martedì 29 settembre 2009

VI GIORNATA NAZIONALE F.I.D.A.M. Domenica 4 ottobre 2009 Carlo Goldoni e le sue due prime opere al Teatro di Feltre negli anni 1729 -30

VI GIORNATA NAZIONALE F.I.D.A.M.
Domenica 4 ottobre 2009
“UN MUSEO, UNA DONAZIONE”
Carlo Goldoni e le sue due prime opere al Teatro di Feltre negli anni 1729 -30


Nel 1729 Carlo Goldoni a 22 anni, coadiutore della Cancelleria, era a Feltre e qui scriveva i suoi due primi intermezzi teatrali “Il Buon vecchio” e “La Cantatrice” , pubblicata poi col titolo “ La Pelarina”, recitandoli con gli amici feltrini nel piccolo Teatro di Feltre, allora chiamato Teatro Pretorio.
Il 2009 celebra questa illustre presenza con il “Premio Goldoni – Opera Prima” (Concorso Internazionale di scrittura per lo spettacolo) indetto dal Comune con premiazione domenica 19 aprile, mentre gli Amici dei Musei e dei Monumenti Feltrini e il Comitato Musicale Maria Basso Zugni-Tauro organizzeranno nella Sala degli Stemmi in Municipio domenica 14 giugno un concerto “La musica ai tempi di Goldoni- Antonio Vivaldi” per due clavicembali e contraltista in collaborazione con l’Associazione Internazionale “Omaggio al clavicembalo” diretta da Marina Mauriello.
Domenica 4 ottobre: gli “Amici dei Musei e dei Monumenti Feltrini” e l’ “Associazione Fenice Arte-Cultura-Turismo”, ambedue affiliate alla F.I.D.A.M., festeggeranno a Pedavena nella sala “Silvio Guarnieri” la VIa giornata nazionale degli Amici dei Musei.
LA MOSTRA
Il 3 agosto 1957 al Teatro Verde della Birreria Pedavena fu rappresentata la commedia “Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni a cura della Città di Milano. Perciò con la collaborazione della Biblioteca Comunale di Pedavena, allestiremo nella vicina scuola una Mostra fotografica del memorabile evento, di cui essa possiede la rara documentazione.
IL RECITAL
Sempre nel pomeriggio della prima domenica di ottobre con un Recital la famosa attrice veneziana Maria Pia Colonnello rievocherà nella Sala Guarnieri le memorie di Goldoni a Feltre e reciterà con virtuosismo le tre parti dei personaggi della “ Pelarina” , versione sopravvissuta de “La Cantatrice”, mentre “ Il Buon vecchio” è purtroppo perduto. Il commento musicale è a cura di Leonardo De Marchi (chitarra), che eseguirà musiche di Brescianello, Sor e Castelnuovo-Tedesco.
Verrà ricordato nell’occasione anche il grande studioso Giuseppe Ortolani, nato e morto a Feltre, dove ogni estate era presente con la famiglia, vissuto a Venezia nell’emozionante casa Goldoni e sepolto a San Michele in isola. Egli curò la monumentale e insostituibile edizione completa di tutte le opere del celebre commediografo cui dedicò l’intera esistenza.
LA PROIEZIONE
Seguirà un rinfresco e dopocena avrà luogo nella stessa Sala Guarnieri la proiezione del filmato della commedia “Arlecchino servitore di due padroni”, con la raffinata regia di Giorgio Strehler e con l’indimenticabile interpretazione di Ferruccio Soleri al Piccolo Teatro di Milano, intramontabile lezione di teatro che fece il giro del mondo.
IL TEATRO
Il prezioso “Teatro de la Sena” di Feltre è considerato spesso anche come spazio museale molto visitato, perché per la sua ridotta misura è difficile da fruire come spazio teatrale e perché è un gioiello di architettura, di decori e di acustica.
Il progetto fu di Antonio Selva e i decori di Tranquillo Orsi. Perciò è chiamato anche “ La piccola Fenice”.
Quale spazio museale e teatrale assieme può vantare un dono come quello che gli fece Carlo Goldoni? Ecco come rispondiamo alla proposta F.I.D.A.M. del 2009: “ Un Museo, una Donazione”
ASSOCIAZIONE “AMICI DEI MUSEI E DEI MONUMENTI FELTRINI”
ASSOCIAZIONE "FENICE Arte-Cultura-Turismo"

Arturo Tallini: N. D'Angelo: Canzone Lidia n. 2 Miami 2009

venerdì 25 settembre 2009

Giulio Tampalini in Concerto il 2 ottobre


STAGIONE INTERNAZIONALE DI CHITARRA CLASSICA 2009

CONCERTO DEL 02 Ottobre 2009

ORE 21,15


GIULIO TAMPALINI

Chitarra

Aula Magna Liceo P. Verri
Via San Francesco 11, Lodi

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte quarta


Luciano Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quanto diventa un modo di dimenticare la musica. L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che ruolo possono assumere la musica e i compositori contemporanei in questo contesto?


Il senso di “disturbo” nasce spesso dall’ignoranza e anche dal fatto che si è sempre meno disposti a “fare uno sforzo”…si vuole tutto e subito e in maniera semplice. Non so che ruolo esattamente possano assumere i compositori in questo senso, ma so che gli interpreti, coloro che sono il tramite tra il compositore e il pubblico, hanno e possono avere un ruolo fondamentale.
Mi spiego. Ho sentito concerti di musica contemporanea che erano di una noia micidiale persino per me e questa noia era assolutamente indipendente dal programma che veniva eseguito, ma io me ne rendo conto…una persona che va a sentire un concerto del genere e che non ha i mezzi per vagliare dove arriva l’opera e dove mette le mani (e il cuore, si spera) l’artista è immediatamente portata a pensare che quel tipo di musica sia brutto, a rifugiarsi in cose più note, magari più facili all’ascolto e più immediate nella percezione.
Allo stesso modo ho sentito concerti di musica contemporanea che, pur presentando opere “oggettivamente” poco immediate, erano assolutamente coinvolgenti, energetici, catartici…concerti che davano qualcosa, davano un’energia, creavano un contatto con il pubblico.
Eppure non era “merito” delle opere (ricordo, in particolare, due concerti con effetti sulla mia percezione diametralmente opposti e in cui erano state suonate quasi le stesse opere)… l’interprete, che ha sempre avuto un ruolo importante, forse assume nella musica contemporanea un ruolo decisivo. E’ importante che lui stesso sappia entrare dentro a quella musica, che sappia trovare un significato e lasciare la propria impronta, che sappia trasmettere tutto questo al pubblico, sia esso formato da addetti ai lavori sia non.
Sfatiamo il mito che la musica contemporanea sia fatta solo per persone che “sanno”…
Sono consapevole che le mie parole saranno forti, ma…. Questa è una bugia bella e buona! Un modo per nascondere spesso le proprie mancanze, le proprie lacune, la PROPRIA mancanza di personalità o l’incapacità di trasmettere energia. TROPPO COMODO! E’ troppo, troppo facile così…ed è vergognoso che non solo lo si pensi, ma lo si predichi come Verbo! Se con questo tipo di repertorio non sai trasmettere qualcosa…forse è il caso che cambi repertorio! Almeno con il tempo si otterrà l’effetto che le persone, la “gente” non assocerà il termine “musica contemporanea” al sinonimo “noioso”.
Ogni brano, ogni repertorio ha bisogno del suo interprete. L’interprete giusto al momento giusto (e con il brano giusto) direi. Forse la musica contemporanea ne ha solo più bisogno di altre. (lo stesso discorso vale, spesso, per il barocco per esempio…)

Come vede la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario?


