lunedì 31 dicembre 2007
Auguri di Buon 2008!
Permettetemi di cogliere questa occasione per ringraziarVi, tutti, tutti Voi. Voi che contribuite, scrivete o semplicemente leggete questo blog. Perchè mi avete, ci avete fatto tutti a tutti noi un grandissimo dono. Quando siamo partiti il 24 ottobre del 2007 l'idea del blog dedicato alla chitarra classica ci sembrava una ... piccola follia .. un sogno ... una semplice utopia.
E invece ... e invece ad oggi abbiamo totalizzato più di 2212 visite! Con una media di 1100 visite al mese! Con una media di 30 visite al giorno! Per un totale di oltre 3804 pagine e argomenti visitati e letti!
Sono cifre che mi lasciano .. sbalordito. Lo confesso, mai, neanche nei mie sogni più arditi avrei immaginato una simile risposta da parte Vostra. E' meraviglioso, meraviglioso!
Non posso far altro che umilmente e sinceramente ringraziarVi tutti e prometterVi che per il 2008 faremo tutto il possibile per rendere ancora di più questo blog utile e interessante, per farlo diventare un punto di riferimento per ogni appassionato di musica e di chitarra classica.
Tanti auguri e ... a rivederci nel 2008!
Norman Czabo
sabato 29 dicembre 2007
venerdì 28 dicembre 2007
Note su "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" di Benjamin di Walter Falciatore parte prima
Norman Czabo
L’arte e la tecnica, la percezione estetica, la funzione politica dell’arte, più esattamente la politicizzazione dell’arte per combattere l’estetizzazione della politica. Per molti versi si tratta di temi irrimediabilmente invecchiati quando li si osservi come circoscritti all’epoca storica a cui si riferiscono, strumenti di una battaglia allora attuale tra le due avanguardie contrapposte, quella aristocratica del fascismo e quella rivoluzionaria del comunismo. Marinetti contro Brecht, per intenderci, futurismo contro realismo socialista, scontro tra fazioni apertamente contrapposte, scontro di guerra che prevede chiare la vittoria e la sconfitta. E invece così non è stato, da quel conflitto quale debba essere la la funzione sociale della attività artistica non è emerso in modo più chiaro, ma è certo che la fiducia in un’arte il cui agire e significato si tramuti in azione sociale è nozione che ha perduto gran parte del suo significato, inversamente sembra piuttosto che l’altro aspetto, quello dell’estetizzazione o del trasferimento dell’estetica nella vita e nella sua dimensione politica abbia finito per caratterizzare l’epoca contemporanea e che i processi che Benjamin aveva anticipato siano andati in buona misura verificandosi in quell’arte di massa che egli fu tra i primi ad analizzare. E’ a tale aspetto della sua riflessione, ancora attualissimo , che faremo riferimento in questo articolo che apre la nuova serie di contributi sull’estetica e la società del nostro Caffè.
La riproducibilità, secondo Benjamin, distruggerebbe quella che egli definisce “l’aura” dell’opera d’arte. Egli la concepisce come qualcosa di irripetibile che era presente nelle opere antiche, un qualcosa di originario che ne garantiva l’autenticità, proveniente da manipolazioni tecniche che gli dovevano apparire ogni volta uniche e non totalmente imitabili e dal fatto che l’espositività dell’opera, quella che oggi si chiamerebbe la sua fruizione, era limitata a pochi, non percepita come oggi da ognuno e ovunque, come accade per ogni immagine che sia realizzata in serie.
Per chiarezza Benjamin cita ad esempio il simulacro che riposava nascosto nella cella dei templi, che pur visibile per il solo sacerdote possedeva integro il suo valore per tutta la comunità.
La tecnica della riproduzione, afferma Benjamin, sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione e la crisi della tradizione è necessaria alla democratizzazione della massa (per i tempi a cui risale lo scritto diremo anche ai movimenti di massa). Agente esemplare di questo fenomeno è il cinema. Per Benjamin il cinema non impone il raccoglimento nell’attenzione estetica, una esigenza che egli ritiene specifica dell’arte tradizionale perché legata al rituale, ma invita ad una sorta di partecipazione che si potrebbe definire, come egli fa, una attitudine alla ricezione sospesa o all’esaminare distratto (oggi si direbbe “effetto subliminale”) che nel contempo sembra poter consentire una maggiore identità dello spettatore con l’opera e, in particolare , l’accesso a quel nuovo modo di percepire la realtà che prima la fotografia e che poi la fotografia in movimento hanno inaugurato presso la grande massa del pubblico. Così il cinema sarebbe diventato lo strumento privilegiato della diffusione della cultura politica democratica tra le masse, ammesso che a utilizzarne le potenzialità fossero forze democratiche anziché oscurantiste. Benjamin si riferiva alle caratteristiche nuove e specifiche della tecnica cinematografica che, come si è visto, fu manipolata con non minore efficacia dai nazionalsocialisti che dai compagni di strada dello stesso autore, anzi, sarà proprio nella Germania dell’epoca che l’arte del film conoscerà le basi delle sue metodologie future.
Le osservazioni di Benjamin sulle peculiarità della tecnica cinematografica sono in effetti illuminanti e vertono sostanzialmente su due aspetti che contribuirebbero a mutare la risposta percettiva dello spettatore nei confronti dell’opera: si tratta naturalmente della illusione di realtà generata attraverso il movimento dalla serie di fotogrammi giustapposti nel montaggio (che Benjamin definisce una “natura di secondo grado”) e la particolare conoscenza empatica che la capacità di indagine della macchina da presa consente attraverso primi piani , ralenti, l’acuta oggettivazione del dettaglio e in genere gli artifici tecnici propri del mezzo, i quali permettono allo spettatore di “entrare “ nella realtà stessa della immagine filmata come a farne parte. A corollario di questa analisi Benjamin osserva, ed è una profonda osservazione, che tutto ciò produce un interscambio tra il film, opera d’arte, e lo spettatore, di un genere che mai prima era avvenuto nella storia della percezione e della società. E’ una questione di distanza: mediante la tecnica cinematografica l’arte perde tutta la sua ieraticità, la sua “aura”,filtrata attraverso il realismo del film,si ravvicina allo spettatore e diviene materialità, fenomeno autenticamente democratico. Similmente egli ritiene debba accadere in letteratura, come in effetti accadrà, quando prevede che nel futuro tenderà a scomparire la tradizionale distanza che separava chi scrive da chi legge e scorge l’origine del processo anche qui di scambio reciproco nell’ abitudine che andava allora diffondendosi di manifestare il proprio pensiero non professionale per mezzo delle lettere al direttore dei quotidiani.
(..segue..)
Walter Falciatore
http://www.kore.it/CAFFE/caffe.htm
giovedì 27 dicembre 2007
Registrato il suono del Dna, la 'musica della vita' si Empedocle70
"Il nostro genoma - spiega - è fatto da una miriade di anse, di ripiegamenti che non hanno solo la funzione di 'impacchettare' i circa due metri della molecola del Dna in poche decine di millesimi di millimetro di diametro del nucleo. Per molto tempo - aggiunge - si è pensato che queste anse servissero a guadagnare spazio, ma oggi sappiamo che, pur facendo parte del cosiddetto Dna 'spazzatura', cioè che non codifica alcuna proteina, hanno una precisa funzione di 'architettura'''.
"I ripiegamenti del Dna - afferma l'esperto - sono dinamici nell'assemblarsi e nel disassemblarsi e questo loro muoversi in continuazione viene trasmesso a strutture del citoscheletro fino a creare una vibrazione sulla superficie della cellula.
Questa vibrazione è compresa nell'arco di frequenze udibili dall'orecchio umano: dunque, non abbiamo fatto altro che sviluppare un approccio in grado di rilevare questi suoni. E quello che emerge è che questi rumori sono in qualche modo 'specifici' per quello che la cellula sta facendo in termini di espressione di geni, in quel momento".
In futuro i ricercatori mirano a capire se il 'suono' può indirizzare le cellule e far comprendere loro cosa fare. In pratica, con il suono giusto si potrebbero impartire precisi ordini. "Bisognerà capire - conclude Ventura - se a differenziamenti specifici corrispondano frequenze sonore specifiche. Qualora fosse così, solo in un secondo momento si potrà vedere se, facendo ascoltare alla cellula questi suoni, la si potrà trasformare in quello che vogliamo".
Empedocle70
mercoledì 26 dicembre 2007
Su Giullaresque ed altro: musica modale (e neo-modale) di Fausto Bottai - parte seconda
(..segue..)
Fausto Bottai
Puntate precedenti:
parte prima: http://chitarraedintorni.blogspot.com/2007/12/su-giullaresque-ed-altro-musica-modale.html
lunedì 24 dicembre 2007
sabato 22 dicembre 2007
venerdì 21 dicembre 2007
Radiohead ... no more download ...
E non finisce qui. In una intervista rilasciata al New York Times, il manager della band Chris Hufford mette le cose in chiaro: "Questa storia (il download libero di In Rainbows, ndR) era la soluzione ad una serie di questioni: dubito che funzionerebbe di nuovo in futuro". Vale a dire che la prossima volta il disco dei Radiohead potrebbe di nuovo venire distribuito soltanto su CD e persino, forse, attraverso una major.
