La
prima domanda è sempre quella classica: come è nato il tuo amore e
interesse per la chitarra e con quali strumenti suona o hai suonato?
Non
so se è esatto per me, dire com'è nato l'amore per la musica perché
è stato qualcosa di naturale. Qualcosa che avevo già dentro ed è
affiorata a sei anni, quando mi aggrappavo al pianoforte di mio padre
per pigiarne i tasti. Ho studiato questo strumento per nove anni e
contemporaneamente violino, per sei anni. La chitarra la “scoprii”
a otto anni, un pomeriggio di estate a casa di una mia cugina .
Aveva, tra i giocattoli, una chitarrina di plastica, di quelle che
allora vendeva ogni bancarella. Ricordo che presi a suonarla
inventando brani. Mio padre si avvicinò e mi chiese se mi sarebbe
piaciuto avere una chitarra vera. Non esitai a rispondergli un sì
pieno di gioiosa eccitazione ed ebbi in dono una Pedro Martinez.
Studiai da solo, con un metodo dell’ottocentesco Ferdinando Carulli
e, dopo un anno, studiando da autodidatta, i miei mi proposero al
Maestro Carlo Palladino e ne divenni allievo. Al primo appuntamento
mi accompagnò mia nonna che voleva portare per me la chitarra
-“Pesa”-diceva-, ma non avrei dato a nessuno la mia chitarra, per
nessuna ragione al mondo. Ecco, forse scoprii quel giorno la passione
che mi lega a questo strumento.
Senti
… ti faccio una domanda .. sono un grande appassionato di Franco
Cerri, so che tuo padre ha suonato con lui, tu l’hai mai
incontrato?
Mio
padre ha suonato per lunghi anni nella band di Franco Cerri. Era
legato da profonda amicizia a Peppino Principe, grande
fisarmonicista jazz, che lo presentò a Cerri. Loro e mio padre,
anche lui fisarmonicista jazz nonché clarinettista e pianista, si
riunivano spesso a casa mia anche solo per delle jam session, da
prima che io nascessi. Così, quando a nove anni iniziai a studiare
chitarra con il grande Maestro Carlo Palladino, Franco si divertiva a
coinvolgermi nelle loro jam finché un giorno disse” Devi suonare
anche l'elettrica”. Mi spronava sistematicamente così, infine, mio
padre, dietro suggerimento di Franco, mi comprò una Egmund Jazz. Fu
la mia prima chitarra elettrica, mi divertivo tantissimo...
bellissimi ricordi, splendide persone e grandi artisti.
Diversamente
dalla gran parte dei tuoi colleghi in ambito classico, tu hai dei
trascorsi significativi nell’ambito della musica leggera e del
rock, come sono nate queste collaborazioni?
La
mia collaborazione nell'ambito della musica leggera è stata breve,
potrei dire che si limitava a delle performances per me poco
coinvolgenti pur essendo molto apprezzato come chitarrista. Ho fatto
lavori di pregio con molti artisti ma è stato molto tempo fà.
So
che hai suonato con delle divinità del rock come Steve Vai, Ian
Paice e Buddy Miles, come li hai conosciuti? Confesso di essere
particolarmente interessato a Miles, sai non capita tutti i giorni di
conoscere qualcuno che ha lavorato così tanto con Hendrix …
Sì,
è stata una grande esperienza il rapporto con la musica rock vissuta
a livello internazionale. Sono musicisti che apprezzo molto e che ho
conosciuto nel corso dei miei concerti o nelle sale di registrazione
della BMG. Finimmo con il suonare insieme. Con Dave Mason in duo al
Politeama di Genova, e ho spesso suonato anche con Jan Paice. Con
Steve Vai fui anche ospite d'onore ad un suo seminario a Roma.