A me non sembra una cosa negativa, anzi. Certo con il passaggio all’ mp3, con la facilità con cui si può reperire quasi qualsiasi brano, vedo spesso una sorta di “superficialità” d’ascolto…quasi come se il fatto che sia facilmente reperibile e che i costi di produzione sia abbattuti giustifichi un ascolto non approfondito e acritico dell’opera. Sento dire “ah si, ho quel brano…la registrazione di XY e la registrazione di HG e la registrazione di WE”…chiedere che quella persona poi abbia notato le differenze tra un’interpretazione ed un’altra o che si sia soffermato sul valore delle singole esecuzioni, sembra chiedere troppo. Eppure non dovrebbe essere così. Come internet e come molte altre cose, bisognerebbe solo saper utilizzare il mezzo con “intelligenza” e soprattutto non rapportare (nemmeno inconsciamente) il valore economico del Cd al valore dell’interpretazione. Ergo, se usata in maniera intelligente e non prettamente consumistica, vorace, quasi si azzannasse un piatto di maccheroni…l’era del digitale, dell’mp3 etc. è qualcosa di assolutamente meraviglioso e che può aprire un mondo di possibilità sconfinato. In fondo, basta saper ascoltare…

Ci consigli cinque dischi per lei indispensabili, da avere sempre con se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta…

Cinque sono davvero pochissimi tra cui scegliere, ma indicativamente…
1. Favourite Rachmaninov, Vladimir Ashkenazy…
2. assolutamente non può mancare La Passione secondo Matteo di Bach…io porto sempre con me la versione diretta da Karajan, a volte poco filologica, ma incredibilmente intensa.
3. Queen, Greatist Hits n. 1 e 2: la voce di Freddy Mercury è meravigliosa e i loro brani hanno un’energia potente, sempre, una tensione che anche quando rimane sotterranea si avverte nel profondo.
4. Gli Studi e i Preludi di Chopin suonati da Pollini
5. un Cd con il Kronos Quartett che interpreta Black Angels di G. Crumb e K. Penderecki che dirige Threnody to the victims of Hiroshima

Quali sono invece i suoi cinque spartiti indispensabili?

La musica veramente indispensabile per me non ha bisogno di spartito, perchè la conservo nel cuore… piuttosto i cinque libri indispensabili! Sono una lettrice accanitissima e “vorace”…sceglierne solo cinque per me è veramente difficile…
1. Illusioni di R. Bach: da leggere…illuminante…la potenza incredibile della nostra mente. Mi ha sempre ricordato una frase che Oscar Ghiglia mi disse un giorno a lezione “i limiti sono solo nella nostra mente” . E’ profondamente vero.
2. Lo zen e l’arte del tiro con l’arco di E. Herrigel: “…il giusto atteggiamento spirituale dell’artista quando i preparativi e l’opera, il mestiere e l’arte, il materiale e lo spirituale, il soggettivo e l’oggettivo trapassano senza discontinuità l’uno nell’altro”… ritengo sia un libro illuminante per un musicista, per un artista…
3. Canone Inverso di P. Maurensig…di una forza devastante…
4. Atonement di I. McEwan…sviscera la psicologia dell’animo umano con una scrittura chiarissima…
5. Le Poesie di Nazim Hikmet e Salvatore Quasimodo


Con chi le piacerebbe suonare e chi le piacerebbe suonare? Che musiche ascolta di solito?

Possiamo resuscitare J. S. Bach?!?! (e Schumann, Brahms e Rachmaninov???) Avrei voluto collaborare con Fausto Romitelli, che è stato un genio assoluto... ed ora è impossibile... ma di sogni nel cassetto (tutti da realizzare) ce ne sono tanti; vorrei essere diretta da Pierre Boulez, mi piacerebbe suonare con David Harrington e il Kronos Quartet e vorrei suonare opere di Solbiati, Pisati, Reich, Scelsi, Kurtag...Kagel è morto l'anno scorso e sarebbe stato un sogno collaborare con lui...e ancora, Lachenmann e Crumb...ce ne sono davvero tanti!
Che musiche ascolto di solito? Bella domanda! Di solito ascolto...musica! Generalmente classica (dal rinascimento-barocco al contemporaneo), spessissimo Queen, Muse...ogni tanto musica indiana...più di rado jazz e blues...


Quali sono i suoi prossimi progetti? Su cosa sta lavorando?

Al momento ho appena dato la prova finale del Biennio ad indirizzo interpretativo al Conservatorio di Trieste e ne sono soddisfatta, ma non ci si ferma mai e mi sono già messa a studiare brani nuovi: i cinque Impromptus di Bennett e la Fantasia Elegiaca di Sor…continuando con le Variazioni sulla Follia di Ponce che ho appena suonato alla mia tesi e che sono un brano che non si “esaurisce” assolutamente mai. E poi sto cercando casa a Berna e questo è un lavoro a tempo pieno!

Consigli da dare?

Consigli no…non sono nella posizione per darli e non amo farlo, ma ho una preghiera, per la giovane generazione, giovani musicisti della mia età o più giovani: “abbiate sempre la forza e la tenacia di continuare a credere e a combattere per i vostri sogni”.


Grazie Chiara e in bocca al lupo!

giovedì 24 settembre 2009

Omaggio a GYORGY KURTÁG 27 settembre

Domenica 27 settembre ore 20.00
Teatro alle Tese – Arsenale
OMAGGIO A GYORGY KURTÁG
- György Kurtág, Hipartita op. 43, per violino solo (2000-2004, revisione 2007, 25’)
- György Kurtág, Grabstein für Stephan op. 15c, per chitarra e gruppi sparsi di strumenti(1989, 8’)
Leone d’oro per la Musica
consegna del Leone d’oro alla carriera
a seguire
- György Kurtág, …concertante… op. 42, per violino, viola e orchestra (2002-2003 rev.2007, 25’)
violino Hiromi Kikuchi
viola Ken Hakii
chitarra Elena Casoli
direttore Zoltán Peskó
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
L’omaggio a György Kurtág, preceduto dall’incontro con l’autore ottantatreenne e dall’esecuzione del Quartetto n.1 e dei Six Moments Musicaux, culmina nella serata di domenica 27 settembre con la cerimonia di consegna del Leone d’oro alla carriera al Maestro ungherese e con l’esecuzione dei suoi pezzi di maggior respiro, aperti alle grandi forme fino ad abbracciare la grande orchestra, ma in modo mai convenzionale e sempre rispettando la “poetica del frammento” a lui tanto cara. Introdotto da un ampio pezzo per violino solo, Hipartita, il concerto presenta due caposaldi della biografia artistica di Kurtág, Grabstein für Stephan e …concertante…, nell’esecuzione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Zoltán Peskó, compatriota e allievo dello stesso Kurtág, oltre che grande direttore.

Autore schivo e appartato, Kurtág dissemina le sue opere - attraverso omaggi, titoli e dediche - di tracce e appunti sulla propria biografia umana, ma è soprattutto alle note scarne che compongono queste opere che affida davvero “le sue pagine di diario”, come ha scritto András Wilheim, “un messaggio personale che tutti potranno capire”.

Dedicato alla memoria dell’amico scomparso Stephan Stein, cantante e marito della psicologa Marianne Stein a cui Kurtág attribuisce un ruolo importante nella soluzione della sua crisi compositiva alla fine degli anni Cinquanta, Grabstein für Stephan è iniziato tra il 1978 e il 79 e concluso dieci anni dopo. Come scrive il critico Paolo Petazzi il pezzo si svolge “in una sola sezione di ampio respiro (come una lapide tagliata in un solo blocco); il tempo è quasi sempre ‘larghissimo’, la dinamica prevalentemente ‘pianissimo’ (con quattro p), con effetto ‘lontano’… finché il pianissimo prevalente e la quasi immobilità si lacerano con la più dolorosa violenza, come in un grido, che cede poi il posto al ritorno della funebre calma, e ai suoni ‘lontani’”.

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte terza


Quale significato ha l’improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

“Improvvisare non s’improvvisa” e quindi, per ora, l’improvvisazione non ha spazio nella mia ricerca, ma spero che cominci ad averne uno, e poderoso, presto. Penso che ci sia molta improvvisazione nel repertorio classico senza necessità di uscire dal “classico”. Esistono brani che hanno carattere improvvisativo o che sono vere e proprie improvvisazioni scritte. Basta pensare ad una pietra miliare come Serenata per un satellite di Maderna, dove si esplica il concetto di “campo”, territorio di possibilità. La musica è scritta…ma s’improvvisa. Ci sono notevoli parametri definiti dal concertista o dal direttore al momento dell’esecuzione. (in calce allo spartito, la scritta stessa di Maderna d’improvvisare “ma con le note scritte”) Basta pensare alla Passion selon Sade di Bussotti, a Volo solo di Cardew (per un “virtuoso di qualsiasi strumento”), a Transicion II di Kagel o ai Graph Pieces di Feldman…opere in cui la capacità d’improvvisazione dell’interprete viene sfruttata e “prescritta in partitura”…e sono opere “classiche”!...ok…classiche-contemporanee, ma è una distinzione che non faccio…

Ascoltando la sua musica ho notato la tranquilla serenità con cui lei si approccia allo strumento indipendentemente dal repertorio, da con chi sta suonando, dal compositore, dallo strumento che lei adopera dimostrando sempre un totale controllo sia tecnico che emotivo, quanto è importante il lavoro sulla tecnica per raggiungere a questo livello di “sicurezza”?