Il perché di questa apparente retromarcia non è del tutto chiaro: i più maliziosi sostengono si tratti della conseguenza dello scarso successo economico dell'iniziativa, i ricavi infatti potrebbero non essere stati stellari, o comunque all'altezza delle aspettative. Oppure, smaltito l'effetto pubblicitario della trovata, ora i Radiohead potrebbero concentrarsi nel raccogliere quanto hanno seminato attraverso la vendita dei biglietti per i concerti e dei loro CD nei negozi.
Tutte comunque semplici ipotesi: nessuno conosce i guadagni effettivi ottenuti da In Rainbows in questi 2 mesi, né è possibile stabilire in anticipo se e quanto venderà l'album attraverso i canali cosiddetti tradizionali. Nel frattempo la band avrebbe iniziato le trattative per portare le sue canzoni su iTunes Store, una eventualità quantomeno remota fino a qualche tempo fa, vista la pretesa di Yorke e compagni di impedire la vendita dei singoli brani per non snaturare il messaggio complessivo dei loro album.
Empedocle70
giovedì 20 dicembre 2007
mercoledì 19 dicembre 2007
Su Giullaresque ed altro: musica modale (e neo-modale) di Fausto Bottai parte prima
Piccola digressione: come si sa, il richiamo ad elementi culturali arcaici (o esotici) rappresenta una costante nella storia della musica contemporanea (ma potremmo dire moderna, procedendo a ritroso, almeno fino all'epoca in cui il sistema armonico tradizionale entrava in crisi e nasceva, o rinasceva, l'interesse per tutte quelle forme musicali che mal si adattavano ad essere irreggimentate nelle strutture tipiche del tonalismo). Elemento fondamentale della musica popolare, infatti, è la sua estraneità, il suo 'essere altro' rispetto alla musica colta e alla sua storia (soprattutto se prendiamo come riferimento in modo specifico il periodo classico sette-ottocentesco). In parte, infatti, le strutture scalari e modali della musica popolare europea rimandano all'antico modalismo greco-ecclesiastico, in parte a strutture autonome che non hanno riscontri nella musica colta. In ogni caso, che si tratti del principio modale greco-ecclesiastico o di quel che ne è sopravvissuto nelle sedimentazioni del canto popolare o di qualunque altro fattore, sta di fatto che il c.d. 'uso del popolare' ha agito potentemente, nel dissolvimento della sensibilità tonale, verso una "reintepretazione dei fondamenti del linguaggio musicale" nel corso del XIX e soprattutto del XX secolo. Centrale, in questo contesto, è l'analisi delle modalità con cui tanti compositori e/o musicologi si dedicano, nell'ambito delle loro ricerche sul canto popolare, alle 'armonizzazioni' dei brani che vengono raccogliendo e catalogando. Si tratta, a parte i brani di impianto squisitamente 'maggiore', di operazioni dove le successioni accordali funzionali tipiche dell'armonia tonale 'classica' non sono praticabili, neanche con tutte le eccezioni che il tonalismo pure prevede per il modo minore. Inevitabile conseguenza di una situazione in cui si sovrappongono linguaggi che obbediscono a leggi differenti e che cercano una difficile convivenza. Nell'ambito della musica celtica, per esempio, è facile individuare la permanenza di strutture modali arcaiche (dorico, eolico, ma anche misolidio), in cui l'uso dell'alterazione ascendente del settimo grado rappresenterebbe con ogni evidenza un tradimento del carattere rigorosamente diatonico del modo: in questi casi l'accordo sul quinto grado, che sarebbe minore, viene per lo più sostituito dall'accordo maggiore sul settimo. E si tratta, per usare un linguaggio tipico dell'analisi dei sistemi post-tonali, di un 'aggregato che ha un effetto di stabilità' pur non appartenendo alla successione canonica dominante-tonica. Ma l'uso abituale di queste successioni non canoniche, accompagnato spesso da andamenti melodici tonalmente ambigui e contraddittori, magari caratterizzati da passaggi di tonalità non determinati da vere e proprie modulazioni, etc. etc. tutto questo in definitiva rimette in discussione dalle fondamenta l'intera impalcatura del sistema tonale.
Fausto Bottai
martedì 18 dicembre 2007
Spidart, l'etichetta musicale diventa sociale
Sull’onda di quanto avvenuto negli Stati Uniti con SellaBand, un modello di social network esplicitamente creato per piccoli gruppi di musicisti emergenti che finanzia in media un artista al mese, l’etichetta partecipata “made in France” sta prendendo piede rivoluzionando il mondo della produzione musicale verso prospettive di etichetta partecipata.
Il funzionamento della piattaforma è molto semplice e basato sul principio che la notorietà nel mondo in rete si raggiunge in maniera democratica e dal basso in base all’indice di gradimento del pubblico. Partorito dalla mente creativa di 6 giovani amici il progetto permette ai musicisti in erba di condividere sul sito 3 brani di propria produzione in Mp3.
Chiunque ascolti i pezzi potrà scommettere 10 Euro e, una volta raggiunta la soglia dei 50 mila Euro, l’etichetta virtuale produrrà l’intero album per il gruppo esordiente. Stando a quanto riferito da uno dei fondatori, Nicolas Claramond, in un solo mese la società avrebbe ricevuto 12.000 euro e 5 artisti avrebbero già raggiunto quota 1.000 euro. A differenza di quanto successo oltre Oceano con Sellaband però, i proventi raccolti vengono tripartiti tra l’artista (35%), i fan (35%) e il gestore (30%)
Empedocle70
lunedì 17 dicembre 2007
Jacopo da Montaio, virtual pieces for piano and harp
Ora, non voglio certo addentrarmi in lunghe e forse noiose considerazioni.. Basti qui ribadire come l'avvento dell'elettronica in ambito musicale abbia determinato una situazione del tutto inedita e per molti versi paradossale: il compositore, ma anche l' 'esecutore' di un brano, può permettersi il lusso di non saper suonare alcuno strumento musicale secondo una delle tecniche tradizionali, o anche semplicemente di non averne voglia. Egli ha infatti a disposizione una gamma immensa di suoni, senza essere più condizionato dai limiti fisici, meccanici degli strumenti acustici, neanche nel caso di una diretta discendenza, tramite campionamento, di quei suoni da quegli strumenti. Questo tendenziale 'divorzio' fra suono e strumento è stato salutato addirittura come l'alba di una nuova era, nel corso di una di quelle ubriacature ideologiche che accompagnano spesso la storia delle avanguardie (musicali, ma, direi, più in generale, artistiche). Comunque, eccessi ideologici a parte, quel 'divorzio' è un dato di fatto e buona parte della produzione musicale dei nostri tempo non può prescinderne.
Mi fermo qui, perché il discorso ci porterebbe troppo lontano, anche e soprattutto considerando l'occasione che mi ha indotto a questi rapidi cenni: in fondo intendo solo presentare due esempi di 'computer music' che non hanno, non vogliono avere nessun intento 'eversivo', avveniristico..
Due brani 'tradizionali' (Dowland, Debussy) in midi file, cui ho più o meno arbitrariamente attribuito i suoni campionati di due strumenti altrettanto 'tradizionali' (pianoforte, arpa).
http://it.geocities.com/empedocle70/arabesque.mp3
http://it.geocities.com/empedocle70/melancholygalliard.mp3
E' poco più di un gioco, reso possibile, appunto, dall'elettronica applicata alla musica... Riprenderemo magari in altra occasione discussioni più impegnative...
Jacopo da Montaio
domenica 16 dicembre 2007
sabato 15 dicembre 2007
venerdì 14 dicembre 2007
Vincitori e Giuria dei Premi Concorsi Francesco Jalenti
I nostri complimenti ai vincitori e all'organizzazione del Concorso
Norman Czabo
Risultati del I concorso di esecuzione chitarristica “Francesco Jalenti”
di Roberto Fabbri
Risultati del I concorso di esecuzione chitarristica “Francesco Jalenti”
Importante affluenza di partecipanti e di pubblico per la prima edizione del “Concorso di esecuzione chitarristica "Francesco Jalenti”, tenutasi a Terni il 24 novembre 2007 presso l'Istituto superiore di Studi musicali 'G. Briccialdi'.La competizione ha visto la partecipazione di una ventina di chitarristi provenienti da tutte le parti d’Italia. La commissione giudicatrice, formata da Mario Jalenti (Presidente), Angelo Barricelli, Marco Cianchi, Roberto Fabbri e Elisabetta Mattera al termine delle audizioni ha assegnato i seguenti premi: per le Cat. I e II rispettivamente a
- Federico Comito I assoluto con punti (99/100), di 12 anni, proveniente da Roma;
- Francesco Dominici Braccini I assoluto con punti (100/100), di 14 anni proveniente da Fiumicino a quest’ultimo è andata in premio la chitarra Guitarreros offerta dalla Carisch.