L'incontro con Buddy Miles fu particolare. Ascoltò un mio
arrangiamento per chitarra classica di Purple Haze che avevo caricato
sul mio sito, nel 2003. Mi scrisse subito esprimendo grande
apprezzamento per il mio lavoro, disse “ Tu sei colui che fa
rivivere Jimi Hendrix”. Mi fece davvero un grande piacere. Con
Buddy, immenso musicista, dopo una lunga e proficua corrispondenza e
collaborazione via web, decidemmo di fare un concerto insieme, con
arrangiamenti dei pezzi di Hendrix e relativo cd. Eravamo pronti e
invitai Buddy a Genova, a casa mia avremmo lavorato sull'imminente
concerto. Ricordo che improvvisamente non lo sentii più, nessuna
email, il telefono squillava a vuoto. Mi chiamò un suo familiare per
comunicarmi la tristissima notizia. Il mio splendido amico se n'era
andato poco prima di incontrarci. E' stato un felice e significativo
incontro nella mia vita, così come quello con Ravi Shankar che
conobbi a Piacenza nel 1984, in occasione di un meeting
internazionale per Maestri. Parlammo a lungo di musica e spiritualità
e quando ci salutammo mi consegnò “Risveglio”, un brano che mi
dedicava, mi disse “ Seven
strings, seven levels of awareness”, sette corde, sette livelli di
consapevolezza... aveva perfettamente compreso che per me, musica e
spiritualità sono la stessa cosa.
Berlioz
disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per
farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è
stata spesso usata come una giustificazione per l’esiguità del
repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il
pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più
“messa in crisi” dal crescente interesse che la chitarra (vuoi
classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella musica
contemporanea, per non parlare del successo nella musica leggera,
dove chitarra elettrica è ormai sinonimo di rock ... in quanto
musicista polivalente e trasversale… quanto ritiene che ci sia di
veritiero ancora nella frase di Berlioz?
Nulla
di vero. La chitarra è come altri strumenti mentre, per quelli
antichi, è necessaria l'intavolatura dato le diverse accordature,
vedi il liuto barocco o la tiorba.
Luciano
Berio ha scritto “la conservazione del passato ha un senso anche
negativo, quanto diventa un modo di dimenticare la musica.
L’ascoltatore ne ricava un’illusione di continuità che gli
permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa
continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla”, che
ruolo può assumere la ricerca storica e musicologica in questo
contesto?
La
conservazione del passato è un modo per dominare la musica. Per un
conservatore è sempre stato così e sempre lo sarà perché è una
questione soggettiva. La stessa cosa comunque vale anche in
letteratura o in teatro- vedi Shakespeare e l'Amleto o la Tragedia
greca, riproposti tutt'oggi in diverse chiavi di lettura- ciò sta a
dire che si fa riferimento al passato perché insegna nel presente e
getta premesse di rielaborazione per il futuro. Quindi il passato
come conservazione va bene, come ricerca è essenziale, come
musicologia lo dice il termine stesso: è pensiero, legame o, per
dirla con Heidegger, logos come conservazione e dunque musicologia è
conservare, raccontare per ascoltare. In ogni caso è un fatto
soggettivo e a una mente aperta farà sempre seguito un
atteggiamento innovativo. Per esempio, esiste una famosa composizione
che è la Fantasia X di Mudarra con risonanze tipiche del XX° secolo
come tanti brani rinascimentali. Ciò vuol dire che la musica è di
per sé ricerca e non esiste una categorizzazione del tempo. Quindi,
pur riconoscendo una verità a Berio, va detto che è una questione
soggettiva che appartiene al proprio vissuto e dunque non vale per
tutto e per tutti.
Ho,
a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica
scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico,
nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il
passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non
può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di
una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?
Si
è vero, è facile mischiare autori di diverse epoche senza prestare
attenzione alla prassi esecutiva, ma questo sta solo nella
responsabilità di un interprete. Bisogna differenziare gli
interpreti come “Interprete e non Interprete” ossia “Artista o
macchina da concorsi” . Un bravo interprete difficilmente partecipa
o vince molti concorsi perche la sua attenzione è rivolta al
fraseggio e alla prassi esecutiva. Una macchina da concorsi non è
interessata a questo, diciamo che suona con il metronomo in testa e
basta.