Mi lusinghi…il lavoro sulla tecnica è fondamentale, nel senso che la sicurezza delle dita dà libertà alla tua arte, all’espressione musicale ed al pensiero artistico. E’ fondamentale in senso assoluto per me lo studio lento, anzi lentissimo…una sorta di tai-chi musicale, per assumere consapevolezza di ogni singolo movimento del mio corpo e delle mie dita. Detto questo, il mio personale “controllo” è tecnico, ma non emotivo. Avere la sicurezza che le mie dita faranno ciò che io voglio che facciano, fa in modo che durante un’esecuzione, durante un concerto o una registrazione io mi posso dedicare a cercare ed ad essere energia…solo energia. E’ una libertà, un librarsi in aria che altrimenti non ci si può permettere ma preferisco essere, ricevere e dare energia mentre suono piuttosto che risultare “perfetta”, ma fredda. E quindi morta.
C’è poi da dire che, grazie anche a questo tipo di lavoro, riesco ad arrivare sempre molto tranquilla, senza ansia né tensione ai concerti: sono semplicemente concentrata. Mi stupisco anch’io ogni volta!

Lei ha pubblicato sul blog Chitarrablog.it un bell’articolo “Frank Martin – Ethik/Etica” dedicato all’importanza dell’etica per questo compositore, come pensa che la sua personale visione dell’etica si sia riflessa nella sua musica? Come mai questo suo interesse e approfondimento per Frank Martin?


Rispondo prima alla seconda parte della tua domanda. L’interesse per Frank Martin è nato nel 2003-2004, quando scelsi il brano “contemporaneo” da presentare al mio diploma e la scelta cadde sui Quatre Pieces Breves. Le sue composizioni sono sempre pervase da un’energia così incredibile che non penso sia possibile rimanerne fuori. E’ qualcosa che ti colpisce dentro, qualcosa di esaltante, potente e catartico. Ricordo che Yehudi Menuhin, personalmente il violinista che prediligo, disse che quando suonava Polyptyque sentiva la stessa responsabilità e la stessa esaltazione di quando eseguiva la Ciaccona di Bach. Vedi, i Quatre Pieces Breves richiedono la stessa dedizione assoluta che si dà di norma ad una suite di Bach e, almeno a me, danno anche la stessa esaltazione, lo stesso senso di “purificazione”. Da qui è partita poi la ricerca, la lettura della sua biografia (in tedesco), l’ascolto di altre sue opere. Sono sempre felice quando vado a sentire un concerto e c’è qualcuno che esegue una composizione di Frank Martin.
Per rispondere alla prima tua domanda, vorrei proporti un “percorso” attraverso un’immagine universalmente conosciuta: L’Urlo di Munch. Ognuno di noi ha ben presente il quadro, ognuno ha le sue personali emozioni di fronte alla sua vista e tralaltro può “piacere” come no…ma penso che si posso universalmente affermare che è un quadro che esprime disperazione, solitudine, angoscia, baratri neri. Personalmente lo trovo devastante, eppure è il mio quadro preferito e sfido chiunque ad affermare che non è un’opera d’arte. Ora rimaniamo un attimo con questa immagine nella mente e con le sensazione che questa evoca mentre ricordiamo che Martin scrive a proposito dell’etica: “…E anche quando ci si occupa di qualcosa di brutto l'arte dovrebbe essere di per sé così bella che la bruttezza viene completamente cambiata. La bellezza porta quindi in sé una forza che libera il nostro spirito…”
Notiamo qualcosa? Si! Questo è un quadro che sicuramente parla di qualcosa di “brutto”: l’essere invisibile nella società, la solitudine profonda dell’animo, l’urlo d’angoscia e disperazione. Eppure l’arte, il come Munch ha “espresso” tutto questo, è così bella che persino questo stato di “bruttezza” viene cambiato. La bellezza di questo quadro ci porta dentro di esso, ci fa scorgere abissi di disperazione, ma la stessa ce ne fa uscire…cambiati. Liberi.
Ora, prima che tu mi chieda “che c’entra”, torniamo a Martin… restringo un attimo il campo ai soli Quatre Pieces Breves che tutti conosciamo… trovo che tutta l’opera sia un continuo alternarsi di momenti d’ansia, a volte sottile e quasi sfuggente, a volte illusoria, altre decisamente opprimente alternate a momenti di purificazione, di liberazione e pace… in particolare ricordo che ho sempre pensato che il terzo movimento potesse essere la rappresentazione musicale dell’urlo munchiano…è teso, forte, patologicamente angosciante, un urlo espressionista di solitudine (o almeno, io lo vedo così), mentre il quarto, Comme une gigue, ricorda un valzer fantasma, il martellare degli scarponi dei soldati che vanno in guerra, le perquisizioni delle SS…e alla fine la liberazione. L’etica di Martin mi sembra così evidente qua. Un piccolo viaggio negli Inferi e ritorno. Un viaggio di una bellezza talmente straordinaria che la “bruttezza” intrinseca viene completamente sublimata e possiamo vedere il nostro spirito che si libera dei fardelli… “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Sembra essersi creata una piccola scena musicale di chitarristi classici dediti a un repertorio innovativo e contemporaneo, mi vengono in mente i nomi di Marco Cappelli e David Tanenbaum, David Starobin, Elena Casoli, Arturo Tallini, … si può parlare di una scena musicale? Ci sono altri chitarristi che lei conosce e ci può consigliare che si muovono su questi percorsi musicali?


Presentata così, sembra una piccola setta di adepti dediti a strane pratiche musicali! Invece penso che semplicemente ci sono musicisti che si occupano prevalentemente di musica contemporanea (con tutto ciò che questo comporta), così come ci sono musicisti che si occupano di musica barocca, o della pratica su strumenti originali, o di musica rinascimentale…forse a volte fa solo più “effetto” dire “quel tale ha fatto un concerto suonando Kurtag e Scelsi” piuttosto che riferire di un concerto su chitarra romantica. Ma se ci pensi anche i primi concerti sulla chitarra d’epoca facevano un effetto particolare…è solo questione di tempo.
Sai…tenendo comunque presente che negli anni ci sono sempre più musicisti che si avvicinano alla pratica del contemporaneo, la differenza rispetto ad un tempo mi sembra più che altro l’attenzione che si dà a questa cosa. Ora ci sono più articoli, più contatti…più iniziative (accessibili a tutti), più concerti in cartellone, più compositori che prendono “coraggio” e si buttano nella composizione per chitarra…ci sono blog che trattano solo di musica contemporanea, ci sono più corsi di questo tipo e questo è un bene. La “scena” musicale c’era già prima, era solo meno “visibile”, meno “patinata” in un certo senso.
Altri nomi? Me ne viene in mente essenzialmente uno: Emanuele Forni. E’ davvero bravissimo!



Lei è presente con diversi video su youtube che la riprendono in situazioni di esecuzione di pezzi dal vivo, come mai queste scelte e lei pensa che come già avviene in altri ambiti musicali anche la musica classica possa essere adottata per un uso innovativo del mezzo video-multimediale, così come è avvenuto per la trilogia “quatsi” di Godfrey Reggio per le musiche di Philip Glass?


Ti rispondo con una domanda: “why not?” Le registrazioni che sono apparse su YT (e che riguardano Synthesis, il duo fondato con il pianista Paolo Troian) non hanno nulla di innovativo, se non il fatto che riguardano un tipo di ensemble che si sente di rado. La Qatsi Trilogy in compenso è ed è stata assolutamente innovativa e rivoluzionaria. E comunque la mia risposta permane “perché no?”… non trovo assolutamente nulla di sconveniente al fatto che la musica classica/classica-contemporanea sia adoperata in maniera nuova, innovativa e perché no rivoluzionaria in ambito multimediale. Ormai non è più tabù e sono contenta che ci siano molte persone che si occupano di questo, corsi, compositori che si confrontano da principio con questo…why not?

So che lei ha passato l’esame di ammissione presso la Hochschule der Kunste für Musik und Theater di Berna come mai la scelta di frequentare questa scuola e cosa si aspetta da essa?


