Empedocle70: La prima domanda è la più semplice, banale e credo che te la facciano a ogni intervista: com’è nato il tuo amore per la chitarra?
Paolo Angeli: È stato un incontro casuale…papà è chitarrista e in attesa di una tastiera che non è mai arrivata mi sono ritrovato tra le mani la sua chitarra. È stata una relazione tormentata! Paragonabile ad una storia d’amore che nasce troppo presto e che cerchi di portare avanti tutta la vita. Ho dovuto faticare a mantenere una continuità con la sei corde. Le piccole e grandi crisi negli anni mi hanno avvicinato a praticare altri strumenti in modo costruttivo. Mi considero un musicista che suona la chitarra, non un chitarrista.
E.: Ho notato che i tuoi cd riflettono un lavoro di equipe che svolgi sempre con le stesse persone: Roberto Monari ,come tecnico del suono, tuo fratello Nanni, bravissimo fotografo, e Ale Sordi, parte grafica. Come è nata questa squadra?
P.A.: È un equipe con cui adoro lavorare. Ogni processo artistico è molto articolato e poter contare su personalità di spicco e competenze tecniche eccelse è un grande privilegio. Per cui mi piace pensare che dietro un lavoro solista ci sia una dinamica di creazione collettiva in fase di pre e post produzione. Dietro questa collaborazione pluridecennale ci sono percorsi umani condivisi, passioni politiche e visioni simili sulla vita. Aggiungerei nella lista Paolo Carta – web master – Francesco Carta - tecnico luci - e Simone Ciani, operatore video.
E.: Come è il tuo rapporto con lo studio di registrazione e con le case discografiche? Sembra che tu abbia un ottimo rapporto con la ReR, casa discografica di culto gestita da un personaggio particolare e molto intelligente come Chris Cutler, come sei arrivato a loro?
P.A.: Il rapporto con la ReR parte dal CD live Bucato. Una volta che la ReR decide di produrre un tuo lavoro, Chris lascia totale libertà all’artista, che può arrivare a chiudere il master e l’artwork senza alcun intervento di censura. In parte si verifica una dinamica simile all’autoproduzione, con i vantaggi di un’ottima visibilità e promozione internazionale. La scuderia ReR è una sorta di famiglia allargata che racchiude in gran parte musicisti che stimo tantissimo (Frith in primis). In ogni caso produco solo dischi in cui mi identifico e non do margini di intervento a terzi sull’estetica che voglio comunicare. Solo dopo aver chiuso il master cerco la produzione affidandomi a persone con cui ho un rapporto di fiducia.
E.: Come vedi la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?
P.A.: È una crisi che non coinvolge il mercato dell’artigianato. Noi siamo piccoli sognatori, che viaggiano con scatole di CD per venderli ai concerti e che derterminiamo il prezzo a seconda del luogo in cui facciamo le tourneè. Si ha un contatto diretto tra artisti e pubblico e alla fine della serata chi ti ascolta ama portare con se un piccolo pezzo della tua storia. Il dowload completa questa opportunità in cui, gratuitamente, tutti possono fruire della musica. È un importante risorsa. E vorrei smitizzare il concetto che vede in relazione MP3=bassa qualità. Sono cresciuto con l’era dei mangia dischi (45rpm) e delle mangia cassette in mono. I bassi costi di produzione permettono a chiunque di produrre un CD. È un elemento di democratizzazione del mercato discografico. Ai grandi numeri non abbiamo accesso per cui: siamo salvi!
E.: Tu provieni da una scelta culturale, quella bolognese degli anni 90 a cui sono “sentimentalmente” affezionato: in quegli anni davo una mano a realizzare un programma radiofonico su Radio Popolare dedicato al post rock e all’avanguardia e mi ricordo diverse corse in macchina verso Bologna per assistere ai concerti al Link. Che ricordi hai di quegli anni? Ce ne vuoi parlare magari accennando a quelle fucine di talenti e idee come il DAMS e il Laboratorio di Musica e Immagine?
P.A.: Rimando alla mia biografia sul sito. Ribadisco che gli anni ’90 sono stati anni stupendi per una città che ha digerito una sanissima produzione culturale antagonista. Rivendico il movimento delle occupazioni. Fanno parte della mia storia, sono state il presupposto per un confronto dialettico tra realtà di incredibile vivacità. Mi sento un privilegiato nel poter circuitare nel mondo in realtà molto simili a quelle che hanno dato origine alla mia parabola artistica. Il LM&I? Un sogno ad occhi aperti di incredibile attualità. Il post anni ’90? Un sentirsi costantemente dietro le barricate a difendere con i denti stretti piccoli spazi di libertà. Questa è una delle ragioni per cui ho lasciato l’Italia.
E.: A proposito del Laboratorio di Musica e Immagine, hai mantenuto i contatti con quel manipolo di artisti? Che cosa è successo dopo il suo scioglimento?
