Arturo Tallini, non ho collaborato con nessun altro di loro. Tra i chitarristi che non figurano in quell’elenco metterei senz’altro il belga Tom Pauwels, l’italiano Angelo Colone, l’americano Dominic Frasca e naturalmente il duo tedesco di Wilhelm Bruck e Theodor Ross.
E.: Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
E.B.: Il contatto sempre più frequente tra musicisti di diversa estrazione non può che vivificare, alla lunga, anche un ambiente un po’ ingessato come quello classico. Ne abbiamo esempi ormai in tutte le stagioni concertistiche, e non sono soltanto strategie per attirare un pubblico più vasto. Nella tradizione della musica occidentale l’improvvisazione è sempre esistita come prassi, anche se a poco a poco la scrittura ha avuto il sopravvento. Sarebbe sano se nei conservatori e nelle scuole di musica si istituisse un corso di improvvisazione, che per me resta di importanza vitale per la reale conoscenza dello strumento e per mettere in atto la spinta creativa presente in ognuno. Nelle mie composizioni amo alternare una scrittura definita con parti aleatorie, più o meno strutturate, e molte idee le ricavo da momenti improvvisativi sul mio strumento, ma anche su altri oggetti sonori, come percussioni, piccoli strumenti a fiato e, naturalmente, il pianoforte.
E.: La sensazione che si ha ascoltando la sua musica è che lei sia in grado di suonare qualsiasi cosa: indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostra sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?
E.B.: Questa domanda mi fa rammentare i primi anni di studio, in cui sfruttavo ogni minuto utile per esercitarmi sullo strumento, ascoltare musica e leggere, la mattina prima di andare a scuola, prima dell’ora di pranzo, al pomeriggio una volta sbrigata la formalità dei compiti scolastici, la sera dopo cena…si può dire che la musica e la chitarra mi riempissero le giornate, anche se qualche ragazza avrebbe preferito altrimenti…
L’acquisizione di una solida base tecnica è fondamentale per affrontare tutti i tipi di repertorio. Bisogna poi che questo saper fare non sia cristallizzato, ma sappia anche adattarsi alle proposte della musica nuova, che spesso trascendono i limiti della tecnica usuale. Mi è spesso accaduto di dover inventare delle soluzioni poco ortodosse per risolvere passaggi particolarmente ostici, o addirittura tecniche che prescindono dalla tradizione dello strumento classico, come avviene in brani come Ko-tha di Giacinto Scelsi o Memoria di Fausto Razzi, in cui l’approccio è totalmente percussivo. L’altro requisito fondamentale è una grande passione per il tuo lavoro, che ti porta a impegnare molte ore della giornata nello studio. E’ chiaro che il lavoro fatto nei primi anni
di studio è essenziale: è come con la lingua, una volta acquisito l’alfabeto non è necessario passare tutta la vita a compitarlo, ma è altrettanto chiaro che la lingua va praticata, altrimenti la si dimentica…Non si deve comunque sopravvalutare l’apporto pur fondamentale dell’acquisizione del controllo dei propri mezzi tecnici sullo strumento, in quanto è altrettanto importante avere una visione realmente musicale del brano che si va a interpretare, dunque l’approccio analitico, storico, stilistico…
E.: Parlando di lei nella sua intervista qui sul Blog, Arturo Tallini ha detto ” Eugenio Becherucci, che ha suonato tutto il suonabile….” come è nata la vostra collaborazione in Suoni Inauditi?
E.B.: Sono molto felice della collaborazione con Arturo Tallini, di cui ho ogni giorno di più la possibilità di apprezzare le qualità umane e artistiche. L’idea del progetto Suoni Inauditi è nata intorno a quella che per entrambi è stata una sfida, comunque piacevole per chi è accomunato come noi dal voler mettersi in gioco, anche se talvolta il gioco può risultare molto impegnativo. Quando ho conosciuto Arturo sapevo di trovarmi di fronte a un artista completo, ma con una voglia di sperimentare non comune a tutti: è per questo che, capito come stavano le cose, gli ho subito proposto di lavorare insieme a un progetto d’avanguardia partendo dall’incredibile brano di Helmut Lachenmann, “Salut für Caudwell”. Questa monumentale opera pone gli interpreti di fronte a problemi di esecuzione che possono apparire insormontabili se non si ha la ferma volontà di portare a termine il lavoro ad ogni costo, cosa che ci siamo giurati quando abbiamo avuto l’occasione di ascoltare il pezzo. Conoscevo quest’opera dall’inizio degli anni ’90, quando l’avevo suonata in concerto per un paio d’anni, allora con il bravissimo collega Antonio D’Augello. Purtroppo le occasioni per suonarla si erano diradate, quindi il brano fu messo da parte. Dopo circa un decennio l’incontro con Arturo mi ha permesso di rimettere mano a questa musica, intorno alla quale abbiamo costruito un progetto, con il brano Ultima rara di Sylvano Bussotti insieme a una mia composizione, Contrasto su una lauda di Jacopone da Todi. Suoni Inauditi è uno stimolante viaggio dentro il corpo e l'anima della chitarra, in cui il classico ruolo dell'esecutore è ormai del tutto superato, l'antica figura del "virtuoso" completamente rivista in chiave attuale, e dove i due musicisti diventano di volta in volta attori, mimi, cantanti…Anche nell'approccio alla chitarra c'è poco di già sentito: durante il concerto si provi a chiudere gli occhi, dimenticare per un attimo la trascendenza tecnica delle partiture eseguite, e a immaginare chi e come in un dato momento sta producendo determinate sonorità...