Per la terza categoria, senza limiti di età, Sara d'Ippolito, di 19 anni proveniente da Lamezia Terme ha vinto il primo premio e la chitarra Ramirez messa in palio dalla Carisch nonché la possibilità di esibirsi in concerto nella prossima Stagione concertistica dell’Istituto Briccialdi di Terni, il secondo premio è andato a Gianmario Troiani, di 25 anni di Terni ed infine il terzo a Marco Bartoli, di 23 anni proveniente da Spoleto.
Tutti i vincitori hanno anche vinto un abbonamento per un anno alla rivista Chitarre e a tutti i partecipanti sono state consegnate mute di corde La Bella, pubblicazioni di Roberto Fabbri edite dalla Carisch e la rivista Seicorde. La prossima edizione ci sarà fra due anni, perché il concorso chitarristico si alternerà all’ormai storico concorso pianistico Casagrande, che ha appunto cadenza biennale.
Roberto Fabbri
giovedì 13 dicembre 2007
Vincitori e Giuria dei Premi Concorsi Francesco Jalenti
I nostri complimenti ai vincitori e all'organizzazione dei concorsi.
Norman Czabo
Risultati Concorso di Composizione Francesc Jalenti 27 ottobre 2003
di Roberto Fabbri
Risultati Concorso di Composizione Francesco Jalenti 2007-10-2003
Il 27 ottobre scorso, presso l’Istituto Musicale Pareggiato Giulio Briccialdi di Terni, si sono svolti i lavori del primo concorso di composizione chitarristica Francesco Jalenti, dedicato alla figura del giovane chitarrista compositore ternano.
Questo concorso si pone l’obiettivo di dare la possibilità alle nuove leve di chitarristi-compositori di veder pubblicate ed eseguite, in ambiti anche Istituzionali, le proprie opere.
Il concorso era diviso in tre categorie: la prima per composizioni solistiche, la seconda per ensamble di chitarre, la terza per musica da camera con chitarra.
A tutti i vincitori di ciascuna categoria veniva assicurata la pubblicazione della composizione in gara. Per la prima categoria la pubblicazione sarebbe stata ad opera della Carisch con distribuzione internazionale all’interno di un antologia di grande tiratura, per le altre due composizioni le pubblicazioni sarebbero state curate dalla casa editrice romana EROM.
Tutti i brani sarebbero poi stati eseguiti nell’ambito delle manifestazioni musicali dell’Istituto Briccialdi di Terni nonché usati come eventuali futuri pezzi d’obbligo dell’omonimo concorso di esecuzione chitarristica Francesco Jalenti.
La giuria era composta da: Presidente Pierluigi Arcangeli (musicologo, Direttore dell’Istituto Musicale Pareggiato “Briccialdi” di Terni), commissari: Marco Gatti (docente di Composizione dell’Istituto Musicale Pareggiato “Briccialdi” di Terni), Fabio Maestri (docente Direzione d’orchestra dell’Istituto Musicale Pareggiato “Briccialdi” di Terni), i chitarristi Carlo Carfagna, Mario Jalenti, Francesco Taranto (EROM) e Roberto Fabbri (Carisch).
Dopo l’apertura delle buste contenenti i motti, presa visione delle composizioni pervenute la giuria ha deciso che, sebbene il concorso fosse alla prima edizione, i brani della categoria “A” non risultassero qualitativamente idonei ad una pubblicazione editoriale di livello internazionale, così come previsto dal bando. Si è deciso pertanto di non assegnare alcun premio per la categoria “A” (composizione per chitarra sola). Ad avvenuto esame delle composizioni della cat. “B” (composizioni da due a quattro chitarre) si è invece ritenuta idonea all’assegnazione del premio la composizione dal titolo “96 HP” (motto: I topi non hanno nipoti), il cui autore è Paolo Saltalippi di Assisi. Si tratta di una composizione molto originale, che usa numerosi effetti chitarristici, come ad esempio i glissati, per ricostruire i “rumori” di un viaggio in motocicletta. Per la categoria “C” l’unica composizione pervenuta (Un pezzo per chitarra e orchestra) non è stata ritenuta idonea alla pubblicazione ed alla sua esecuzione con l’orchestra dell’Istituto Briccaldi di Terni.
Pertanto la composizione vincitrice “96 HP” di Paolo Saltalippi, verrà pubblicata dalla casa editrice EROM ed eseguita nell’ambito delle manifestazioni musicali in programmazione dall’Istituto Briccialdi per il prossimo anno. Anche se il concorso di composizione, nonostante la grande affluenza di brani pervenuti, ha laureato solamente la splendida composizione per quattro chitarre di Paolo Saltalippi, io ho pensato di proporre sulla nostra rivista un brano più “leggero” ma secondo me delicato e molto piacevole di Nicola Albano. Questa composizione non avendo un grande sviluppo ed essendo anche breve non si è potuta “laureare” al nostro concorso ma ritengo sia interessante e piacevole da suonare per voi lettori di Chitarre. Dal prossimo numero continueremo a pubblicare brani inediti di chitaristi compositori che verranno fatti pervenire alla nostra rivista, dopo averli naturalmente selezionati. Non si tratta di un concorso, ma è solamente un occasione in più per conoscervi e far conoscere cosa compongono i nostri lettori.
Roberto Fabbri
mercoledì 12 dicembre 2007
Gibson Robot Guitar: si accorda da sola.
Questa "meraviglia" della tecnologia (scusate la nota ironica) è diponibile nei 400 negozi concessionari Gibson sparsi in tutto il mondo da venerdì 7 dicembre ma la prima serie sarà in edizione limitata: solo dieci pezzi per negozio, al prezzo di 2.499 dollari (circa 1.700 euro).
martedì 11 dicembre 2007
Fauvel: 'Tristano', il 'romanzo multiplo' di Nanni Balestrini
http://www.deriveapprodi.org/estesa.php?id=332&stato=novita
Per la verità, come dice lo stesso autore nell’intervista pubblicata da Repubblica il 28-11, non si tratta di una ‘novità’ assoluta: la storia del ‘Tristano’ comincia infatti nei primi anni ’60, durante la stagione della c.d. neoavanguardia, di cui Balestrini era autorevole esponente. ‘Con l’elettronica diventava possibile costruire un romanzo fatto di tante varianti: ‘Tristano’ doveva essere un’opera in numero indefinito di libri dove le frasi si ricombinavano, ma il problema era di come stamparlo… Oggi esiste una nuova macchina che può stampare, senza fermarsi, tutte le copie che si desiderano, una diversa dall’altra. Così ho programmato 2500 versioni diverse del testo..’.
Naturalmente, avendo appena pubblicato sul blog l’articolo di Paolo Albani in cui si parla di OULIPO, viene spontaneo ricordare i ‘Cent Mille Milliards de Poémes’ di R. Queneau, definiti dall’autore ‘una macchina per fabbricare poesie’, che si ispira evidentemente agli stessi principi. Fra l’altro, quest’opera, a differenza del romanzo di Balestrini, fu integralmente stampata (ed.Gallimard) grazie ad un espediente reso possibile dalla particolare struttura del testo poetico. Si tratta infatti di un sonetto, quindi di una poesia composta da 14 versi per ciascuno dei quali esistono 10 varianti liberamente interscambiabili: ciascuno di questi 14 versi con le relative varianti fu stampato su una striscia di carta. Naturalmente, però, anche in questo caso un moderno pc rende possibile il gioco combinatorio in modo molto più facile e veloce:
http://www.parole.tv/cento.asp
Non diversa la sorte del ‘Musikalisches Würfelspiel’ il ‘gioco per comporre musica con i dadi’ attribuito, forse arbitrariamente, a Mozart, ma che comunque risale alla sua epoca. Il funzionamento prevedeva ‘l’utilizzo di un paio di dadi e di apposite tabelle, contenente una certa quantità di battute musicali, ciascuna abbinata ad un numero d’ordine. Tali battute, ancorché sistemate dall’autore in ordine sparso, rispondono tuttavia ad uno schema armonico che, grazie al lancio dei dadi, puntualmente si ricostituisce..’, consentendo ‘una serie di risultai sonori pressoché inesauribile’. Ecco cosa avviene trasferendo le regole di questo gioco su un programma per pc:
http://sunsite.univie.ac.at/Mozart/dice/
Un’ulteriore conferma del fatto che Borges, scrivendo il suo 'Tlon, Uqbar, Orbis Tertius' , aveva ragione?
Fauvel
lunedì 10 dicembre 2007
5th Moisycos International Guitar Competition
5th Moisycos International Guitar Competition Aprilia (LT)
6/8 giugno 2008
Montepremi: Tournee di concerti (Italia, Russia, Giappone, Thailandia), una chitarra da concerto (Imai), 500 euro, spartiti Edizioni Suvini Zerboni e Homa Dream, sets di corde Savarez, CD dal catologo Moisycos.
Regolamento
Luogo: Istituto Interculturale Moisycos - via dei Villini, 17, Aprilia (LT)
Giorni: 6, 7, 8 giugno 2008
Partecipanti: La partecipazione e' aperta a tutti i chitarristi, senza limite d'eta'.
Termine delle iscrizioni: 15 maggio 2008.