Quest’anno
sono usciti due tuoi dischi, “Maestri
dell'ottocento chitarristico” e “Koyunbaba” dedicato a un
repertorio più contemporaneo, come sono nati questi due progetti?
Come
vedi la crisi del mercato discografico, con il passaggio dal supporto
digitale al download in mp3 e tutto questo nuovo scenario? A volte ho
la sensazione che la possibilità di scaricare tutto, qualunque cosa
da internet gratis abbia creato una frattura all’interno del
desiderio di musica, una sorta di banalizzazione: insomma dov’è la
spinta per un musicista a incidere un disco che con pochi euro riesci
da solo a registrare e stampare quello che vuoi e chiunque può
farlo? Alla fine diventa quasi un gesto quotidiano che si perde in un
mare di download dove scegliere diventa impossibile … stiamo
entrando in un epoca radicalmente diversa da quella che abbiamo
vissuto finora? Come poter scegliere?
Ti faccio queste domande anche perché ho notato che i tuoi dischi
sono in vendita in formato elettronico su bandcamp … cosa non
usuale per chi si occupa di musica classica…
“Koyunbaba”
è una riedizione di un'incisione per la Sony del 1999 mentre “
Maestri dell'Ottocento” è di quest'anno. Il progetto nasce dal
semplice desiderio di aver voluto approfondire la musica dell'800.
Riguardo
il passaggio al supporto digitale ti dirò... Indubbiamente l'era
digitale ha portato vantaggi rimarchevoli all'arte e alla musica e il
fatto che ci sia possibilità di scegliere e ascoltare ciò che si
vuole non è certo uno svantaggio. Certamente chiunque può incidere
un disco e pubblicizzarlo come venderlo ma, nel mare di download alla
fine, si sceglie solo chi veramente ci piace. Sono favorevole a
questa “libertà” del web poiché credo che chiunque lo desideri
debba avere la possibilità di proporsi. In ogni caso la gente
sceglie se ha le idee chiare e, se non le ha, non saprebbe scegliere
nemmeno senza internet...... ma internet c'è e, alla fine, è uno
strumento importantissimo per promuoversi o pubblicizzarsi ad ogni
livello. Lo fanno le grandi industrie in ogni settore, lo utilizzano
grandi o modesti artisti , insomma addetti ai lavori e non, ed è per
questo che io stesso ho scelto di farlo. I miei dischi li vendo e li
lascio pure scaricare, sta nell'onestà di chi può acquistarli e chi
no, di certo c'è che la musica è un patrimonio che non deve essere
perduto. In definitiva, ben venga il download. Come dicevo, sta
all' individuo non perdersi nella marea di musica a disposizione; in
quanto alla vendita dei dischi penso che, comunque, il vero
ascoltatore e l'appassionato siano sempre predisposti all'acquisto.
Direi che il digitale in fondo è anche una buona carta d'identità
per l'interprete, per promuoversi e anche per fissare un'opera in
modo.... eterno. Nell'era digitale non si possono fare
differenziazioni così nette tra i generi musicali. Tutto sommato non
credo che internet banalizzi in questa direzione, è solo
un'opportunità e va colta.
Ci
consigli cinque dischi per te indispensabili, da avere sempre con
se.. i classici cinque dischi per l‘isola deserta..
Julian
Bream, 20th Century Guitar; Segovia, Granada; GustavLeonhardt,Partite
per violino trascritte per clavicembalo; Hopkinson Smith,Partite per
violino trascritte per liuto barocco; Julian Bream e Peter Pearce,
Britten e Walton.
Quali
sono invece i tuoi cinque spartiti indispensabili?
Le
sei Cello Suite trascritte da Yates, Bagatelle di Walton, Nocturnal
di Britten, Suite compostelana di Mompou, Suite mistica di Asencio.
Il
Blog viene letto anche da giovani neodiplomati e diplomandi, che
consigli si sente di dare a chi, dopo anni di studio, ha deciso di
iniziare la carriera di musicista?
