«Udire, come vedere, è immaginare; si tratta di un atto dello spirito»(1).
Questa frase, di Dujka Smoje, può riassumere e giustificare l’esperienza musicale di quella che è una delle figure più emblematiche dell’avanguardia musicale del dopoguerra, John Cage.
La sua opera presuppone una definizione di musica diversa da quella convenzionale, un altro senso della composizione che, ponendo interprete e pubblico sul piano del compositore, «è intesa come una dimostrazione della vita»(2).
Il musicista diviene sensibile alle vibrazioni dell’ambiente, di ogni suono di qualsiasi natura. Questo presuppone «la disponibilità, il distacco, il silenzio interiore, il vuoto», appunto un atto dello spirito. Questo tipo di concezione deriva dalla conoscenza da parte di Cage delle filosofie orientali come lo zen e il taoismo e diventa quindi una filosofia di vita prima che sperimentazione musicale, risultando effettivamente di difficile comprensione e accettazione se osservata secondo la concezione musicale tradizionale europea.
Presenterò qui brevemente un aspetto fondamentale della musica cageana: il silenzio, cui si può associare quello di alea. 4’33’’, forse il brano più conosciuto, è una composizione aleatoria in cui il silenzio fa da padrone: l’esecutore (originalmente un pianista) suddivide il tempo determinato dal titolo in tre movimenti nei quali l’unica indicazione data dal compositore è Tacet, letteralmente egli tace. Questo brano-simbolo mostra ciò che è evidente: né il silenzio né la musica in senso assoluto possono esistere. Il silenzio potenzialmente contiene tutti i suoni e tutti i rumori (che sono indifferenziati dai primi) ed è aperto a tutte le possibilità, divenendo indeterminato, aleatorio. Questa concezione deriva dalla filosofia zen, che come ho detto influenzò Cage, secondo la quale il silenzio (ku) va inteso come spazio in cui tutto avviene secondo la propria natura, sia nella realtà che nella mente umana: udire è immaginare. 4’33’’ vuole spostare quindi l’attenzione del pubblico sui suoni che esso stesso produce, insieme ai suoni imprevedibili, che determinano l’unicità di ogni esecuzione del brano. Per Cage, infatti, la reazione del pubblico di fronte ad un esecuzione, è parte integrante della stessa: la sua musica è una serie di eventi sonori legati tra loro da casualità e da un rapporto, mutante, di causa-effetto. Questa varietà di suoni rappresenta inoltre la realtà sonora che ci circonda quotidianamente secondo lo zen, che implica la consapevolezza del fluire degli eventi, anche quelli apparentemente più insignificanti.
I risultati udibili dell’azione sperimentale, per Cage, devono essere imprevedibili, anche per il compositore e l’interprete. Alla base di questo tipo di composizione sta la non-intenzionalità, la «mortificazione imposta a qualsiasi soggettività operante come fattore decisionale», che vale per tutte le parti coinvolte.
Considerando tutti questi aspetti dobbiamo ridefinire anche il concetto di silenzio, il cui risultato uditivo è imprevedibile, ma caratterizzato da una certa omogeneità di suono, sotto la quale si celano le differenze. Infatti, pur essendo differente ogni istante da quello immediatamente precedente o successivo, se si considera un lasso di tempo più o meno lungo, come i quattro minuti di 4’33’’, possiamo cogliere una certa omogeneità. Accettando questa definizione, possiamo affermare che anche brani come Organ²/ASLSP per organo, One12 per un lettore, Four6 per qualsiasi produttore di suoni, o anche Music for four per quartetto d’archi, possono considerarsi silenzio, in quanto caratterizzati da omogeneità di suono e in quanto portano il pubblico e l’interprete a concentrarsi sui più vari suoni della stessa natura di 4’33’’, che caratterizzano appunto il silenzio e sottolineano l’inserimento di qualsiasi realtà in un ambiente sonoro, che non si differenzia più dalla musica intesa come arte somma da proteggere dai rumori naturali o dai suoni provenienti dall’esterno rispetto al luogo di esecuzione – come la tradizione vuole fin da quando la produzione artistica musicale si è trasferita in ambienti chiusi, portando al disprezzo dei rumori e della musica di strada – ma si mischia con essi, includendoli nell’opera artistica.
«Il silenzio è sempre più perfetto della musica. Bisogna solo imparare ad ascoltarlo (…). Tutto è già pieno Noi non riusciamo neppure a immaginare quante cose ci siano nell’aria. (…) Le persone in generale non le vedono: non ascoltano tutto quanto si trova nel silenzio che ci circonda»(3)
Gianluca Cavallo
(1) Dujka Smoje, L’udibile e l’inudibile, in Le avanguardie musicali nel Novecento nella collana Enciclopedia della Musica, Einaudi, Milano, 2006, p. 187
(2) Cage in Dujka Smoje, L’udibile e l’inudibile, in Le avanguardie musicali nel Novecento nella collana Enciclopedia della Musica, Einaudi, Milano, 2006, p. 195
(3) Arvo Pärt in Dujka Smoje, L’udibile e l’inudibile, in Le avanguardie musicali nel Novecento nella collana Enciclopedia della Musica, Einaudi, Milano, 2006, p. 188
1 commento:
Ciao,
sono Gianluca. Vorrei segnalarvi il mio blog personale, sul quale ho messo un collegamento a questo:
http://giantobia.blogspot.com
Grazie per aver pubblicato il mio articolo.
Ciao
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