martedì 25 agosto 2009

Cos’è quella cosa chiamata tango? di Rubén Andrés Costanzo parte prima




“… il sapore del tango c’e, non si crea, non si fabbrica, si intuisce. E per questo il tango non è un’opera, né un uomo, né uno strumento -basi invariabili sulle quali si costruiscono le più assurde definizioni letterarie-; non è neanche una notazione musicale”1

Una coppia di ballerini impegnati in una danza passionale, erotica, con una coreografia complessa che sembra lottare contro il ritmo invece di farsi portare da lui, è questa l’immagine che un italiano o un europeo ha del tango. Indagando tra gli abitanti di Buenos Aires, scopriamo invece che la percezione del tango è come una corda invisibile che lega tutta la città, il tango evoca il proprio quartiere, gli amici del bar, la madre, un amore non corrisposto, la nostalgia del presente, rabbia. Una sola cosa e due percezioni che viaggiano in direzioni opposte. Non è facile definire con parole il tango e capita molto spesso che le parole non siano gli strumenti più adatti per definire una cosa ma sono indispensabili per descrivere la cosa.
Cosa fare allora? Circoscriviamo il tango dentro alcuni limiti. Geografico: il tango è un fenomeno nato di una fusione di diverse culture che si sviluppò nelle città di Montevideo in Uruguay e Buenos Aires in Argentina. Temporale: origine fine XIX secolo e primi anni del XX secolo, per alcuni etnomusicologi il tango nasce nelle ultime decadi del 1800 come l’imitazione di danze d’origine africane, gli imitatori erano immigranti europei che abitavano i quartieri poveri delle città menzionate, questo “nuovo” ballo non aveva musica propria e fu adottando e adattando diversi ritmi musicali presente in quella zona geografica, tra cui la milonga, l’habanera e persino la mazurca, alla fine dell‘800 esisteva anche un altro ritmo musicale proveniente dalla Spagna che si chiamava tango o tanguillo andaluz, molto di moda negli spettacoli teatrali rioplatensi2. Ci sono altre teorie e analisi musicali sull’origine del tango, indicherò una bibliografia di alcuni interessanti lavori sull’argomento, per chi desidera approfondire. Ora focalizziamo l’attenzione sul fenomeno tango a partire del 1897, anno della creazione del tango El Entrerriano, uno dei tanghi più antichi di cui si conosce l’autore: Rosendo Cayetano Mendizabal; scopriamo se esiste una “tanghità”, cioè un’essenza, che dia la medesima identità a El Entrerriano di Mendizabal e alla Suite Troileana di Astor Piazzola composta nel 1975, includendo tutti i tanghi composti fra queste due date da migliaia di musicisti.
La sfida è interessante: determinare se l’essenza di un fenomeno che attraversa 100 anni di storia, mutando forma a seconda delle circostanze storiche, delle mode e delle contaminazioni, continua ad essere la stessa o pure chiamiamo tango cose diverse.
Nell’introduzione segnalavo le differenti percezioni che hanno sul tango gli europei e i porteños3ma dentro alla società porteña, anche se la percezione del tango è la stessa, il dibattito sulla vera essenza del tango e aspro e antico come il tango.
Immaginate il tango come un fiume che nasce nelle alte montagne dall’apporto di ruscelli formati dallo scioglimento delle acque e poi, man mano che avanza verso il mare cambia forma, colore e misura. Il tango come sostiene Josè Gobello: “non è centrifugo come il jazz del quale si separano in maniera costante nuove specie musicali. È centripeto. Tutto attira verso di se. Tutto incorpora. Tutto ciò che mette nel suo corpo: lo ingerisce, digerisce e metabolizza”4. Di conseguenza, tutto ciò che rimane “fuori” anche se assomiglia non è tango.
Ma fuori da cosa? vi prego di scusare il campanilismo rioplatense nella risposta, l’essenza principale del tango non può essere altra che quella di rappresentare, spiegare, trasmettere e condividere il modo di essere degli abitanti di Montevideo e Buenos Aires. Il tango, come musica, nasce alla fine dell‘800 per dare all’abitante di Buenos Aires un ritmo adatto ai passi di una nova danza, che aveva bisogno di una musica con frasi melodiche corte e un’esecuzione ritmica veloce (i primi tanghi erano eseguiti in 2/4) per eseguire la sua frenetica coreografia, con la quale esaltare le capacità individuali e dimostrare chi era il boss di quell’universo che Borges chiamò “la setta del coltello e del coraggio5”, soddisfare questa necessità per il tango fu la sua prima essenza.
Non solo nei sobborghi di Buenos Aires e Montevideo le abitudini sociali cambiavano. Il mondo alla fine del ‘800 stava cambiando, le masse incominciavano ad avere un ruolo importante nelle scelte politiche, sociali e culturali, cambiavano le abitudini, le vecchie e caste danze dove uomini e donne si sfioravano appena, lasciavano spazio ai balli di coppia dove i ballerini si legavano in un abbraccio, l’esempio più rappresentativo: il valzer. Sotto questo vento di cambiamento e in un’Europa aperta a tutte le novità esotiche fa la sua apparizione il tango. Nel 1906 i cadetti della Fregata Sarmiento (nave scuola delle flotte navali argentine) nel loro viaggio annuale di circumnavigazione, lasciarono in ogni porto visitato spartiti del tango La Morocha, nel 1907 un gran magazzino di Buenos Aires, la Casa Gath & Chàvez, invita a Parigi il compositore e interprete Angel Villoldo, con Alfredo Gobbi e sua moglie Flora Hortensia Rodrìguez a registrare alcuni tanghi su disco. Villoldo farà ritorno a Buenos Aires nel 1908, mentre i coniugi Gobbi resteranno in Europa diffondendo il tango fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Questi sono dati che le cronache dell’epoca hanno documentato, ma con molta probabilità il tango ha avuto altri pionieri sconosciuti in Europa. Nel 1908 uno studio cinematografico londinese aveva messo a disposizione del pubblico un documentario dove maestri argentini insegnavano i primi passi del tango, fatto che dimostra il successo commerciale della nuova danza.
L’eco del successo del tango in Europa non tardò ad arrivare al Rio de la Plata, dove il tango danza non era ancora accettato come ballo di società in alcuni settori conservatori di Buenos Aires. Nel 1913 il Barone De Marchi spinto dal successo del tango in Europa, organizza una festa in un locale della città di Buenos Aires per “introdurre” il tango nell’alta società, mossa inutile secondo alcuni cultore del tango. Un giornalista dell’epoca, che scriveva con lo pseudonimo di Viejo Tanghero6, criticò l’evento replicando che la danza esibita in quell’occasione non fosse tango, ma una danza creata per uso e consumo degli europei e non il vero tango dei sobborghi di Buenos Aires. Per noi è molto difficile conoscere qual era il “vero tango” cui facesse riferimento il giornalista, perché il tango “folklorico” non è mai stato registrato, tranne che in alcune descrizioni non molto dettagliate. Da questa cronaca una cosa rimane: la sentenza del Viejo Tanguero: “Questo non è tango” che sarà una costante per identificare i grandi cambiamenti dentro del fenomeno tango. Ma dopo quest’europeizzazione del tango la sua essenza dov’era rimasta? Il fiume del tango seguiva il suo corso, a partire del 1910 la società rioplatense diventava più omogenea, i figli degli immigranti nati a Buenos Aires avevano voglia di lasciare le vecchie imitazioni e le sfide di danza che caratterizzavano i tempi passati e avevano bisogno di un tango diverso dove poter riflettersi dando spazio all’età d’oro della Guarda Vieja7.

la foto è di Pat Ferro

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