"Suoni inauditi", con tutte le implicazioni semantiche che questo aggettivo ci suggerisce: non udito, nel senso di nuovo, ma anche nel significato estremo di assurdo, sorprendente, che causa meraviglia...
Con Arturo abbiamo attualmente anche un altro progetto, Acoustic Counterpoint, che include, oltre a brani contemporanei, tra cui Nagoya Guitars di Steve Reich, musica barocca come il Concerto Italiano di J.S.Bach in una trascrizione dello stesso Arturo Tallini e anche opere del repertorio più tradizionale come la Sonatina canonica di Castelnuovo Tedesco.
E.: Nel 2003 lei ha pubblicato con Antonio Cipriani (il Duo Eutonos) il cd Fantasia Catalana, come è nata questa collaborazione e le composizioni che suonate sul cd?
Eugenio Becherucci: Per via del modo molto indipendente ed eterogeneo con cui ognuno vive e crea il suo percorso artistico non è facile stabilire un contatto tra artisti con gusti affini, anche se, magari per strade diverse, si arriva poi a lavorare su scene musicali molto simili. Ovviamente conosco quasi tutti i nomi che mi hai citato, ma a parte Arturo Tallini, non ho collaborato con nessun altro di loro. Tra i chitarristi che non figurano in quell’elenco metterei senz’altro il belga Tom Pauwels, l’italiano Angelo Colone, l’americano Dominic Frasca e naturalmente il duo tedesco di Wilhelm Bruck e Theodor Ross.
E.: Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?
E.B.: Il contatto sempre più frequente tra musicisti di diversa estrazione non può che vivificare, alla lunga, anche un ambiente un po’ ingessato come quello classico. Ne abbiamo esempi ormai in tutte le stagioni concertistiche, e non sono soltanto strategie per attirare un pubblico più vasto. Nella tradizione della musica occidentale l’improvvisazione è sempre esistita come prassi, anche se a poco a poco la scrittura ha avuto il sopravvento. Sarebbe sano se nei conservatori e nelle scuole di musica si istituisse un corso di improvvisazione, che per me resta di importanza vitale per la reale conoscenza dello strumento e per mettere in atto la spinta creativa presente in ognuno. Nelle mie composizioni amo alternare una scrittura definita con parti aleatorie, più o meno strutturate, e molte idee le ricavo da momenti improvvisativi sul mio strumento, ma anche su altri oggetti sonori, come percussioni, piccoli strumenti a fiato e, naturalmente, il pianoforte.
E.: La sensazione che si ha ascoltando la sua musica è che lei sia in grado di suonare qualsiasi cosa: indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostra sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?
E.B.: Questa domanda mi fa rammentare i primi anni di studio, in cui sfruttavo ogni minuto utile per esercitarmi sullo strumento, ascoltare musica e leggere, la mattina prima di andare a scuola, prima dell’ora di pranzo, al pomeriggio una volta sbrigata la formalità dei compiti scolastici, la sera dopo cena…si può dire che la musica e la chitarra mi riempissero le giornate, anche se qualche ragazza avrebbe preferito altrimenti…
L’acquisizione di una solida base tecnica è fondamentale per affrontare tutti i tipi di repertorio. Bisogna poi che questo saper fare non sia cristallizzato, ma sappia anche adattarsi alle proposte della musica nuova, che spesso trascendono i limiti della tecnica usuale. Mi è spesso accaduto di dover inventare delle soluzioni poco ortodosse per risolvere passaggi particolarmente ostici, o addirittura tecniche che prescindono dalla tradizione dello strumento classico, come avviene in brani come Ko-tha di Giacinto Scelsi o Memoria di Fausto Razzi, in cui l’approccio è totalmente percussivo. L’altro requisito fondamentale è una grande passione per il tuo lavoro, che ti porta a impegnare molte ore della giornata nello studio. E’ chiaro che il lavoro fatto nei primi anni
di studio è essenziale: è come con la lingua, una volta acquisito l’alfabeto non è necessario passare tutta la vita a compitarlo, ma è altrettanto chiaro che la lingua va praticata, altrimenti la si dimentica…Non si deve comunque sopravvalutare l’apporto pur fondamentale dell’acquisizione del controllo dei propri mezzi tecnici sullo strumento, in quanto è altrettanto importante avere una visione realmente musicale del brano che si va a interpretare, dunque l’approccio analitico, storico, stilistico…
E.: Parlando di lei nella sua intervista qui sul Blog, Arturo Tallini ha detto ” Eugenio Becherucci, che ha suonato tutto il suonabile….” come è nata la vostra collaborazione in Suoni Inauditi?