Tassa d'iscrizione: 70 euro
Versamento: La tassa d'iscrizione al Concorso Internazionale di Chitarra dovra' essere versata a: Istituto Interculturale Moisycos,
c/c 1063612, presso Banca Popolare di Aprilia, p.zza Roma snc, 04011 Aprilia (LT),
CIN B, ABI 05414, CAB 73920, IBAN IT81B0541473920000001063612,
entro il 15 maggio 2008.
Tale versamento non sara' rimborsabile in nessun caso.
Iscrizioni:La scheda d'iscrizione deve essere compilata in ogni sua parte e spedita a: Istituto Interculturale Moisycos, 5th Moisycos International Guitar Competition, via dei Villini, 17, 04011 - Aprilia (LT) entro e non oltre il 15 maggio 2008. Fara' fede il timbro postale.
L'iscrizione puo' anche essere effettuata tramite la Home Page di Moisycos.
http://www.moisycos.jp/mi21.html
Premi
Primo classificato: Diploma di primo classificato Tournee di concerti in Italia, Russia, Giappone e Thailandia Una chitarra da concerto Imai 500 euro in denaro da Edizioni Suvini Zerboni 24 set di corde Savarez Spartiti delle edizioni Homa Dream
Secondo classificato: Diploma di secondo classificato CD dal catalogo Moisycos 24 set di corde Savarez Spartiti delle Edizioni Suvini Zerboni Spartiti delle edizioni Homa Dream
Terzo classificato: Diploma di terzo classificato CD dal catalogo Moisycos 24 set di corde Savarez Spartiti delle Edizioni Suvini ZerboniS partiti delle edizioni Homa Dream
Programma
Eliminatoria - 6 giugno 2008
A) un programma a libera scelta della durata massima di 15 minuti.
Semifinale - 7 giugno 2008
A) un programma a libera scelta della durata massima di 30 minuti con musiche di M. Giuliani, F. Sor, F. Tarrega, A. Barrios (uno o piu' compositori).
Finale - 8 giugno 2008
A) J.S. Bach: una Suite a scelta tra BWV995, BWV 996, BWV997, BWV1006a
B) un programma a libera scelta della durata massima di 30 minuti.
Programma a libera scelta: I brani del programma a libera scelta devono essere tutti originali per chitarra e devono essere indicati sulla scheda d'iscrizione. Sono accettate solo le trascrizioni dal liuto, viuhela o strumenti simili.I brani suonati in una sezione non potranno essere ripetuti nelle sezioni successive.L'ordine di esecuzione e' a libero giudizio del concorrente.La durata del programma a libera scelta e' riferita al solo tempo di esecuzione ed e' tassativa. I concorrenti che supereranno tale minutaggio saranno esclusi dalla valutazione della giuria.I brani indicati nella scheda d'iscrizione non potranno essere cambiati.
Giuria: La giuria sara' composta da Maestri di chitarra di chiara fama e verra' resa nota due settimane prima del Concorso.
Il giudizio espresso dalla Giuria e' inappellabile.
Il 5th Moisycos International Guitar Competition (prove eliminatorie, semifinale, finale e cerimonia di premiazione) potra' essere registrato dall'Istituto Interculturale Moisycos su supporto video/audio.
I partecipanti al 5th Moisycos International Guitar Competition rinunciano fin d'ora ed in via definitiva ad ogni diritto che possa derivare loro dalla distribuzione delle registrazioni video/audio, dalla diffusione radiotelevisiva o telematica, riconoscendo che ogni diritto sul suddetto materiale appartiene in via esclusiva all'organizzazione che potra' utilizzarlo in ogni forma e modo.
La compilazione della scheda ed il suo invio implica l'accettazione incondizionata di tutte le norme stabilite dal presente bando.
Informazioni:Istituto Interculturale Moisycos, via dei Villini, 17 - 04011 Aprilia (LT).tel. 349.13.16.093, fax 06.92.57.397
moisycos@libero.it
sabato 8 dicembre 2007
E' morto il compositore tedesco Karlheinz Stockhausen
Nato a Kerpen-Moedrath nel 1928, Stockhausen e' stato uno dei piu' significativi musicisti del XX secolo, spaziando dalla dodecafonia alla musica elettronica.
Stockhausen dal 1947 al 1951 ha studiato pedagogia della musica e pianoforte alla Musikhochschule (conservatorio) di Colonia e scienza della musica, germanistica e filosofia all'università di Colonia. Dal 1950 compone non solo creando nuove forme di musica ma anche inserendo nuovi segni innovativi nel campo della notazione musicale. Come docente universitario ed autore di numerose pubblicazioni sulla teoria della musica, attraverso le sue attività per la radio e grazie a più di 300 proprie composizioni che spesso hanno modificato il confine di quello che era considerato tecnicamente possibile, ha partecipato in modo significativo a modificare la musica del 20° secolo.
Negli anni 50 è stato sposato con Doris Andrae con la quale ha avuto un figlio, il trombettista Markus Stockhausen. Negli anni 60 è stato sposato con l'artista Mary Bauermeister con la quale ha avuto un figlio, il compositore Simon Stockhausen.
Mentre le sue prime composizioni come per esempio "Doris" sono più tradizionali negli anni 50 Stockhausen si volta verso la musica seriale (per esempio "Kreuzspiel" o "Formel"). È considerato in modo particolare uno dei fondatori della cosiddetta musica puntuale. Ispirato da "Mode de Valeur et d'intensités" (1952) di Olivier Messiaen, partecipa ai suoi corsi di analisi musicale e composizione presso il Conservatorio Superiore di Parigi.
Tra il 1953 ed il 1998 ha collaborato strettamente con lo "studio per la musica elettronica" della radio Westdeutscher Rundfunk per qualche tempo anche come direttore artistico e si è dedicato di più alla musica elettro-acustica. In questo studio di Colonia ha realizzato nel 1955 la sua opera centrale "Gesang der Jünglinge" (canto dei fanciulli) ponendo un nuovo obiettivo nel campo della musica spaziale.
D'ora in avanti segue attività nazionale ed internazionale come docente. Conduce per molti anni i "corsi colonesi per la musica nuova". È l'attrazione principale durante l'Esposizione Mondiale del 1970 ad Osaka con le sue composizioni nel padiglione tedesco. Dal 1971 al 1977 Karlheinz Stockhausen è professore per composizione al conservatorio di Colonia. Da quel momento si concentra anche sulla conclusione di una delle opere liriche più voluminose della storia della musica con il titolo "Licht" (luce) che è praticamente finita. In quest'opera come anche in altre opere teatrali (per esempio "Inori" del 1973) Stockhausen cerca di collegare l'idea scenica con quella musicale in un'unità indivisibile.
venerdì 7 dicembre 2007
Paco De Lucia a Catania il 17 dicembre
Con lui sul palco ci saranno anche Chonchi Heredia (voce e palmas), Montse Cortes (voce e palmas), Domingo Patricio (flauto), Nino Josele (chitarra), El Piraña (percussioni), Alain Perez (basso).
De Lucia e la sua cangiante chitarra raccontano da decenni la colorita epopea del flamenco e le sue propaggini nell’arte popolare. Un artista e compositore dalle solide radici nella sua terra e nelle sue tradizioni, ma con un gusto sempre attuale e un’arguzia sottile nell’agganciare i ritmi del jazz, le suggestioni della musica classica, i cascami ora pop ora funky.
Paco de Lucía, il cui vero nome è Francisco Sánchez Gómez, nasce ad Algeciras, in provincia di Cadice in Andalusia (Spagna). Inizia a suonare la chitarra all'età di cinque anni spinto dal padre (anche lui chitarrista di flamenco) che teneva al fatto che i propri figli avessero una buona educazione musicale.
Da allora in poi ha sempre frequentato ambienti dove si suonava quel genere musicale. Gli artisti che lo hanno ispirato e influenzato maggiormente furono Niño Ricardo, Miguel Borrull, Mario Escudero e Sabicas.
All'età di soli 11 anni abbandona la scuola per dedicarsi completamente alla chitarra e si esibisce per la prima volta in pubblico, ospite di una radio locale, Radio Algecíras. Tre anni dopo insieme al fratello Pepe, forma il duetto Los Chiquitos de Algecíras che gli fa vincere addirittura un premio speciale dalla giuria.
Nel 1962 si trasferisce a Madrid con la famiglia e poi parte per gli Stati Uniti per il suo primo tour. Dopo il periodo dei primi concerti, nel 1965 avvia una serie di collaborazioni musicali con vari artisti: il fratello Ramon de Algeciras, Ricardo Modrego e A. Fernández Díaz Fosforito con il quale incide la "Seleccion Antologica del Cante Flamenco". Nel 1966 parte di nuovo in tour e l'anno seguente incide il suo primo album da solista "La fabulosa guitarra" de Paco de Lucía.
Nel 1968 avviene l'incontro con Camarón de la Isla con il quale inciderà ben 12 album. In questi anni farà una lunga serie di concerti, arrivando persino a suonare al Teatro Real di Madrid, dove fino ad allora non si era mai esibito nessun chitarrista di flamenco. Il 1977 è un anno molto importante per Paco: si sposa con Casilda Varela e nello stesso anno conoscerà alcuni personaggi molto importanti per la sua carriera artistica, Al Di Meola, John McLaughlin, Larry Coryell ed infine Carlos Santana.