Mi aspetto di collaborare con musicisti d’esperienza, talento e calibro; di avere contatti con queste persone e di far nascere delle collaborazioni, dei progetti…un futuro. Mi aspetto di correre dalla mattina alla sera e forse anche durante la notte perché 24h non bastano mai, ma è qualcosa che trovo assolutamente stimolante! Mi aspetto inoltre di trovare un ambiente musicale (e sottolineo, musicale, non prettamente chitarristico) dove non solo “posso” esprimermi al massimo, ma “mi viene richiesto” il massimo. Per rispondere alla prima parte della tua domanda…mi è stato insegnato che se devo pescare, vado a pescare nel mare grande. Dal momento in cui ho voluto studiare ed approfondire la musica contemporanea, la scelta è ricaduta subito su un insegnante (Elena Casoli) che si occupa, e in maniera incredibile, di questo da molto tempo e su una scuola (la HKB) che mi desse veramente la possibilità di avere contatti internazionali, una scuola dove suonare determinati brani del repertorio non è considerato “sacrilegio”, una scuola che offre determinate possibilità ai suoi studenti (ovviamente impegnandosi al massimo). Ti posso solo dire che l’11 maggio ero lì e mi sentivo Alice nel Paese delle Meraviglie…non vedo l’ora di tornarci!

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?


Il fatto in sé che passato e futuro diventino a volte elementi intercambiabili non mi sembra negativo, anzi…spesso proprio da questa mancanza di confini e dall’ascolto senza compartimenti stagni nascono idee notevoli, accostamenti bellissimi e particolari. A volte ci si rende conto di elementi in comune, di fili rossi che scorrono tra un’epoca ed un’altra, tra un brano ed un altro…e sono scoperte meravigliose.
Mi spaventa un po’ la visione uniforme che profetizzi. Non avere il senso del decorso cronologico, dell’evoluzione di una scrittura; non sapere cosa viene prima e cosa dopo, ma in maniera acritica…in maniera “ignorante” inteso proprio che la “si ignora”…questo sì è negativo, come è negativa l’ignoranza in genere. In particolare questo tipo di “globalizzazione” non permette di notare quei collegamenti di cui parlavo poco fa, non ti concede di creare degli accostamenti, perché non noti nemmeno le differenze. Una cosa è sapere, conoscere, aver approfondito e scegliere di ascoltare senza freni, senza limiti, senza pregiudizi…un’altra, e ben diversa, è non sapere e credere che sia tutto uguale.


continua domani ...

mercoledì 23 settembre 2009

Marco Cappelli Extreme Guitar Project Seminar 20 e 21 ottobre Mestre


20 e 21 ottobre dalle 15 alle 20 e 30 di sera presso L'elefante Rosso in Via della Crusca 34 a Mestre Venezia:


Marco Cappelli Extreme Guitar Project Seminar

Aperto a tutti i diversi tipi di approccio allo strumento (chitarra elettrica, chitarra classica, background rock, jazz, punk, musica contemporanea, sperimentazione, free improv ecc.) il seminario di Marco Cappelli intende concentrarsi sul suono e sull'interazione che con esso ha l'improvvisatore, l'interprete, il compositore: forte di una esperienza ormai pluriennale nella vivissima scena musicale newyokese, innestata sulla base di una precedente rigorosa formazione classica particolarmente focalizzata sulla musica contemporanea, Marco Cappelli si propone di ascoltare gli studenti in interpretazioni di brani di repertorio cosi` come di guidarli in esperimenti improvvisativi, lasciando che sia sempre il suono il minimo comun denominatore che accomuna qualsiasi espressione musicale. Aperto a chitarristi di qualsiasi estrazione musicale e livello tecnico.


per ulteriori informazioni, prenotazioni e contatti

Pat Ferro: info@patferro.com cell. 393476604914

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte seconda



Come è nato il suo interesse verso il repertorio contemporaneo e quali sono le correnti stilistiche nella quale lei si riconosce maggiormente?


Sono una persona curiosa per natura, ma l’input mi è arrivato da un corso di semiologia della musica contemporanea che ha fatto “scattare” in me molto più di una semplice curiosità. Prima la musica contemporanea comunque mi piaceva, mi attraeva e forse mi attraeva anche il fatto che fosse un mondo totalmente nuovo e tutto da scoprire. Era il mio personalissimo “folle volo” dantesco… un mondo di possibilità, di colori da mettere su una tela, un universo di energia pura, di immagini (a volte solari, altre angoscianti, sempre affascinanti). Capire alcune cose, imparare un modo per approcciarsi alla partitura, conoscere determinate cifre stiliste, grafiche, di notazione e imparare anche una breve “storia”, ovvero qual’era stata l’evoluzione della musica contemporanea ha fatto sicuramente in modo che io potessi prima di tutto apprezzare dettagli che prima faticavo a comprendere. Mi attiravano, ma non li comprendevo appieno. E’ stato fondamentale anche l’ascolto di certi brani, partitura alla mano, dopo aver imparato alcune cose: ricordo bene la prima volta che ascoltai Threnody to the victims of Hiroshima …c’era così tanta sofferenza, angoscia, devastazione in quelle note, era così incredibile quello che c’era scritto e così devastante il suo impatto sonoro che ho pensato che dovevo assolutamente studiare questo repertorio, che dovevo arrivare a capirlo. Era bastato così poco per rimanere devastata da questo brano…quanto mi stavo perdendo di musica straordinaria, emozionante, intellettualmente affascinante?
Per rispondere alla seconda parte della domanda: non credo che ci siano delle correnti stilistiche in cui mi riconosco di più. Ci possono essere compositori che mi piacciano più di altri e di questi compositori determinati brani che sento più “miei” di altri, ma così avviene anche per il resto del mio repertorio chitarristico. Amo follemente M. M. Ponce (e di Ponce non tutti i brani, comunque), ma non il repertorio segoviano in generale. Venero J. S. Bach, ma non la musica barocca in generale. Adoro Fausto Romitelli, ma non tutta la musica spettrale…la corrente minimalista in generale mi è affine…è complicato! Alla fine, al di là delle preferenze personali, che variano molto non solo da persona a persona, ma che cambiano continuamente anche in me che sono in continua evoluzione, la cosa che trovo fondamentale è rimanere “aperti”, non avere pregiudizi verso un compositore o un repertorio. Non impedire a sé stessi di scoprire colori nuovi, mai visti


Berio nel suo saggio “Un ricordo al futuro” ha scritto: “.. Un pianista che si dichiara specialista del repertorio classico e romantico, e suona Beethoven e Chopin senza conoscere la musica del Novecento, è altrettanto spento di un pianista che si dichiara specialista di musica contemporanea e la suona con mani e mente che non sono stati mai attraversati in profondità da Beethoven e Chopin.” Lei suona sia un repertorio tradizionalmente classico che il repertorio contemporaneo … si riconosce in queste parole?


Moltissimo! Penso che ci sia qualcosa di profondamente vero in ciò che scrisse Berio. Personalmente rifuggo tutto ciò che è “chiusura mentale”, rifiuto a priori di un determinato periodo storico e delle opere relative… trovo notevolmente limitante far riferimento ad una sola parte del repertorio senza conoscere, possibilmente in profondità, le altre. E’ normale che poi un musicista scelga magari il repertorio che più gli appartiene, che lo appassiona intellettualmente e fisicamente; ma un chitarrista che suona Takemitsu, senza aver conoscenza di Giuliani, Sor, Regondi…che suona Britten, Kurtag, Scelsi, Berio senza aver mai sviscerato completamente una suite di Bach (e viceversa, s’intende)…che musicista è? Quanto arida, spenta, senza direzione né retrospettiva sarà la sua musica?
Amo molto Bach e Giuliani e amo moltissimo Scelsi e Martin! E non trovo contraddizione in questo, anzi…
Deplorevole poi quando la scelta della specializzazione in un determinato repertorio è fatta ai fini di nascondere personali mancanze e lacune in tutto il resto!
Sento spesso chitarristi, di rado musicisti, che difendono a spada tratta il repertorio contemporaneo (che, per giunta, si “difende” benissimo da solo…) autoergendosi sopra una presunta “massa”…ma se poi si chiede loro di suonare quello che loro stessi definiscono “semplice e un banale quarto-quinto-primo” non sono quasi più in grado di articolare le dita. Eppure senza Mozart, Beethoven, Chopin, Schumann…non avremmo mai avuto Ligeti, Scelsi, Kurtag, Feldman…etc…come si fa ad ignorarlo?!?!
Qualche anno fa parlando a proposito dell’arte del rubato sentì dire “trova almeno cinque modi diversi di rubare ogni passaggio dove vuoi farlo…dopo di che puoi dire di aver fatto una scelta”. Quella frase detta in quel momento rischiarò il mio cielo e la trasformai in “solo quando trovi modi diversi di fare la stessa cosa puoi dire aver fatto una scelta”…se si suona senza fare questo passaggio, quanto c’è di vero, di musicalmente approfondito in ciò che si fa? Traslato: se non si conoscono (almeno in parte e quanto più possibile) i compositori, se non si conosce il repertorio del proprio strumento, quale scelta c’è?
E’ una non-scelta…di norma, il rifugiarsi in ciò che fa meno “paura” e si trova più a portata di mano. Una notevole pigrizia intellettuale, non trovi?


