lunedì 11 giugno 2012

Recensione di Solstice di Ralph Towner. ECM 1975



English Translation

Ralph Towner è un grande. Grande in tutto: compositore, improvvisatore, polistrumentista, pianista, chitarrista, band leader. Basti solo pensare a quel gruppo mitico chiamato orengon che ha anticipato di almeno vent’anni la moda del crossover, un gruppo versatile, con una sonorità immediatamente riconoscibile, spaziava tra i generi, orientandosi prevalentemente su un folk-jazz melodico godibilissimo e maturo, infelicemente e sommariamente descritto da alcuni come "world music" e "new age", improvvisazioni libere e un gran lavoro di texture melodico-percussive. E la chitarra classica di Towner fu sempre una delle voci guida del gruppo, lasciando un'impronta indelebile sul sound collettivo, e regalando agli amanti della musica un contesto nuovo nel quale avvantaggiarsi dei suoni di una chitarra non elettrica.
L’attività di Towner non rimase però confinata all’interno degli Oregon, a partire dal 1972 cominciò ad incidere una serie di solchi per la ECM, casa discografica di Monaco di Baviera che all’epoca dette rifugio a vera e propria fucina di talenti.
"Solstice" del '74 è uno dei primi esempi di questa collaborazione (nonché uno dei migliori dischi in assoluto della sua vasta discografia), ed è perfetta rappresentazione dell'ormai spesso nominato ECM-stile, ovvero uno stile sonoro in cui spaziosità, timbro, dinamica, riverberi si fanno protagonisti.
In questo capitolo musicale della sua carriera Towner si fa accompagnare da altri ECM doc: Jan Garbarek, uno dei pochi (assieme a Wahyne Shorte e Lee Konitz) a proporre un suono del sax tenore lontano da John Coltrane, Eberhard Weber al violoncello e al contrabbasso dal suono pastoso e riverberato (una delle poche alternative al marchio di Jaco Pastorius) e il poliritmico batterista Jon Christensen già membro stabile del quartetto europeo di Keith Jarrett.
Le composizioni sono tutte di ottima qualità e di grande mood e atmosfera.  A partire dal primo brano "Oceanus", affascinante e di largo respiro, il surreale "Visitation?", e il fantastico groove da funky sghembo di "Piscean Dreams". La musica non si discosta in maniera radicale da quella proposta dagli Oregon, segno della cifra stilistica di Towner, mantenendo quel delicato equilibrio tra apparenti esotismi e deviazioni dalla linee e armonie tradizionali.
Un eccellente inizio per vuole cominciare ad approfondire la carriera di questo grande polistrumentista.


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