Non
criticare nessun Maestro né musicista o allievo o dilettante, non
prendendo così esempio da coloro che usano la lingua come strumento
piuttosto che la chitarra. Non giudicare mai un'esibizione perché è
un dono che la persona offre agli altri indipendentemente dal
risultato del concerto dato che lo scopo è sempre quello di arrivare
al cuore e suscitare emozioni... in definitiva,come qualcuno ha
detto, dove c'è musica non può esserci nulla di cattivo.
Consiglierei inoltre senz'altro lo studio della filologia ma senza
dimenticare il cuore e l'emozione. Sostanzialmente non crearsi il
problema di essere istintivi e imparare ad improvvisare, senza
nessuna nozione armonica e teorica e, contemporaneamente, rivolgere
l'attenzione alla composizione e all'armonia. In proposito
consiglieri due libri indispensabili: Lydian Concert di Russel e il
Trattato di Armonia di Schönberg. E ascoltare Gustav
Leonhardt.......
Con
chi ti piacerebbe suonare e chi ti piacerebbe suonare? Che musiche
ascolti di solito?
Sicuramente
con un clavicembalista, in particolare “Introduzione Fandango” di
Boccherini nella trascrizione di Julian Bream. Poi direi con John
Mclaughlin e.. con il mio amico Buddy Miles che mi ha lasciato troppo
presto. Ascolto molta musica ma sono piacevolmente calamitato dal
Nocturnal di Britten, Variazioni e fuga sulla follia di Manuel Ponce
e dalle Variazioni Goldberg di Bach trascritte da Eotvos.
Quali
sono i tuoi prossimi progetti? Su cosa stai lavorando?
Oltre
allo studio di interessanti autori dello strumento, lavoro ad un
progetto per strutturare il classico alla storia del rock e, da
qualche tempo sono calamitato dalla direzione d'orchestra, un
progetto che mi stimola molto così come la stesura di una mia
biografia strutturata come racconto, dove ricordare i Maestri e i
colleghi ai quali sono molto legato e che apprezzo. Sarà ricco di
aneddoti e storie. Uscirà per il 2015.
Ultima
domanda, proviamo a voltare verso la musica le tre domande di
J.P.Sartre verso la letteratura: Perché si fa musica? E ancora: qual
è il posto di chi fa musica nella società contemporanea? In quale
misura la musica può contribuire all’evoluzione di questa società?
Ti
direi senz'altro che sono d'accordo con Sartre quando afferma che è
l'uomo a manifestare la realtà poiché è il rivelatore dell'essere
e che
uno dei principali motivi della creazione artistica è “il bisogno
di sentirsi essenziali nei confronti del mondo”. Perciò direi che
l'arte è espressione dello Spirito perché la creatività è
connaturata all'uomo, fare musica o ascoltarla è un bisogno insito
nella dimensione umana. In quanto al ruolo di chi fa musica nella
società contemporanea, partirei dall'ultima domanda. Ecco, dal
momento che la musica come l'arte in genere sono elementi
fondamentali per l'evoluzione e la crescita dell'individuo, la
politica, italiana, ha pensato bene di appropriarsene facendole
diventare strumento di propaganda autocelebrativa con un conseguente
appiattimento. Il ruolo di chi fa musica quindi, non ha più una sua
dialettica ma soggiace ad un sistema che promuove costantemente
l'arte come strumento politico. Forse perché, sostanzialmente,
l'individuo spiritualmente evoluto, che pensa con la propria testa, è
oltre la politica, oltre i conflitti e ha una visione diversa del
mondo. Va da sé che la musica è linguaggio universale e ciò che
appartiene alla sfera delle emozioni, dello Spirito, non può essere
traghettato in nessun'altro “schema”, pena la morte dell'arte.
Insomma,l'arte, come dice Hegel, è verità, mediazione e
conciliazione tra lo spirito e la materia... Forse è per questo che
il ruolo dell'artista è diventato marginale..... rischiamo di creare
troppa sensibilità intorno a noi.