P.A.: Con Stefano Zorzanello abbiamo continuato a suonare in duo. Gran parte degli altri musicisti hanno collaborato creativamente al mio album orchestrale Nita l’angelo sul trapezio: un manifesto che racchiude la Bologna che più ho amato. Sono in contatto con loro e il fatto che gran parte del LM&I si sia ritagliato un consenso internazionale è un’importante testimonianza della ricchezza di quel movimento. Inoltre è importante evidenziare che a raggiungere una maggiore notorietà siano state le ragazze: Margaret Kammerer, Daniela Cattivelli, Olivia Bignardi. Un segnale che va contro la visione fallocentrica del sistema musicale italiano.
E.: Da qualche anno ti sei trasferito a Barcellona, città stupenda e di cui sono innamorato. Come è la realtà musicale barcellonese? Conosco bene il Festival Sonar, hai trovato delle affinità con altri artisti spagnoli?
P.A.: È una città che amo profondamente. Per ora osservo e godo delle intuizioni di musicisti più giovani di me. Adoro Amnda Jayne, musicista americana che è un po’ la colonna sonora della Barcellona meticcia. Con la realtà del Sonar non ho contatti (se non da fruitore). Ma ultimamente preferisco assistere ad un festival di cinema di animazione, o ad una mostra fotografica, che andare ad ascoltare un concerto: mi sorprendo e mi emoziono con più facilità.
E.: Fred Frith e Giovanni Scanu sono stati i tuoi “genitori musicali”. Il nostro blog è particolarmente interessato alla musica popolare e la Sardegna è un grande serbatoio di tradizioni, ci vuoi parlare di questo compianto grande musicista che è stato Scanu e del suo stile musicale?
P.A.: Zio Giovanni è la linfa della mia ricerca. Adoro la musica tradizionale sarda e Giovanni Scanu è stato l’ultimo grande maestro della tecnica ad arpeggio. Conoscerlo è stato come accedere ad un mondo in estinzione: una sorta di passaggio di testimone, di consegna di un prezioso ricordo. È stata una vera fortuna poter essere un suo allievo. È la prima vertebra della mia spina dorsale. Rimando al mio libro Canto in Re per capire quanto è stata impotante la sua figura nella mia vita di musicista.
E.: Fred Frith ha dichiarato nell’intervista rilasciata Enrico Bettinello sul BlowUp che “..restando nell’ambito dei chitarristi, ci sono tre musicisti con cui sento una particolare affinità in questo momento e si tratta di artisti che magari la gente non immaginerebbe: uno è Camel, uno è Paolo Angeli e l’altra è Janet Fader; sono artisti con cui sento di comunicare, oltre a essere persone straordinarie…”, una bella dichiarazione di stima! Ho avuto il piacere di incontrare il Professor Frith dopo il concerto di Cosa Brava a Venezia aprile 2008 e sono rimasto colpito dalla sua cortesia e dal suo sense of humor, com’è il tuo rapporto con lui? Cosa significa suonare con un gigante come lui?
P.A.: Fred è il simbolo di una musica aperta, realmente libera: un free che non si chiude ma che accoglie tutte le contraddizioni del mondo contemporaneo. Inoltre Fred è un ponte tra le generazioni. Nella sua band Cosa Brava suonano musicisti di età compresa tra i 28 e i 60 anni. Ciò evidenzia la sua curiosità e la sua innata comunicativa che lo porta ad essere adorato dai musicisti della mia generazione. Il rapporto è di profonda stima e amicizia. Nell’ultimo suo disco in solo per chitarra acustica uno dei brani è dedicato a me e questo mi lusinga non poco.
E.: Il 4 agosto 2005 hai suonato al Sant'Anna Arresi Jazz Festival con Pat Metheny, Antonello Salis e Hamid Drake, essendo un fan di Metheny ho la registrazione di quel concerto, meravigliosamente basato su una rete di tessuti musicali improvvisati, che ricordi hai di quella serata? Sei sempre in contatto con Metheny, pensate di realizzare qualcosa assieme, con le vostre due chitarre sarde preparate? Ti confesso di essere molto curioso su cosa Metheny ne possa ricavare …
P.A.: Pat ha utilizzato lo strumento su The way up in sovraincisione. Attualmente stiamo collaborando per sviluppare ulteriormente la tecnologia applicata alla chitarra sarda preparata. Probabilmene quest’anno inizierà ad utilizzarla in una sezione dei suoi live. Sul nostro concerto ho diversi ricordi…la scelta di impostarlo completamente libero, senza fare prove, ha generato dinamiche inaspettate. È stato un bel modo per coronare un incontro ricco di implicazioni emotive (a 16 anni suonavo tutti i suoi brani per ore!). Sul futuro lascio le evoluzioni al caso: la mia parabola artistica non è mai stata calcolatrice nell’impostare a tavolino le collaborazioni.
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