Quello degli anni settanta è un periodo molto florido per quanto riguarda le incisioni. Tra queste sono sicuramente da ricordare "Fantasia Flamenca" del 1969, "Fuente y Caudal" del 1973 (album che contiene la celebre canzone Entre Dos Aguas) e Paco de Lucía interpreta a Manuel de Falla del 1978.
Nel 1981 fonda il famoso Sestetto insieme ad i fratelli, con il quale farà una serie di concerti in tutto il mondo e nel 1984 rilasceranno l'album "Live... One Summer Night". Dal 1986 fino al 1991 tornerà alla carriera solista, per poi riprendere ad incidere un altro album con il sestetto (nel 1993). Nel 1996 si riunisce dopo 13 anni con John McLaughlin e Al Di Meola con i quali inciderà "The Guitar Trio".
Norman Czabo
giovedì 6 dicembre 2007
Guitar Hero, videogames e chitarre di plastica ...
Pochi invece si ricorderanno di Steve Jones. È il chitarrista dei Sex Pistols, certo meno noto del bassista Sid Vicious o del cantante Johnny Rotten ma pur sempre il chitarrista del gruppo icona del punk inglese. Del gruppo (apparentemente) più trasgressivo, arrabbiato e nichilista degli anni Settanta, chiedetelo a Malcom McLaren (genio del marketing ante litteram).
Eh ... sì ma che ci fa una ex carognetta marcia ormai 52enne come Steve Jones con una chitarra di plastica in mano collegato a internet? Semplicemente, verrebbe da rispondere, si guadagna da vivere. Da perfetto ex marcio in perfetta etica punk “menesbattoemenefregodituttispecialmentedeifan”.
Così come si stanno arrangiando i "The Romantics". Chi sono i "The Romantics"? Si tratta di un gruppo rock americano degli anni Ottanta. Non li conoscono in molti, anzi a dire il vero non li conosce neanche un calzino ciucciato, direbbe Bart Simpson. Comunque questi simpatici “artisti”hanno pensato bene di denunciare Activision per aver inserito la cover di “What I Like About You” in Guitar Hero Encore: Rock the 8os.
Cioè loro sostengono che la cover in questione sia troppo simile a1l' originale e quindi potrebbe condurre i fans all’errore... ohibò!
Se la Activision dovesse perdere il tribunale o, peggio, se decidesse di patteggiare, ciò costituirebbe un precedente pericoloso ma anche stupido. Eh sì, per quanto strano possa sembrare, i brani inseriti in questi giochi musicali hanno, in alcuni casi, portato fortuna segnando impennate nelle vendite dei dischi.
Il che dimostra ancora una volta quanto musica, cinema e videogame si incrocino sempre più spesso creando in alcuni casi circoli virtuosi sempre più interessanti e anche economicamente vantaggiosi. Il prezzo da pagare?
Altissimo!!! Immagino che per un fan dei Sex Pistols non sia esaltante vedere i propri idoli promuovere videogiochi. Con un po' di sana amarezza e molta nostalgia punkettara forse è più confortante pensare che quel 24 novembre Steve Jones, dopo aver sfidato i videogiocatori, abbia chiuso il concerto bruciando la propria chitarra di plastica. Come ai bei tempi, tanto non sapeva suonare neanche da giovane, figuriamoci adesso...
Empedocle70
http://it.wikipedia.org/wiki/Steve_Jones
http://it.wikipedia.org/wiki/Guitar_Hero_(videogioco)
martedì 4 dicembre 2007
Davide Ficco plays Ponce on a Torres' papier machè replica
Davide Ficco suona la replica realizzata nel 2005 da Fabio Zontinidella chitarra di cartone di Antonio Torres (papier machè) alla esibizione internazionale di Cremona Mondomusica 2007
Deutsche Grammophon in vendita brani MP3!!!
La nota casa discografica tedesca (ora controllata da Universal Music) ha infatti da mercoledì attivato il suo shop musicale online, battezzato DG Web Shop (http://www.dgwebshop.com/).
Una breve ricerca e si può trovare Segovia
lunedì 3 dicembre 2007
Consigli dal passato: “In un Mondo di Carullisti!” del Maestro Francesco Taranto
Diversi anni fa, in un articolo scritto per “Chitarre classica”, mi trovai a sostenere con scherzosa provocazione che la famosa “querelle” tra Ferdinando Carulli e Francesco Molino avesse trovato nel nostro attuale tempo una sua curiosa soluzione: una vittoria sancita in favore di Carulli, decretata più o meno consapevolmente dai chitarristi attuali e da un fortunato riscontro editoriale.
Ne prendevo atto da molti segnali che sembravano presentarsi sotto i miei occhi in modo troppo evidente per non essere notati, primo tra tutti il numero elevato di edizioni del Metodo op.27, pubblicato dalla quasi totalità delle case editrici in molte vesti e revisioni e quasi (mi si perdoni l’affermazione!) inflazionato, mentre al contrario si riscontrava una quasi completa assenza del Metodo (o meglio dei Metodi) di Francesco Molino.
Mi domando chi da studente non abbia passato il suo tempo od eseguito in saggio i famosi e piacevoli studi della prima parte del metodo op.27 già citato, e chi invece si sia formato nel suo percorso di studente leggendo le preziose indicazioni del Metodo di Molino o con i suoi studi. Non oso pronunciare la risposta ma….
Riprendendo oggi il gioco scherzoso di allora, proponendo un simbolico sondaggio: “Carullisti o Molinisti” mi accorgo di altri elementi che rendono più ardua la scelta tra i due Maestri ottocenteschi.
Ora sono convinto (e qui la provocazione e forse lo scherzo si tramutano in una piccola amarezza) che in fondo hanno perso in egual modo entrambi: Molino, trascurato pur avendo proposto soluzioni nei suoi metodi che, adottate e sviluppate oggi, potrebbero essere presentate tranquillamente come elementi per una moderna didattica; Carulli, sottovalutato nel suo tentativo di sviluppare l’op.27 nell’op.241, che trovò all’epoca contrario il suo stesso editore (artefice di una curiosa presentazione alla nuova opera) e oggi, sua nemica, la fama inarrestabile della sua stessa creatura: l’op.27 (ne è testimonianza il fatto che l’op. 241 non risulti nei cataloghi delle maggiori case editrici).
Uscendo ora dallo scherzo e rientrando in un ruolo di studioso (ed appassionato) del periodo ottocentesco, ritengo che proporre una rilettura approfondita dell’opera didattica dei metodi dell’epoca possa farci scoprire molti aspetti legati alla tecnica, allo stile, alla didattica che potrebbero, se esaminati con attenzione, arricchire il nostro presente.
Per questo motivo ho pensato di proporre un percorso di riflessioni, riletture e considerazioni al quale ho dato il titolo: “Consigli dal passato”, nella speranza di dare vita ad un momento di periodico incontro (ovviamente simbolico) dove condividere le mie ricerche.
Vi lascio con questo esempio su come in fondo l’op.241 di Carulli non sia così diversa dagli studi proposti abitualmente ai nostri giorni.
Ferdinando Carulli - Studio dall’op. 241
Julio Sagreras - Studio n° 36
...nulla si crea, nulla si distrugge…?!
Si è specializzato nell’esecuzione del repertorio del primo ‘800 con strumenti originali e prassi esecutive filologiche all’Accademia Superiore di perfezionamento “l’Ottocento” dell’A.G.I.F.
Dal 1980 svolge costante attività concertistica, avendo al suo attivo oltre 500 concerti sia come solista che in organici cameristici ed oltre 60 performances in qualità di solista con orchestra, sia in Italia che all'estero.
In America ha debuttato nel 1991 a New York presso la Carnegie Hall e l’American Institute of Guitar, presentando in riesecuzione moderna brani di Gabriello Melia (XIX sec.). Nel 1992 si è esibito alla Carnegie Hall ed alla State University at Stony Brook, eseguendo musiche ottocentesche su una preziosa chitarra G. Guadagnini del 1829. Nel 1993 è stato invitato per un concerto dimostrativo presso la Julliard School di New York. Ha eseguito nel 1995, con strumenti originali, il Primo Concerto in La Maggiore di M. Giuliani per chitarra ed orchestra per il Museo degli Strumenti Musicali di Milano. Nel 1999 si è esibito a Kuala Lampur invitato dall’Ambasciata Italiana in Malesia.
Ha insegnato chitarra classica presso il conservatorio di Musica “V. Bellini”, sede staccata di Trapani.
Attualmente è docente presso il Conservatorio “Cesare Pollini” di Padova del corso sulla “Prassi esecutiva e repertorio della musica per chitarra dell’ '800”, nell’ambito del Diploma Accademico di II livello.
Dal 1989 tiene costantemente corsi di perfezionamento e masterclasses in prestigiosi festival internazionali.