E.B.: Sono molto felice della collaborazione con Arturo Tallini, di cui ho ogni giorno di più la possibilità di apprezzare le qualità umane e artistiche. L’idea del progetto Suoni Inauditi è nata intorno a quella che per entrambi è stata una sfida, comunque piacevole per chi è accomunato come noi dal voler mettersi in gioco, anche se talvolta il gioco può risultare molto impegnativo. Quando ho conosciuto Arturo sapevo di trovarmi di fronte a un artista completo, ma con una voglia di sperimentare non comune a tutti: è per questo che, capito come stavano le cose, gli ho subito proposto di lavorare insieme a un progetto d’avanguardia partendo dall’incredibile brano di Helmut Lachenmann, “Salut für Caudwell”. Questa monumentale opera pone gli interpreti di fronte a problemi di esecuzione che possono apparire insormontabili se non si ha la ferma volontà di portare a termine il lavoro ad ogni costo, cosa che ci siamo giurati quando abbiamo avuto l’occasione di ascoltare il pezzo. Conoscevo quest’opera dall’inizio degli anni ’90, quando l’avevo suonata in concerto per un paio d’anni, allora con il bravissimo collega Antonio D’Augello. Purtroppo le occasioni per suonarla si erano diradate, quindi il brano fu messo da parte. Dopo circa un decennio l’incontro con Arturo mi ha permesso di rimettere mano a questa musica, intorno alla quale abbiamo costruito un progetto, con il brano Ultima rara di Sylvano Bussotti insieme a una mia composizione, Contrasto su una lauda di Jacopone da Todi. Suoni Inauditi è uno stimolante viaggio dentro il corpo e l'anima della chitarra, in cui il classico ruolo dell'esecutore è ormai del tutto superato, l'antica figura del "virtuoso" completamente rivista in chiave attuale, e dove i due musicisti diventano di volta in volta attori, mimi, cantanti…Anche nell'approccio alla chitarra c'è poco di già sentito: durante il concerto si provi a chiudere gli occhi, dimenticare per un attimo la trascendenza tecnica delle partiture eseguite, e a immaginare chi e come in un dato momento sta producendo determinate sonorità...
"Suoni inauditi", con tutte le implicazioni semantiche che questo aggettivo ci suggerisce: non udito, nel senso di nuovo, ma anche nel significato estremo di assurdo, sorprendente, che causa meraviglia...
Con Arturo abbiamo attualmente anche un altro progetto, Acoustic Counterpoint, che include, oltre a brani contemporanei, tra cui Nagoya Guitars di Steve Reich, musica barocca come il Concerto Italiano di J.S.Bach in una trascrizione dello stesso Arturo Tallini e anche opere del repertorio più tradizionale come la Sonatina canonica di Castelnuovo Tedesco.
E.: Nel 2003 lei ha pubblicato con Antonio Cipriani (il Duo Eutonos) il cd Fantasia Catalana, come è nata questa collaborazione e le composizioni che suonate sul cd?