L'ignavia è un peccato mortale, per cui sono d'accordo con te. Parliamo di marketing. Quanto pensa che sia importante per un musicista moderno? Intendo dire: quanto è determinante essere dei buoni promotori di se stessi e del proprio lavoro nel mondo della musica di oggi?


Mi permetto di citare Elena Casoli (che a sua volta citava il grande Maestro Ruggero Chiesa), che durante una masterclass a Venezia disse: “i chitarristi non devono rimanere isolati”.
E’ qualcosa che va oltre la questione del marketing inteso in senso stretto: ora c’è YouTube, Myspace, Facebook…etc…sono mezzi di comunicazione e di interrelazione potentissimi e che ritengo sia fondamentale saper usare. E’ importante che i musicisti non siano isolati, che si rendano conto che ci sono altre persone che studiano, cercano, lavorano, fanno progetti spesso ambiziosi…delle cose meravigliose! E la voglia di fare aumenta! Ci sono collaborazioni con compositori, che sono nate grazie al fatto che delle persone avevano sentito alcune mie tracce audio ed erano venute a sapere di determinati miei interessi. Senza questo ora dei nuovi brani non ci sarebbero, avrei fatto meno concerti, avrei avuto meno possibilità d’espressione.
Per quanto riguarda il marketing in senso stretto, forse non è “determinante” essere dei buoni promotori di se stessi in ambito telematico…ma sicuramente è fondamentale lo spirito con cui si affrontano le avventure della vita…non la “capacità di vendersi” che è veramente un’espressione orrenda, ma la capacità di essere sul posto…con una professionalità, con voglia di fare, d’esprimere e di vivere…questo si! Puoi essere il migliore musicista del mondo tra le quattro mura della tua camera, ma “se un albero cade in una foresta deserta, senza che alcuno lo senta cadere, quell’albero è mai caduto?”…
continua domani ...

martedì 22 settembre 2009

Luogo, corpo, suono: ComposAzione 28 settembre

Luogo, corpo, suono: ComposAzione
Lunedì 28 settembre ore 10.00 - 16.00
Auditorium S. Margherita – Ca’ Foscari
Luogo, corpo, suono
composAzione
convegno

presentazione e relazioni di:
Luca Francesconi, Donella Del Monaco, Giovanni Guanti, Anna Maria Morazzoni, Daniele Goldoni, Gaetano Santangelo, Nicola Campogrande
schemi d’improvvisazione dei compositori:
Michele Tadini (commissione La Biennale di Venezia)
Luca Mosca (commissione La Biennale di Venezia)
Vittorio Montalti (commissione La Biennale di Venezia)
Arrigo Cappelletti (Conservatorio B. Marcello)
esecuzione e improvvisazione dei musicisti:
Donella del Monaco (voce), Angelica Faccani (violino), Laura Gentili (violino), Francesca Canova (viola), Tiziana Gasparoni (violoncello), Daniele Goldoni (tromba, flicorno), Andrea Bressan (fagotto), Alberto Collodel (clarinetto e clarinetto basso), Arrigo Cappelletti (pianoforte), Giovanni Mancuso (pianoforte, moog), Alex Poletto (percussioni), Stefano Del Sole (percussioni), Dario Pisasale (chitarra elettrica)
a cura del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e dell’Associazione Opus Avantra
in collaborazione con il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia

La grande musica classica dell'Ottocento e della prima metà del Novecento ha diviso i ruoli del compositore e dell'esecutore e prodotto una distanza fra la scrittura e il corpo sonoro pubblico. Questa distanza è stata straordinariamente feconda per l'elaborazione individuale e il filtraggio della memoria musicale, ma ha prodotto anche l'effetto di suggerire un'attitudine passiva e ripetitiva verso feticci di autorità, svalutativa delle potenzialità del suono, sottraendo al momento dell'ascolto pubblico la partecipazione all'azione creativa nel corpo del suono.
Siamo convinti che, invece, la partecipazione a questa azione creativa aiuti efficacemente a costituire un’esperienza interattiva di ascolto – anche fra musicisti e pubblico - capace di restituire alla musica il suo luogo in modo convincente. Il corpo del suono non vive senza un luogo di condivisione.Nella giornata si succederanno quattro pezzi, costituiti da schemi scritti dai compositori Arrigo Cappelletti, Vittorio Montalti, Luca Mosca, e Michele Tadini e da improvvisazioni sugli schemi da parte di un ensemble, composto per l’occasione, di musicisti con esperienze diverse e trasversali, dalla musica classica e contemporanea al jazz. Un esperimento certamente difficile e rischioso, poiché intende mettere alla prova del dialogo la tradizione della composizione scritta con la capacità degli improvvisatori di sviluppare le potenzialità sonore degli schemi, cercando di evitare di insistere su patterns dell'improvvisazione 'colta' o del jazz.L'esecuzione dei pezzi sarà intervallata dalle relazioni dei musicologi e filosofi sui temi del corpo, della voce, del suono, con una riflessione trasversale fra musica e filosofia, consapevole degli sviluppi della filosofia dopo McLuhan, Deleuze, Derrida.

Intervista con Chiara Asquini di Empedocle70 parte prima



La prima domanda è sempre quella classica: come è nato il suo amore e interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o ha suonato?




Grazie a mia madre! Quando avevo 7 anni mi chiese, ripetutamente, se volevo suonare la chitarra o il pianoforte. Mia madre non ha mai fatto studi musicali, ma ha una sensibilità artistica finissima. Scelsi subito la chitarra...mi affascinava moltissimo e così a 8 anni cominciai. Ricordo poi con una tenerezza infinita un concerto che Elena Papandreou tenne a Gorizia; era il 17 gennaio 1997, avevo 11 anni e quella sera dissi a mia madre, seduta a fianco a me “da grande voglio fare la concertista”. Ero rimasta incantata: Elena fu splendida e così la sua musica...poetica e intensa da far male. C'era il destino di mezzo poi: io fui la bimba designata a portarle i fiori sul palco...
Suono ancora con una chitarra che il liutaio Luciano Lovadina costruì per me nel 1999: abete rosso italiano, diapason 65, fasce in palissandro brasiliano. 10 anni di matrimonio, ma è uno strumento stupefacente, ricco di colore, con una “personalità”, un'eleganza e allo stesso tempo una forza intrinseca che ho visto di rado in altri strumenti.
A breve dovrei avere un altro strumento che prevedo incredibile, senza ovviamente abbandonare la mia Lovadina: una chitarra del liutaio Livio Lorenzatti. Tavola in abete, diapason 65, fasce in palissandro. Ho avuto la possibilità da poco di provare i suoi strumenti: è un liutaio giovane, ma che costruisce dei piccoli gioielli riuscendo a coniugare potenza e direzione ad un suono “che ha una storia” e che non risulta affatto vuoto.
Resto comunque sempre attenta alla liuteria…visito le mostre, se posso provo le chitarre degli altri. Il rapporto con uno strumento per me è una cosa particolare: quando tengo una chitarra tra le gambe, l’abbraccio e la suono devo “sentirmi a casa”…che non è solo un buon connubio di fattori timbrici, estetici, tecnici…ma una sensazione fisica che non posso assolutamente ignorare. Non esiste la chitarra perfetta, ma esiste la chitarra perfetta per me.

Qual è stata la sua formazione musicale, con quali Maestri ha studiato e quale impronta hanno lasciato nella sua musica?