Come Presidente dell'Associazione Rosso Rossini, ha ideato "Incontri con i Maestri", Master di Alto Perfezionamento presso l'Istituto Santa Maria di Roma, affiancandosi nell'insegnamento a nomi come Carlo Domeniconi, Carlos Bonell, Carlo Carfagna, Pablo de la Cruz, Giovanni Grano.
Ha inciso per la RUSTY CLASSICA e PLAYGAME. Ha pubblicato con le Case Editrici ZANIBON, RUGGINENTI, NUOVA CARISH, BERBEN ed EROM, Edizioni Romana Musica di cui è il direttore editoriale.
sabato 1 dicembre 2007
A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Louise Doc
Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13
Angelo Barricelli
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venerdì 30 novembre 2007
Poesia e grafica pubblicitaria - Parte seconda di Fausto Bottai
D'altra parte, l'utilizzo della tecnica del 'collage' (4) 'nasce 'dall'intento del poeta di non sottrarsi allo scontro con il mondo esterno, ma, al contrario, di operare all'interno della stessa cultura di massa tentando una promozione estetica del banale, del quotidiano, del kitsch' (5) (il vecchio sogno di portare l'Arte all'Industria!). In questo senso, il poeta è colui che contesta e capovolge di segno i messaggi delle comunicazioni di massa.. E si parla di contropubblicità, controfumetto, controrotocalco, di 'gesto che rispedisce la merce al mittente' (L.Pignotti) (6). Dunque un atteggiamento di rifiuto (verrebbe perfino voglia di definirlo 'luddistico') (7) che fa da perfetto rovescio della medaglia rispetto a quello apologetico di cui parlava Zolla. Coerentemente con questi presupposti, viene ripetutamente segnalata l'esigenza 'di far uscire la poesia dal luogo in cui si è sempre nascosta, il libro'.. Obiettivo? quello 'di incontrare senza mediazioni un pubblico che non faccia parte né del club dei lettori specializzati né del clan degli addetti ai lavori'. Quindi una ricerca di spazi nuovi, di pubblici diversi, 'di una diversa collocazione prospettica rispetto alla scena urbana'. Ancora una volta il tema centrale è quello del rapporto concorrenziale-conflittuale con i mass-media. Dice ancora Spatola: 'la dimensione concorrenziale non è più interna all'ambito letterario, ma in un rapporto esterno con la presenza dei mass-media'; e ancora 'la soluzione formale dovrà essere sempre in qualche misura antitetica rispetto ai linguaggi visivi codificati, perché soltanto la differenziazione dal paesaggio iconografico esistente permetterà la sopravvivenza del messaggio'. In definitiva, 'la nuova poesia vuole sostituirsi ai mass-media, tentando di rovesciare il rapporto che le elites tecnologiche hanno instaurato con il pubblico, con i fruitori e che tende all'omologazione, alla standardizzazione, a forme di accettazione acritica del messaggio'.
Che dire? Queste cose sono state scritte nel 1969.. c'è molto dell'ideologismo 'ingenuo' di quegli anni in questo voler 'spezzare il cerchio chiuso' per cercare e 'provocare' il fruitore nel suo stesso ambiente, utilizzando una grammatica 'capace di agire sulla coscienza dell'uomo, di esaltarne il ruolo critico..'. Oggi, possiamo affermare che gli esiti pratici di questi pur nobili intendimenti non sono certo stati incoraggianti. I mass-media sono saldamente in mano a soggetti che certo non mostrano molto interesse per l'esaltazione del ruolo critico dell'uomo.. Standardizzazione, omologazione, conformismo hanno raggiunto livelli spaventosi e disperanti.. I poeti sperimentali si sono spinti fino al limite del suicidio nel tentativo di adeguarsi allo spirito dei tempi, hanno accettato di 'sostituire sempre di più la parola con l'immagine, che risponde meglio alle esigenze di una comunicazione immediata', hanno accettato la sfida combattendo sul terreno dell'avversario e pretendendo di strappargli le armi dalle mani...
A voler essere ottimisti, possiamo concludere che, se molte battaglie sono state perse, la guerra non è ancora finita?
Fausto Bottai
(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Apocalittici_e_integrati
(2) http://it.wikipedia.org/wiki/Tristan_Tzara
(3) http://it.wikipedia.org/wiki/Alfredo_Giuliani
(4) http://it.wikipedia.org/wiki/Collage_(arte)
(5) http://it.wikipedia.org/wiki/Kitsch
(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Lamberto_Pignotti
(7) http://it.wikipedia.org/wiki/Luddismo
giovedì 29 novembre 2007
A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Gregory Ch
Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13
Angelo Barricelli
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mercoledì 28 novembre 2007
A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photo Chris Kovac
Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13
Angelo Barricelli
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La musica reale in La morte a Venezia di L.Visconti di Angela Cingottini
Fin qui Thomas Mann, Der Tod in Venedig,1911.
Luchino Visconti ci introduce direttamente nell’azione per mezzo del vaporetto che porta Aschenbach a Venezia. E qui il poeta della novella di Mann è un musicista, che del protagonista manniano ha le caratteristiche fisiche e psicologiche e di cui vive tutte le dilacerazioni derivanti dall’aver percepito, e a poco a poco scoperto, un’ estetica ed un’etica in antitesi a ciò per cui sempre ha vissuto. Venezia fa da scenario alla novella e al film, in cui sia il poeta che il musicista vagano inseguendo il nuovo ideale artistico intuito che li condurrà sempre più lontani dalla loro originarietà, fino all’annullamento nella morte.
Le corrispondenze fra novella e film sono puntuali, ma la scelta di un musicista a protagonista del suo lavoro fa dell’opera di Visconti evento artistico autonomo e non semplice rielaborazione filmica di quella di Mann. Infatti, se escludiamo un elemento cui accenneremo poco più avanti, non ci sono nella novella espliciti contatti con la musica. Il dramma di Aschenbach, poeta o musicista che sia, scaturisce dallo scoprirsi inadeguato di fronte all’arte che esiste, comunque, al di fuori di lui e del suo processo creativo . La musica è ciò che fa veramente la differenza fra le due opere e, anche se si tratta di differenza dettata a Visconti dalla scelta di un mezzo espressivo diverso da quello di Mann, pone i due lavori su un piano artistico paritetico .
Film della musica quindi quello di Visconti , tale non solo nel continuum di Mahler fuori scena che accompagna il protagonista dal suo arrivo alla morte sulla spiaggia, ma anche nei passaggi di musica reale, intendendo con questa definizione, i passaggi musicali che sono parte integrante dell'azione filmica e non suo commento. Di questi passaggi, oltre alla fanfara dei bersaglieri brevemente presente anche in Mann, nel film ce ne sono altri tre di cui due introdotti da Visconti –l’orchestra che suona musiche da Die lustige Witwe di Lehar nel salone dell’albergo e , diverse scene dopo, Tadzio che accenna sul pianoforte dello stesso salone la sonata Per Elisa.
La terza sequenza di musica reale merita una trattazione più diffusa. Si tratta infatti di una scena ben delimitata e definita, presente nei minimi dettagli anche in Thomas Mann ed è, come accennavo poco sopra, l’unico passaggio in cui l’autore tedesco introduce nella novella l’ elemento musicale. E’ la scena dei posteggiatori napoletani che si esibiscono nel giardino e sulla terrazza dell’albergo e che, mentre colloca Mann sulla scia dei molti illustri scrittori tedeschi che ci hanno lasciato descrizioni sui cantanti popolari italiani, nell’economia della novella assolve ad una precisa funzione. Infatti l’uomo che sembra essere il capo della compagnia incarna il prototipo del guappo del sud che vuole trarre il massimo profitto dalla presenza degli stranieri, un misto di deferenza e truffaldineria. Nel praecipuum della storia, oltre a creare una scena di ‘mediterraneità’, i posteggiatori costituiscono parte di quel numero di personaggi locali cui Aschenbach chiederà, senza ottenerne di soddisfacenti, informazioni circa la sospetta situazione intuita a Venezia .
Il copione offerto da Mann è rispettato nei minimi particolari, sia nell’aspetto che nelle azioni dei personaggi. D’altra parte lo stesso Mann ha utilizzato per questa scena una situazione assolutamente rispondente all’epoca. I posteggiatori napoletani erano infatti di gran moda e molti di essi, famiglie intere, lasciavano la loro città per esibirsi in località turistiche in Italia e all’estero, o invitati dalle massime corti europee. Non era infrequente trovare posteggiatori napoletani alla corte dello zar Nicola primo, di Francesco Giuseppe o Gustavo di Svezia. Valga per tutti ricordare che Edoardo Di Capua nel 1898 musicò ‘O sole mio a Odessa, sul mar Nero,dove aveva seguito suo padre Giacobbe per integrare come secondo violino il gruppo da lui capeggiato e lì invitato. Così la pagina sui posteggiatori, con le colorite caratterizzazioni, aggiunge all’opera di Mann un tocco di verismo che non si esaurisce nella presentazione dei personaggi, ma si spinge alla descrizione dei pezzi musicali da loro eseguiti fino a renderli identificabili . Mann scrive, fra le altre cose, di “una canzonetta a più strofe, in voga a quel tempo in tutta Italia, nel cui ritornello interveniva ogni volta il resto della compagnia con canto e strumenti musicali al completo”. Sembra l’esecuzione di una stornellata. Visconti fa eseguire al gruppo una canzone di Armando Gill, napoletano, ricordato per essere uno dei primi autori-cantanti delle proprie canzoni, ampiamente conosciuto per Come pioveva . Gill, che godette di grande popolarità tra il ’10 e il ’26, scrisse molte canzoni a carattere di stornello in italiano, oltre che in napoletano. Il pezzo interpretato nel film, e che ben potrebbe rispondere alle descrizioni di Mann, fa parte di ‘Canti nuovi’ ed è meglio conosciuto con le parole iniziali Chi con le donne vuole aver fortuna….La canzone è del ’19 e in questo senso sicuramente non può essere proprio quella di cui scrive Mann, è però probabile che l’autore non abbia avuto in mente una canzone in particolare, ma si sia riferito ad una delle tante in voga in quell’epoca che vedeva un’ampia fioritura di canzonette popolari, avendo in mente di inserire nella narrazione un quadro d’ambiente. Sicuramente è più che centrata la scelta di Visconti di un brano che per tanti anni riscosse largo successo di pubblico in tutt’Italia.