E.B.: Tengo particolarmente a questo lavoro, perché ha un significato affettivo molto speciale per me, da vari punti di vista. L' idea di comporre queste fantasie nacque un giorno del 1997 durante uno dei miei numerosi viaggi in treno, sulla linea per Bologna, nel cui conservatorio ho insegnato dal ’90 al 2001. Avevo con me della carta da musica e non resistetti all’impulso di metter giù un primo abbozzo di alcune di queste fantasie, allora in versione per ensemble. Volevo dedicarle a mio figlio che sarebbe nato di lì a un mese: per questo alcuni dei temi scelti sono natalizi ed hanno, nella loro ispirazione popolare, quasi un sapore infantile. Mi erano sempre piaciute queste melodie semplici ma eleganti, conosciute attraverso gli arrangiamenti di Miguel Llobet, che ben riflettevano il carattere della gente catalana, così come lo avevo conosciuto in mio nonno, il pittore Francisco Urgell. Quello che era nato come un semplice, per quanto prezioso, cadeau intimo e famigliare, si trasformò poi in un vero e proprio progetto di lavoro in seguito all’incontro con il violinista Antonio Cipriani, che mi incoraggiò a scrivere un numero di fantasie sufficiente per poterlo proporre in concerto e da poterne realizzare l’incisione. Nonostante poi i numerosi impegni come direttore d’orchestra di Cipriani lo abbiano portato a diradare la collaborazione con me, non ho rinunciato a proporre questo progetto anche con altri violinisti, l’ultimo dei quali, con cui attualmente collaboro, è Lucio Santarelli. Le fantasie per violino e chitarra su temi popolari catalani sono vere e proprie composizioni originali, in cui al tema antico si uniscono altre sezioni come introduzioni, altri temi melodici, interludi e soli che mettono in risalto la bravura dei due esecutori, sempre cercando di mantenere la semplicità e lo spirito della canzone popolare. Questo disco sarà tra breve distribuito insieme alle partiture dei brani dalle Edizioni Sinfonica di Brugherio (MI), con una interessante pubblicazione CD+libro.
E.: Nel 2001 lei ha invece pubblicato il disco solista “The guitar music of the next age”, come mai questo titolo e come è nato quel progetto?
E.B.: L’idea del titolo è dell’editore, ma non è difficile spiegarne il significato, anche in rapporto alle composizioni contenute nel CD. Letteralmente, “musica per chitarra per la prossima era”, non vuole creare un’aspettativa di musica d’avanguardia, né di “new age”, se si guarda alla linea editoriale di “Sinfonica” che ha pubblicato il disco e le musiche in esso contenute, improntata a una selezione di autori che hanno in comune un tipo di scrittura in genere solidamente ancorato alla tradizione. Vuole piuttosto significare che, nella linea artistica che questa casa editrice si propone, la musica del futuro ha e deve avere forti legami col passato…(sottolineo che questo assunto non ha per me il crisma della verità assoluta…) ho conosciuto alla fine dei ’90 il direttore artistico di Sinfonica, il validissimo chitarrista Bruno Giuffredi, e abbiamo pensato a questa collaborazione: alcuni degli autori dei brani del CD, come Nicola Jappelli, Marco Gammanossi e Franco Cavallone, si sono poi affermati in importanti concorsi di composizione a livello internazionale, il che dimostra che la selezione di compositori e brani da me operata per il disco ha avuto dei solidi riscontri. In questo disco mi è stata poi offerta l’occasione di incidere i miei primi due brani per chitarra sola, Tema con Variazioni, del 1993 e Notturno Indiano, del 2001. Il CD è acquistabile ondine sul sito di Edizioni Sinfonica: http://www.sinfonica.com/italian/cc_per_collana_1.php?coll=CD
E.: Nel 2001 lei ha invece pubblicato il disco solista “The guitar music of the next age”, come mai questo titolo e come è nato quel progetto?
E.B.: L’idea del titolo è dell’editore, ma non è difficile spiegarne il significato, anche in rapporto alle composizioni contenute nel CD. Letteralmente, “musica per chitarra per la prossima era”, non vuole creare un’aspettativa di musica d’avanguardia, né di “new age”, se si guarda alla linea editoriale di “Sinfonica” che ha pubblicato il disco e le musiche in esso contenute, improntata a una selezione di autori che hanno in comune un tipo di scrittura in genere solidamente ancorato alla tradizione. Vuole piuttosto significare che, nella linea artistica che questa casa editrice si propone, la musica del futuro ha e deve avere forti legami col passato…(sottolineo che questo assunto non ha per me il crisma della verità assoluta…) ho conosciuto alla fine dei ’90 il direttore artistico di Sinfonica, il validissimo chitarrista Bruno Giuffredi, e abbiamo pensato a questa collaborazione: alcuni degli autori dei brani del CD, come Nicola Jappelli, Marco Gammanossi e Franco Cavallone, si sono poi affermati in importanti concorsi di composizione a livello internazionale, il che dimostra che la selezione di compositori e brani da me operata per il disco ha avuto dei solidi riscontri. In questo disco mi è stata poi offerta l’occasione di incidere i miei primi due brani per chitarra sola, Tema con Variazioni, del 1993 e Notturno Indiano, del 2001. Il CD è acquistabile ondine sul sito di Edizioni Sinfonica: http://www.sinfonica.com/italian/cc_per_collana_1.php?coll=CD
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