Ho avuto la fortuna di studiare con tanti Maestri, di frequentare moltissime masterclass ed avere così una formazione molto eterogenea, ma di questi Maestri quelli da cui ho appreso maggiormente e che hanno lasciato la loro impronta nel mio modo di suonare e nel mio modo di vivere la musica e la vita sono essenzialmente tre. Mi sono diploma al Conservatorio di Trieste con il Maestro Pierluigi Corona nel 2005, nella cui classe ho conseguito anche la laurea di secondo livello un paio di settimane or sono. Parallelamente al Conservatorio ho studiato con Lena Kokkaliari e con Oscar Ghiglia, all’Accademia Chigiana a Siena e in altre masterclass. Un Grazie mio particolare va poi a Roland Dyens, che è stato il primo maestro a credere in me e nelle mie possibilità quando ero ancora solo una bambina e ad Eduardo Fernandez, con cui non ho studiato a lungo come con gli altri insegnanti, anzi…ma Fernandez è una persona essenzialmente, prima che un Maestro, che anche solo parlandomi dopo i concorsi o in altri momenti mi ha influenzato profondamente…dandomi sempre dei consigli fondamentali.
Si può dire che da Pierluigi Corona ho imparato “come si suona la chitarra”…mi ha insegnato gran parte di quello che so, dalle prime note ai brani più impegnativi. Mi ha lasciato l’entusiasmo, l’energia. Corona è una persona e un musicista profondamente solare, generoso con la musica e con il pubblico durante i concerti. Mi ha mostrato, con il suo esempio, cosa significa “professionalità” fin da piccola…arrivare (puntuali) e sempre ben preparati a delle prove, studiare sempre, approfondire, leggere tantissimo. Sono grandi insegnamenti.
Lena Kokkaliari è la “dea della maieutica socratica” e del problem solving aggiungerei! Mi ha insegnato a non girare mai (mai!) la testa dall’altra parte di fronte ad un problema, ma soprattutto a scansionarlo, frantumarlo, comprenderlo e risolverlo…sia che questo sia un problema prettamente tecnico, sia ovviamente con “problemi” musicali. Mi ha condotto a trovare sempre la mia strada nei brani che suono e poi ad ascoltare cosa hanno fatto grandi musicisti prima di me…si scoprono cose sorprendenti a volte! E’ una persona che ha sempre creduto in me e che mi ha dato e mi dà grande forza, sempre. Ah si, quasi dimenticavo….Lena mi ha insegnato a sorridere sempre…se fai un concorso e arrivi secondo (o quarto…o non arrivi affatto) tu continua a sorridere, persino di fronte ad ingiustizie palesi. Sorridi come se ti avessero dato il primo premio: con questo sorriso, che non è mai un sorriso forzato o di circostanza, ma dev’essere un sorriso che parte dal cuore, mi ha dato un insegnamento più grande…essere profondamente serena con me stessa, in pace con la mia musica, consapevole di quello che c’è di buono e di quello che ancora non va. Spesso quando si è giovani, se un concorso va male crolla il mondo. Ci si dovrebbe ricordare sempre che “se vinci non suoni meglio di prima e se “perdi” non suoni peggio di prima”. E’ un insegnamento di vita, prima che di musica!
Con questo bagaglio sono poi arrivata da Oscar Ghiglia, un Maestro che mi ha lasciato in dono tantissimo. Oscar mi ha insegnato molte cose, ma forse due sono stati gli insegnamenti fondamentali: “i limiti sono solo nella nostra mente” e a vedere sempre il collegamento che sussiste tra le note, il filo sottile che le lega, anche a grande distanza. Oscar mi ha insegnato l’amore per il dettaglio (non che gli altri non l’abbiano fatto!), ad entrare dentro la partitura profondamente, scandagliarla, capirne i segreti…mi ha insegnato che poi questi segreti si possono vedere in maniere differenti, ottenendo per lo stesso brano diverse interpretazioni plausibili e tutte essenzialmente valide.






continua domani ...

lunedì 21 settembre 2009

Speciale Chiara Asquini: altre foto




Speciale Chiara Asquini


Care Amiche e cari Amici, questa settimana il Blog Chitarra e Dintorni riprende finalmente una iniziativa di un anno fa: quella di dedicare speciali e interviste anche alla giovani chitarre, alle musiciste e ai musicisti neodiplomati o diplomandi decisi a intraprendere la carriera musicale.
Riprendiamo questo discorso con lo speciale dedicato alla chitarista Chiara Asquini, sono sicuro che troverete interessanti il suo curriculum. le sue foto, i suoi video e l'intervista.

Un grande in bocca al lupo, Chiara!

Empedocle70


Speciale Chiara Asquini: biografia



Nata a Gorizia nel 1985, inizia gli studi musicali all’età di otto anni; dopo il diploma a pieni voti nel 2005, consegue nel 2009 la laurea di secondo livello in discipline musicali ad indirizzo interpretativo con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “G. Tartini” di Trieste nella classe del professor Pierluigi Corona.
Dal 2009 è stata ammessa a frequentare inoltre il Master I (Konzertdiplom) in interpretazione della musica contemporanea presso la Hochschule der Kunste für Musik und Theater di Berna con la professoressa Elena Casoli.
Dal 2006 si perfeziona con il Maestro Lena Kokkaliari, direttrice della rivista musicale specialistica “Il Fronimo”.Inizia ad affinare e ad approfondire gli studi con il Maestro Oscar Ghiglia nel 2003 seguendo i suoi corsi a Siena, Gargnano e Milano sino a frequentare nel 2006 il corso di perfezionamento all’Accademia Chigiana ricevendo la borsa di studio e conseguendo fin dal primo anno il Diploma di Merito.


Grazie alla forte personalità, all’eleganza del tocco e alla sua spiccata musicalità riesce a mettere d’accordo giurie differenti in importanti concorsi internazionali e nazionali risultando sempre tra i premiati (Voghera, Roburent, Lodi, Lamporecchio, Villanova Mondovì, Mottola, Povoletto, Gorizia) o tra i vincitori (Torino, Roburent, Mottola, Cassina de Pecchi, Villanova Mondovì, Parma).


In particolare nel 2005 vince la “Selezione dei Giovani Concertisti” al Festival Internazionale “N. Paganini” di Parma. Nel 2006 vince il premio del Friuli Venezia Giulia al Concorso Europeo “Enrico Mercatali” come miglior chitarrista friulana. Ha partecipato come allieva effettiva a diversi corsi di perfezionamento con Maestri di fama internazionale tra i quali Oscar Ghiglia, Emanuele Segre, Roland Dyens, Paolo Pegoraro, Alberto Ponce, Arturo Tallini, Eduardo Fernandez, Stefano Grondona, Pavel Steidl, Olivier Chaissen, Walter Wuerdinger e Jukka Savijoki. Ha inoltre seguito i seminari e le masterclass dei Maestri Gilardino, Hoppstock, Davezac e Marchione.


Nel 2007 fonda il Duo Synthesis con il pianista e compositore triestino Paolo Troian.La passione per la musica contemporanea la porta a collaborare con giovani compositori italiani, promuovendo la creazione di brani per il repertorio chitarristico.


Tiene concerti in diverse città italiane ed europee sia in veste di solista sia in diverse formazioni e dal 2004 inizia l’attività didattica in alcuni istituti musicali.


Suona con una chitarra del Maestro liutaio Luciano Lovadina.




domenica 20 settembre 2009

La chitarra dell’800 Biennio di specializzazione a cura di Claudio Maccari e Paolo Pugliese


La chitarra dell’800
Biennio di specializzazione

a cura di Claudio Maccari e Paolo Pugliese

presso Accademia Internazionale della Musica Istituto di Musica Antica

Villa Simonetta - Milano, via Stilicone 36


L’Istituto di Musica Antica dell’Accademia Internazionale della Musica di Milano ha istituito, a partire dall’anno accademico 2007-2008, la classe di Chitarra dell’800 con i maestri Claudio Maccari e Paolo Pugliese. Il musicista che affronti il repertorio ottocentesco per chitarra si trova spesso a dover rispondere a molti interrogativi, la cui corretta soluzione è essenziale per cogliere – e rendere agli ascoltatori – il senso e lo spirito della musica del periodo. Importante, ad esempio, è come ritrovare nei testi storici di pratica esecutiva vocale e strumentale tutto ciò che non è scritto nelle musiche a stampa o manoscritte.
Le informazioni sulla scelta dello strumento e sul tipo di corde e la conoscenza dello stile vocale dell’epoca, legato alla gestualità espressiva degli strumenti coevi, diventano caratteri essenziali per la comprensione e l’interpretazione del testo musicale. Il biennio di specializzazione in Chitarra dell’800 prevede lo studio approfondito del repertorio per chitarra nel periodo classico e romantico, dalla nascita della chitarra a 6 corde fino alla chitarra modello Torres.

Il corso è strutturato in lezioni individuali settimanali o quindicinali per un totale di 33 ore annuali. E’ contemplata la presenza a stage, masterclass o a quanto sia compreso nell’indirizzo prescelto.