Ma il gioiello della sequenza è la canzone successiva che Mann descrive in modo inequivocabile : Era una canzone che il solitario non ricordava di avere mai udito;strofe sfacciate, in un dialetto incomprensibile, separate da un ritornello di risa al quale l’intero gruppo si associava regolarmente a gola spiegata.. Allora cessavano sia le parole, sia l’accompagnamento strumentale, e non rimaneva altro che un riso scandito secondo un certo ritmo e tuttavia molto naturale, a cui specialmente il solista sapeva conferire con grande talento la più ingannevole spontaneità…La narrazione prosegue in una sinestesia di immagini suoni e colori che Visconti traduce in modo magistrale, da vero ricercatore antiquario. La canzone è ‘A risa’, scritta nel 1895 dal napoletano Berardo Cantalamessa, attivissimo fino al 1907, protagonista degli inizi dei café chantant. Cantalamessa aveva scritto questa canzone adattandola da una incisione fonografica di un cantante americano e le sue esibizioni al Salone Margherita di Napoli riscuotevano grande successo contagiando ilarità agli spettatori. Il pezzo divenne talmente famoso che molti cantanti e posteggiatori lo inserirono nel loro repertorio. Sicuramente Mann non si riferiva ad una interpretazione dello stesso Cantalamessa che non fu mai un posteggiatore e, anzi,viene ricordato come un raffinato nel vestire e nelle sue esecuzioni, ma da spettatore attento ci tramanda in una prosa vivissima uno spicchio di storia del canto popolare italiano. Visconti è l’artefice che traduce questa prosa in immagini e suoni reali che, pur creando un impatto all’apparenza stridente con l’ ambiente in cui si svolgono, sono parte della nuova estetica intravista da Aschenbach e ben si sposano alle immagini della Venezia fatiscente e sempre più spopolata , in cui i poveri muoiono da soli, davanti alla biglietteria della stazione.
Angela Cingottini
1) Per i passi citati si veda Thomas Mann, La morte a Venezia,traduzione di Paola Capriolo,Einaudi 1991.
Angela Cingottini vive a Siena, dove è docente di lingua italiana presso l'Università per Stranieri. (http://www.unistrasi.it/ ) Germanista di formazione, ha tradotto e pubblicato testi a carattere storico-artistico e poetico dal tedesco e dall'inglese.
Si occupa di glottodidattica e ha condotto sperimentazioni e ricerche all'interno dell'università sull'utilizzazione del canto e del teatro nell'apprendimento dell'italiano lingua straniera e collaborando con l'International Opera Theatre of Philadelphia (http://www.internationaloperatheater.com/)
Collabora alla videorivista Tendenze Italiane, per la quale ha curato numerosi servizi di carattere antropologico- musicale.
Ha pubblicato articoli in vari settori -cinema, musica, glottodidattica-ed è formatore in master e corsi di aggiornamento in Italia e all'estero.
Ha tenuto conferenze e cicli di lezioni sulla storia della canzone italiana presso l'Università per stranieri di Siena, la Libera Università di Città della Pieve e presso istituzioni universitarie in Europa e negli Stati Uniti.
Nel 2004 il Circolo dei Lenti di Siena ha curato una sua personale di pittura, 'Immagini', ripetuta nel 2005 nella rassegna 'Arte e Scuola ' dalla Biblioteca Comunale di Monteriggioni.
Collabora come voce recitante a eventi poetico-letterari e concerti, ultimo quello organizzato il 26 ottobre 2007 dall'associazione Music Ensemble nel palazzo comunale di Siena, con la soprano Silvana Bartolotta,il pianista Leonardo Angelini e il violinista Franco Barbucci.(http://www.musicensemble.it/ )
Pubbl. in Carte di Cinema, n.10, 2003
martedì 27 novembre 2007
Newsletter per Chitarra e Dintorni
Per iscriversi basta mandare una mail a chitarraedintorni@yahoo.it mettendo nel titolo o nel messaggio l'indicazione "iscrizione newletter".
Questo ci permetterà di darVi un servizio migliore.
Cordiali saluti
Norman Czabo
A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Janey Kay
Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13
Angelo Barricelli
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lunedì 26 novembre 2007
A. Barricelli plays Giuliani Op. 50 nro 13 photos Janey Kay
Angelo Barricelli plays Mauro Giuliani Opera 50 nro 13
Angelo Barricelli
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domenica 25 novembre 2007
Fauvel presenta ‘L’opificio di Musica Potenziale’ di Paolo Albani
A proposito dell’autore dell’articolo, scrittore, poeta visivo, performer, nonché membro dell'Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale), si veda:
http://www.paoloalbani.it/
Fauvel
L’Opificio di Musica Potenziale
Nelle rassegne di musica contemporanea è raro trovare un cenno all’esperienza dell’Ouvroir de Musique Potentielle (Opificio di Musica Potenziale), un laboratorio originariamente nato in Francia negli anni ottanta per opera del matematico e ingegnere chimico François Le Lionnais (1901-1984), esperto di scacchi e grande amico di Marcel Duchamp, e dei compositori Pierre Barbaud e Michel Philipot.
Fra gli atti costitutivi dell’Opificio c’è la messa in musica da parte di Philipot del sonetto di Le Lionnais intitolato La rien que la toute la (La nulla che tutta la), scritto senza usare nomi, aggettivi e verbi, la cui prima quartina, tradotta in italiano, suona così:
Voi voi voi, perché ma di cui sebben nessuna
Quando di ciò (per dalle) con ciò perché non mai;
Soltanto gli e le già se quando per noi
Allo e contro quei chi di cui voi anche di.
La composizione venne eseguita da un soprano il 30 novembre 1983 al Centre Pompidou.
Legato al Centro di matematica e automatica musicale diretto dal compositore e architetto greco naturalizzato francese Iannis Xenakis (1922), musicista che ha utilizzato la teoria delle probabilità quale elemento costitutivo di una nuova musica, da lui definita “musica stocastica”, alla quale, dal 1960, ha aggiunto la “musica simbolica”, basata sulla logica matematica, l’OuMuPo è rimasto per alcuni anni inattivo per poi risorgere a nuova vita nel novembre 1992 a Bordeaux, grazie all’iniziativa di alcuni musicisti fra cui Didier Bessière, Jean-Raphael Bobo, Eric Boulain, Bertrand Grimaud, Dominique Gruand, Patrick Guyho, Frank Pruja, Bertrand Sauvagnac e François Valéry.
In parallelo, e con le stesse finalità, nasce in Inghilterra nel 1985 un analogo opificio musicale, Workshop for Potential Music, i cui ispiratori sono Andrew Hugill, Christopher Hobbs e John White.
Per comprendere la natura dell’OuMuPo bisogna fare un piccolo passo indietro e ricordare che, insieme a Raymond Queneau, Le Lionnais è il fondatore dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), gruppo di letterati e ricercatori scientifici che vede la luce il 24 novembre 1960 (un giovedì) nella cantina del ristorante parigino Il Vero Guascone. Fra i suoi membri vi sono Noël Arnaud, André Blavier, Italo Calvino, Harry Mathews, Georges Perec, Jacques Roubaud.
Storicamente l’OuLiPo è una delle numerose Sottocommissioni di Lavoro del Collegio di ‘Patafisica, accademia dello sberleffo e della fumesteria, istituita l’11 maggio 1948 sempre a Parigi da un cenacolo di letterari, artisti e poeti depositari della ‘patafisica, «scienza delle soluzioni immaginarie, del particolare e delle leggi che governano le eccezioni», teorizzata da Alfred Jarry in Gestes et opinions du docteur Faustroll. Pataphysicien. Roman néo-scientifique (1911).
Che cosa intendono gli oulipiani per letteratura “potenziale”?