Contenuti

* Analisi, finalizzata all’esecuzione, degli elementi stilistici e interpretativi del periodo classico e romantico
* Approfondimento delle tecniche strumentali
* Studio delle tipologie e criteri di scelta delle montature di corde in budello per chitarra
* Conoscenza dei principali trattati e metodi vocali e strumentali
* Conoscenza dei principali trattati e metodi per chitarra
* Pratica di ornamentazione e improvvisazione
* Sviluppo della pratica d’esecuzione a memoria
* Studio ed esecuzione in concerto di pezzi per chitarra e orchestra e in ensemble da camera
* Studio approfondito dell’evoluzione storica e costruttiva dello strumento
* Esame-concerto di fine corso da solista, in ensemble e da solista con orchestra

I Fotografi e la Chitarra Classica

ClaSsiC gUiTar

Classic guitar

Classic guitar shadow

my Old classic Guitar  -  part Of ME!

sabato 19 settembre 2009

Recensione di Event and Repetition di Richard Pinhas, Cuneiform Records, 2002

Richard Pinhas

Sembra uscita fresca fresca da un gioco fatto con Photoshop la copertina multicolore di questo cd realizzato dal chitarrista Richard Pinhas, in assoluto uno dei musicisti più influenzati dalle teorie estetiche e filosofiche di Gilles Deleuze. Le idee del filosofo francese si fanno notare fin dal titolo del disco e si fanno sentire fin dall’inizio in crescendo del primo brano, EFRIM. Il suono che esce dalle casse dell’impianto stereo (in questo caso regolato ad alto volume) è quello di una musica basata su sovrapposizioni di note distorte, dilatate, ricche di armonici e di echi creando una tessitura, un intreccio musicale dove è difficile distinguere e ricordare i singoli passaggi che si ripetono con minime variazioni e dove è più facile lasciarsi avvolgere e coinvolgere da un soundscape rigoglioso, ribollente e caleidoscopico. Più che di minimalismo in questo caso è forse meglio scomodare il termine massimalismo andando con la memoria ad altre musiche vicine come quelle di Brian Eno e di Robert Fripp, anche se qui il contenuto melodico è minore mentre più alti sono i livelli di distorsione, il tutto omaggiando ancora una volta i rizomi e il corpo senza organi di Gilles Deleuze, solo che questa volta il corpo è quello di una chitarra elettrica.

Empedocle70

giovedì 17 settembre 2009

Laboratorio & Masterclass a Fornesighe con Elena Càsoli e Florindo Baldissera Video

Laboratorio & Masterclass a Fornesighe con Elena Càsoli e Florindo Baldissera

Il 30 e 31 agosto Elena Càsoli ha tenuto a Fornesighe, nella bella cornice dei monti della Valle di Zoldo il seminario dedicato alla Nuova Musica per chitarra, e una masterclass che chiudeva una settimana molto ricca iniziata con il Laboratorio di chitarra dal 24 al 29 agosto, tenuto da Florindo Baldissera, il tutto organizzato dall’Associazione Piodech Zoldan di Fornesighe.
Scopo del laboratorio di chitarra era quella di creare una “full immersion” nella musica per chitarra con lezioni collettive e individuali per gli studenti nel corso della giornata e con numerosi concerti tenuti dagli stessi allievi al fine di testare la tenuta delle loro esecuzioni e introdurli al difficile mondo dell’attività concertistica.
Scopo invece della masterclass di Elena Càsoli era la presentazione tramite un eccellente seminario svoltosi la mattina del giorno 30 e le lezioni individuali dell nuove musiche per chitarra, frutto delle idee innovative maturate nel corso degli ultimi anni che hanno visto un impressionante fiorire di nuove composizioni e nuovi linguaggi dedicati allo strumento a sei corde. A coronamento del tutto il bel concerto tenuto dal Gilbert Imperial nella sera del 30 con un repertorio sia per chitarra classica che elettrica.
Una settimana di intenso lavoro, nuove scoperte e conoscenze.

Empedocle70

mercoledì 16 settembre 2009

Un Tango nel Bordello di Rubén Andrés Costanzo parte terza


La signora Meri Lao nel libro sopra citato ci parla di un’indagine sociologica realizzata da Hugo Lamas e Victor Di Santo, credo che si riferisca al lavoro di Hugo Lamas ed Enrique Binda: El tango en la sociedad porteña 1880-1920 14, una ricerca fatta sui giornali dell’epoca, archivi della polizia e del municipio della città di Buenos Aires. Anche se la ricerca manca di una prosa fluida e di un approccio epistemologico adeguato, il materiale analizzato è di un valore inestimabile e cancella molti miti e dubbi sui primi anni di vita del tango. Tra i temi affrontati nel libro due mi hanno maggiormente colpito, primo: nel capitolo VII con una proficua documentazione del 1901 si dimostra che nelle sale di divertimento frequentate dalla “gente per bene” si ballava non solo il “tango criollo” ma anche altre musiche con “cortes y quebradas” – figure tipiche della coreografia tanghera ma ballate su altri ritmi – tali balli era pubblicizzati nei giornali e commentati il giorno seguente con ampie recensioni.
Secondo: nel capitolo XIII incontriamo un’analisi statistica delle pubblicazioni di spartiti nella prima decade del 1900. Il numero è sorprendente, quasi mezzo milione di spartiti di tango pubblicati in quegli anni. Questo numero ci fa pensare due cose: o che il numero di postriboli era altissimo o che il tango veniva suonato e ascoltato anche nelle case che possedevano uno strumento musicale, cioè famiglie di classe economica elevata.
Un altro interessante articolo che smonta la tesi dell’origine postribolare del tango lo troviamo nella rivista Club de Tango, diretta da Oscar Himschoot. L’autore si chiama Ricardo Ostuni, il titolo è tutto un programma: Baronessa Eloisa D’Herbil de Silva, Sconocsiuta Autrice di Vecchi Tanghi nell’epoca di Musica Proibita 15. Questa baronessa, nata a Cuba nel 1852 e giunta a Buenos Aires nel 1860, è una donna di grande cultura, parla diverse lingue e soprattutto compone musica di carattere molto eclettico. Tra suoi brani troviamo musica per bambini, composizioni religiose e numerosi tanghi tra cui: Che!… no me Caloties, La Multa, Por la calle Arenales, tutti pubblicati prima del 1905. Il suo paroliere è Nicolas Granada noto autore di teatro e politico, figura di spicco della cultura rioplatense della fine del 1800.

Il tango non è nato nel bordello, come neanche i letti e le lenzuola, ma non possiamo negare che questo passaggio sia stato una tappa fondamentale nella sua storia.
Nello scrivere questo articolo ho avuto un grande aiuto dal libro del sociologo uruguayano Daniel Vidart – El Tango y su mundo 16– che nel capitolo due confuta in forma documentata la tesi della nascita prostibolaria del tango, pur ammettendo il suo passaggio attraverso il bordello. L’autore si indigna con gli intellettuali che scrivono senza approfondire l’argomento; certo i sobborghi proletari erano anche il territorio di malavitosi ma raccomanda a tutti di: “ non confondere dunque. Bisogna tracciare una riga profonda, una frontiera essenziale tra i poveri e i malavitosi. Ancora sopportiamo il reiterato equivoco degli aristocratici, plutocrati e burocrati urbani che confondono l’umile con lo sporco, il popolare con quello di bassa lega, la cosa proletaria con la indecente” (pag 34)
Un altro aiuto mi è venuto dal libro di Josè Sebastiàn Tallòn: El Tango en sus etapas de mùsica prohibida 17, di cui, anche se contrasta in molti punti con Daniel Vidart, riscatto l’idea dell’esistenza di due tanghi: “uno prostibolario e uno fatto nelle case del popolo” (pag 34).
Sono partito con una frase di Wimpi che ci avverte del vuoto che rimane quando uno spiega i misteri del mondo. Solo i romanzieri hanno il permesso di raccontarci il mondo senza bisogno di spiegare o documentarsi. Forse molti di voi hanno letti i racconti di J.L. Borges ambientati nelle strade di Buenos Aires, ma per chi conosce lo spagnolo io raccomando altri due autori: Gonzales Tuñon – Tangos 18– e Manuel Alvarez – Historia del Arraba 19l . Forse con loro due la nostra immaginazione potrà riempire il vuoto del divagare intellettuale.

Perché la prossima volta non parliamo del tango e delle sei corde? Non dimenticate il mate.


Rubén Andrés Costanzo
Foto di Pat Ferro


14 Hugo Lamas, Enrique Binda, El tango en la socidad Porteña (1880-1920) Hector Lorenzo Lucci Ediciones, Buenos Aires 1998
15 Ricardo A. Ostuni. Baronesa Eloisa D’Herbil de Silva Desconocida Autora de Viejos Tangos en la Epoca de Mùsica Prohibida. Club de Tango. N° 1 Buenos Aires sttembre ottobre 1992
16 Daniel Vidart, El Tango y su mundo. Ediciones Tauro. Montevideo. 1967
17 Josè Sebastian Tallòn, El Tango en sus etapas de mùsica prohibida. Instituto Amigos del libro Argentino. Bos Aires 1964 (prima edizione 07/01/1959)
18 Enrique Gonzàlez Tuñon, Tangos. M. Gleizer Editor. Bs. As. 1926
19 Manuel Gàlvez, Historia del Arrabal. Agencia General de Libreria y Publicaciones. Bs.As. 1922

martedì 15 settembre 2009

Museo Zauli a ArtVerona

Carlo Zauli sarà presente alla prossima edizione di ArtVerona con Galleria Bianconi, in un progetto concepito ad hoc di forte impatto visivo e culturale dal titolo THROUGH ATTRAVERSO LA SCULTURA. Si tratta di un excursus transgenerazionale che prenderà le mosse dall’opera scultorea di Lucio Fontana, e che vedrà, in particolare, le realizzazioni museali e monumentali di Carlo Zauli.
info 335 8013524
PADIGLIONE 11 STAND G 6
17.09 16.00 - 20.00
18.09 >20.09 11.00 - 20.00
21.09 11.00 -15.00
Porta RE TEODORICO viale dell'industria quartiere fieristico Verona
Luca Trevisani, artista in residenza 2009 al MCZ, sarà uno dei protagonisti di Ctalks alla fiera di Verona, uno degli incontri che il festival dell’arte Contemporanea promuove nel suo itinerario internazionale nei luoghi e negli eventi dell’arte contemporanea, insieme a Pier Luigi Sacco, membro della direzione scientifica del festival, Mario Nanni, progettista di luce, e l’architetto designer Marco Ferreri, in un confronto intitolato Contaminazioni: arte e design.
17.09 ore 18.30
nell’ambito di ArtVerona e del suo programma FACE TO FACE
Spazio Aletti, padiglione 11 - stand I 14 / L11
Per il programma completo vai al sito di ArtVerona
Informazioni

Un Tango nel Bordello di Rubén Andrés Costanzo parte seconda


Alla fine dell’800 Buenos Aires e Montevideo erano il centro di piccolo universo, la loro forza di gravità attirava milioni di disperati, dall’Europa principalmente. A causa di una cattiva accoglienza molti tornavano in pochi mesi alla terra d’origine, altri rimanevano ammucchiati nei sobborghi. La maggioranza di questi immigrati erano uomini. Per dirla come Scalabrini Ortiz: l’uomo di Buenos Aires è “un uomo solo che attende”8 , e un uomo in queste condizioni ha bisogno di compagnia femminile. La prostituzione in Buenos Aires e Montevideo, tra il XIX e il XX secolo9, era sicuramente un’attività redditizia dato che lo svago degli immigrati passava dal bordello.
La nascita di un mito. A partire degli anni ‘20 si comincia a scrivere la storia del tango; le cui narrazioni sulle sue prime età, raccolte da diversi scrittori, ci danno l’immagine di un mondo postribolario, racconti che non trovano riscontro nei documenti ufficiali (archivi municipali e di polizia, licenze per postriboli). Certo, sarebbe ingenuo credere di trovare documenti in merito, ma questa mancanza di fonti ufficiali non toglie veridicità alle testimonianze di tanti uomini che hanno visto musicisti animare con tanghi le serate nelle case chiuse.
Inoltre, la maggioranza dei narratori apparteneva alla classe alta che frequentava i quartieri umili solo per divertimento, senza conoscere la vita quotidiana e onesta di quei luoghi.
Non ci sono dubbi che tra il XIX e il XX secolo, il tango circolava nei bordelli e dintorni. Alcuni luoghi erano molto ambigui come le Academias in Montevideo, o i Piringundines in Buenos Aires. Vicente Rossi nel suo celeberrimo libro Cosas de negros10 sostiene addirittura che il tango nasce in una Academia conosciuta col nome di San Felice nei sobborghi di Montevideo. Al di là di questa affermazione categorica, andiamo a vedere che attività vi si svolgevano. Oggi il successo di una discoteca è in parte dovuto alla presenza femminile, per questo motivo si offrono ingressi gratis o agevolazioni nel prezzo al gentil sesso; a Buenos Aires o Montevideo, nei primi anni del novecento, c’erano poche donne a cui offrire ingressi gratuiti alle serate danzanti, ma i gestori delle Academias si arrangiavano assumendo “ballerine” e facendo pagare agli uomini una modica cifra per ogni brano ballato, così che per gli “uomini soli” della classe bassa rioplatense il divertimento era assicurato. Tutti gli studiosi concordano che in questi ritrovi si andasse soltanto a ballare e non a far sesso, ma su quello che le ballerine facessero dopo la seduta di ballo non veniva mai registrato. Non so quanto sia vero, ma i libri ci raccontano che le donne venivano scelte in base alla bravura nella danza e non per la bellezza, da essi sappiamo che le ballerine portavano gonne corte per facilitare i movimenti durante il ballo, questo permetteva di scoprire le caviglie (erotismo d’altri tempi), bisogna aggiungere che se una donna ricorreva a questo tipo di lavoro era per necessità e non per il piacere artistico della danza.
In questo periodo agli uomini della classe alta di Buenos Aires non mancava il divertimento; due luoghi di svago sono stati resi famosi dalle parole di un tango: “Vos fuiste el rey del bailongo en lo de Laura y la Vasca…”11diversi frequentatori ci dicono che queste due signore gestivano postriboli organizzando serate danzanti per uomini di classe sociale elevata, come preludio agli incontri sessuali. Musicisti del livello di Rosendo Mendizabal, (autore del tango El Entrerriano) hanno suonato in questi luoghi.
Nonostante non siano stati citati in tanghi famosi, erano molti i bordelli che offrivano serate di ballo con musicisti di alto calibro.

Agli inizi del XX secolo, nel quartire della Boca, divenne famoso l’incrocio (esquina) delle vie Suarez e Necochea grazie ai numerosi locali che eseguivano tango di buon livello; nonostante fossero solo locali da musica non era difficile trovare nelle vie adiacenti numerosi postriboli, non dimentichiamo infatti di trovarci nel quartiere del porto di Buenos Aires12.
Tra i luoghi che possiamo definire “ambigui” per la commistione di musica, sesso e malavita, possiamo inoltre citare: verso nord i Raduni della Recoleta13, i locali del parco di Palermo, le tende di Retiro; verso ovest Los corrales (dove i mandriani radunavano gli animali per il macello).
Molti vedono l’origine prostibolaria del tango in alcuni brani con titoli a doppio senso. Va ricordato che il tango primitivo era una danza e la musica veniva creata in base a questo bisogno; nonostante ciò alcuni di questi brani avevano ritornelli divertenti o osé, mentre in altri i titoli erano con doppio senso; per esempio: Dame la lata (Dammi il gettone – in riferimento al gettone che il cliente dava alla prostituta come prova del pagamento) di Juan Pèrez, La Clavada (La Chiavata) di Zambonini, La Cara de la Luna (scritta sullo spartito in modo da intuire La Concha de la Lora – La f… della prostituta) di Manuel Campoamor; la lista potrebbe proseguire ma come esempi credo siano sufficienti.
Questi argomenti ci dimostrano certo il passaggio del tango nell’ambiente del sesso a pagamento, ma non che questo sia il suo luogo di nascita.


... continua domani
Foto di Pat Ferro


8 Raul Scalabrini Ortiz. L’uomo che è solo e attende, Bompiani. Milano. 1934
9 Albert Londres, El Camino de Buenso Aires (La trata de blancas) Editorial Excelcior. Bs.As. s/data ( pubblicato nei attorno il 1928)
Yvette Trochon, Las rutas de Eros La trata de blancas en el Atlàntico sur. Argentina, Brsil Uruguay (1880-1932). Editorial Taurus. Montevideo 2006
10 Vicente Rossi, Cosas de Negros. Libreria Hachette. Buenos Aires 1958 (la prima edizione e del 1926)
11 Trad.: “Tu sei stato il re del ballo da Laura e la Basca”, Parole tratte del tango: No aflojès (Non mollare), scritto da Mario Battistela con la musica di Pedro Maffia e Sebastian Piana. Suonato per prima volta dall’orchestra di Pedro Maffia nel 1934, ma reso memorabile dalla voce del canatante Angel Vargas con l’orchestra di Angel D’Agostino in una regsitrazione del 1940.
12 Luis Adolfo Sierra. Historia de la orquesta tìpica. Buenos Aires. A. Peña Lillo Editor srl. 1976. Vedere pagina 34
13 Josè Antonio Wilde, Buenos Aires desde setenta años atràs (1810-1880). Eudeba. Bs. As. 1960. Vedere pagina 251