Come dice la parola stessa, si tratta di una letteratura al momento inesistente, ovvero ancora da farsi, da scoprire in opere già esistenti o da inventare attraverso l’uso di nuove procedure linguistiche, una letteratura mossa dall’idea che la creatività, la fantasia trovano uno stimolo nel rispetto di regole, di vincoli, di costrizioni (contraintes) esplicite, come ad esempio quella di scrivere un testo senza mai usare una determinata lettera (lipogramma). La costrizione è considerata uno strumento creativo, che amplifica le probabilità di raggiungere soluzioni originali, bizzarre: l’essere «obbligati» a seguire certe regole sollecita uno sforzo di fantasia; la costrizione non restringe l’orizzonte delle strategie narrative dello scrittore, al contrario ne allarga le «potenzialità visionarie», paradossalmente è «un inno alla libertà d’invenzione», capace, come ha scritto Calvino, «di risvegliare in noi i demoni poetici più inaspettati e più segreti». Senza dimenticare che esiste sempre la possibilità di «une légère dérive» in grado di distruggere il sistema stesso delle costrizioni, uno scarto giocoso e liberatorio che Perec ha chiamato clinamen (nella fisica epicurea, una deviazione spontanea degli atomi).
Gli scrittori oulipiani sono dei «topi che costruiscono da sé il labirinto da cui si propongono di uscire». Quale labirinto? Quello delle parole, dei suoni, delle frasi, dei paragrafi, dei capitoli, dei libri, delle biblioteche, della prosa, della poesia. Nelle ricerche - ingenue, artigianali e divertenti - dell’Opificio si possono distinguere due tendenze principali: una analitica che si applica a opere del passato per cercarvi possibilità spesso insospettate dagli autori (un po’ nello spirito che contraddistingue la creazione dei “ready made” di Marcel Duchamp che, per altro, fu membro corrispondente del gruppo francese e morì oulipiano: anche in questo caso si parte da un testo “già fatto”, “trovato”, per metterne in luce le proprietà latenti, i significati potenziali attraverso varie tecniche combinatorie) e una sintetica rivolta ad aprire nuove vie, ignote agli scrittori precedenti, grazie all’aiuto di tecniche matematiche ed esplorando tutti gli aspetti formali della letteratura: costrizioni, programmi alfabetici, consonantici, vocalici, sillabici, fonetici, prosodici, rimici, ritmici e numerici. Lo scopo, per dirla in breve con Queneau, è quello di «proporre agli scrittori nuove “strutture”, di natura matematica oppure inventare nuovi procedimenti artificiali o meccanici, contribuendo all’attività letteraria: supporti dell’ispirazione, per così dire, oppure, in un certo senso, un aiuto alla creatività».
Fra i numerosi giochi letterari elaborati dagli oulipiani vi sono la letteratura definizionale con cui si trasforma una frase qualsiasi sostituendo a ogni parola la definizione che ne dà il vocabolario; il metodo S + 7 che consiste nel sostituire a ogni sostantivo di una frase di partenza il settimo sostantivo successivo in ordine alfabetico di un vocabolario; l’omosintattismo che si realizza scrivendo le parole di una frase una per una in colonna, sulla sinistra di un foglio; in una colonna centrale se ne fa l’analisi grammaticale; quindi in una terza colonna a destra si scrive una nuova frase che corrisponde parola per parola all’analisi grammaticale, ma totalmente diversa dalla frase di partenza; la poesia antònimica, una tecnica di creazione poetica che consiste nel sostituire a ogni parola di una data poesia il suo antònimo, cioè una parola che ha significato opposto a quello di un’altra, per cui il verso montaliano: Spesso il male di vivere ho incontrato diventa: Mai dal bene di morire sono scappato.
A fianco dell’OuLiPo nascono in date diverse l'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature Policière Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de Cuisine Potentielle), l'OuPeinPo (Ouvrier de peinture potentielle), l’OuCinéPo (Ouvroir de Cinéma Potentielle), e come si è detto l’OuMuPo (Ouvroir de Musique Potentielle). Senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi” espressivi, l’OuLiPo opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO (Atelier de Littérature Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs), fondato nel 1982 da Paul Braffort e Jacques Roubaud.
Che cos’è dunque la “musica potenziale”?
Poiché genericamente è intesa come l’arte di combinare più suoni in base a regole ben precise, sembrerebbe contraddittorio e privo di significato parlare di una “musica sotto costrizioni”. In realtà gli oumupiani sottolineano come i loro esercizi muovono dall’“innata vocazione alla libertà” della musica, dalla sua lotta per affrancarsi da ogni costrizione.
Alcuni lavori oumupiani sono stati creati utilizzando il metodo N + 7, altri quello di ridurre un pezzo musicale ad una sola nota, ad esempio la nota E in omaggio a Georges Perec e al suo romanzo La disparition (1969) in cui non compare mai la lettera E. Ne L’Auteur se ritire, composizione per solo piano, Christopher Hobbs ha applicato un procedimento lipogrammatico al lavoro di certi musicisti rimuovendo le note corrispondenti alle lettere musicali dei loro nomi, con risultati di un’affascinante goffaggine ritmica che evoca suoni di culture primitive.
Il procedimento per sottrazione in ambito musicale non è nuovo, ha origini lontane. Uno dei “plagiatori per anticipazione”, espressione “paradossale e provocatoria” coniata per indicare quegli autori che in tempi precedenti alla nascita dell’OuMuPo hanno usato metodi “oumupiani”, è da questo punto di vista Alphonse Allais (1855-1905) autore nel 1897 di una famosa «Marcia Funebre composta per i funerali di un grand’uomo sordo»:
L’elenco dei plagiatori per anticipazione comprende, fra gli altri, alcuni compositori franco-fiamminghi dei secoli XV e XVI, come Johannes Ockeghem (1428ca-1495ca) la cui musica è caratterizzata dall’uso dei più complessi artifici e da un gusto marcato per il ritmo e per le elaborate combinazioni contrappuntistiche; Jacob Obrecht (1450 o 1451-1505) e Josquin Desprès (1440ca-1521) che basano alcune loro composizioni sull’uso della gematria, una tecnica della qabbalah per interpretare le parole della Bibbia in base a criteri aritmetici; e poi, in epoca più recente, oltre a Arnold Schönberg (1874-1951) cui si deve «il metodo di composizione con 12 note non imparentate tra loro», incontriamo Percy Aldridge Grainger (1882-1961) e Harry Partch (1901-1976), compositore statunitense, inventore di strumenti, alcuni ottenuti con l’adattamento di quelli tradizionali, altri costruiti con dimensioni e materiali inusitati (claxon, materiali plastici, ecc.), spesso basati sulla divisione dell’ottava in 43 suoni.
Il compositore oumupiano John White ha composto dei “machine pieces”, cioè dei brani come Drinking and Hooting in cui diversi performers bevono e soffiano in bottiglie secondo una data procedura oppure Jew’s-Harp Machine basato sulla continua permutazione dei suoni “ging-gang-gung-ho” o ancora Newspaper Reading Machine dove i suoni emessi corrispondono ai segni d’interpunzione contenuti in articoli di giornale letti durante la performance.
Révélations et Diversités è la sezione finale di una composizione per coro di Andrew Hugill intitolata Les origines humaines, ispirata alla «grande legge» di Jean-Pierre Brisset (1857-1923?). Compreso nell’Anthologie de l’humour noir (1966) di André Breton, Brisset è considerato uno dei più illustri “pazzi letterari”, inventore di un metodo, basato sull’analisi sonora delle parole, con cui rintraccia la storia delle origini umane e gli fa sostenere che l’uomo discende dalla rana (la specie umana è passata per quattro stadi: quello del girino, della rana, di Dio e infine dell’uomo). Per Brisset «tutti i concetti enunciati con suoni simili hanno una stessa origine e si richiamano tutti, nel loro principio, a uno stesso oggetto». Grazie a questo metodo Brisset sostiene che il francese è la lingua originaria dell’umanità.
La partitura scritta da Hugill comprende una “tavola di 324 quadrati”, divisa in 4 sezioni di 9x9 quadrati. Ogni sezione delimita il campo d’intervento dei singoli gruppi corali. Ogni quadrato rappresenta una misura di due battute e contiene sia il silenzio che gli adattamenti musicali di due sillabe (una corta, una lunga) consistenti nei fonemi base della lingua francese arrangiati in modo combinatorio. Ogni cantante interviene a livello individuale e volontario dando vita ad una specie di Torre di Babele da cui emergono le parole e le frasi musicali.
Per concludere accenniamo ad un esercizio di “musicale antonimica”, elaborato nell’ambito dell’OpLePo (Opificio di Letteratura Potenziale), gruppo italiano, omologo di quello francese, costituitosi a Capri nel novembre 1991, attualmente presieduto da Edoardo Sanguineti. Si tratta di trasformazioni algebriche di composizioni musicali, ottenute attraverso una trasposizione del concetto di antònimo (un elemento che ha significato opposto a quello di un altro) dalla letteratura alla musica, effettuate algoritmicamentre su brani musicali preesistenti. Il Concerto di Vejo di Marco Maiocchi ed Enrico Fagnoni è il titolo di un compact disc della Fonit Cetra comprendente otto brani proposti nella doppia versione, “normale” e “antonimica”.
http://www.oplepo.it/oulipo.html
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