sabato 28 febbraio 2015

Val Bonetti & Cristiano Da Ros "Tales"


A corde incrociate: Elena Càsoli & Flavio Cucchi



A corde incrociate
Elena Càsoli & Flavio Cucchi
Intorno Children Songs di Chick Corea
Stagione Secondo Maggio
Camera del Lavoro di Milano
Auditorium Di Vittorio
Sabato 28 Febbraio 2015 ore 17.30

Programma
Leo Brouwer  Micropiezas / La Espiral Eterna 
Ralph Towner Caminata 
Lennon-McCartney/Leo Brouwer  She’s Leaving Home / The Fool on the Hill / Penny Lane Carlo Boccadoro  Il Libro dei Volti (2014)  Prima esecuzione assoluta   
Chick Corea 12 Children's Songs trascrizione F. Cucchi – C. Corea (1971/1980) Prima esecuzione a Milano 
Conduce Maurizio Franco

venerdì 27 febbraio 2015

Intervista con Val Bonetti di Andrea Aguzzi



Hai un curriculum impressionante a 11 anni hai iniziato a suonare, poi ti sei indirizzato sul jazz e il fingerpicking e non ti sei più fermato, ci racconti un po’ dei tuoi inizi e di come ti sei avvicinato alla chitarra?

Ciò che mi impressiona è che sono passati venticinque anni da quando ho preso in mano la chitarra e una decina almeno da quando ho scelto di farlo come lavoro e dopo tante avventure, delusioni, frustrazioni e qualche soddisfazione ho ancora la stessa passione e curiosità; anzi forse avendo più consapevolezza la passione è pure aumentata!
Da più piccolino studiavo pianoforte e direi malvolentieri, volevo passare al sax ma ho un cugino più grande, un rockettaro che ai tempi mi faceva ascoltare i soli di chitarra di vari gruppi rock e mi diceva: “senti qui! Ma che studi il piano a fare?!”.
Ecco se suono la chitarra è tutta colpa sua!
Ricordo che il mio primo maestro di chitarra classica, mi diede una VHS con un metodo di Jorma Kaukonen per chitarra fingerpicking e un libro di Franco Morone, così mi sono avvicinato alla chiarra acustica. Ho sempre scritto musica sulla chitarra ma la tenevo per me e parallelamente avevo progetti in elettrico, ho davvero suonato tanta musica e con parecchia gente. Il jazz l’ho studiato a Milano alla scuola civica di jazz, conoscere Franco Cerri e studiare con lui è tra le esperienze più belle che mi siano capitate.

Con che chitarre suoni e con quali hai suonato?

In Tales, il nuovo disco, ho utilizzato una acustica Collings OM2H una resofonica National M2 e una classica Alhambra.
Nel disco precedente ho utilizzato invece una Martin 00028 e Una Bourgeois JOMC, che ho entrambe venduto.

Quali sono state e sono le tue principali influenze musicali?

Ascolto principalmente jazz e blues ma in passato ho ascoltato molto rock anni ’70 e anni ‘90; ho una particolare predilezione per ciò che è suonato in acustico quindi anche molta musica tradizionale, etnica, specialmente la musica balcanica avendo la moglie bulgara è un must. E poi alcuni musicisti africani, amo molto la musica del Mali.

Quale significato ha l’improvvisazione nella tua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Sappiamo che l’improvvisazione è nata molti secoli prima del jazz e non tutto il jazz è improvvisato, credo che sia assolutamente una pratica trasversale ai generi, penso sia una scelta che un musicista fa. Anche le modalità, sono del tutto soggettive.
Per quanto mi riguarda mi piace l’idea di suonare libero, riservare sempre degli spazi in cui posso lasciarmi andare, talvolta anche solo una semplice reinterpretazione del tema. Penso che così l’esecuzione ne guadagni in freschezza, magari a scapito di qualche imperfezione, non importa, quello che mi interessa è essere sincero e comunicare qualcosa. E poi c’è il dialogo con i musicisti con cui stai suonando, l’idea di creare qualcosa insieme, al momento, magari su un palco, è troppo affascinante.

La tua tecnica è davvero eccellente, quanto è ancora importante avere una ottima tecnica per un chitarrista o un bassista? Te lo chiedo perché mi viene in mente un aneddoto: negli anni ’70 Robert Fripp, pesantemente contestato da alcuni punk che lo consideravano ormai un dinosauro rispose serafico “chi è più schiavo della tecnica? Chi ne ha troppa o chi non ne ha?

Io ti ringrazio, Fripp non poteva dare una risposta migliore e aggiungo che ciò che lo rende così speciale sono il suono, lo stile unico, nei voicing e nel fraseggio e la ricerca continua. Insomma è un artista che ha fatto di tutto, il punk è roba da dinosauri, altrochè Fripp, lui è avanti ancora adesso!
La tecnica sullo strumento penso sia un mezzo per esprimersi al meglio, poi bisogna avere qualcosa da dire.
Ry Cooder ha una tecnica eccelsa, non ne dà mai troppo sfoggio e fa una musica che trovo eccezionale ci sono invece personaggi che si ostinano a cercare il gesto difficile, la trovata spettacolare, l’accordatura particolare come bastasse solo quella…ma poi alla fine chiudi gli occhi e senti sempre la stessa cosa.

Una domanda un po’ provocatoria sulla musica in generale, non solo quella contemporanea o d’avanguardia. Frank Zappa nella sua autobiografia scrisse: “Se John Cage per esempio dicesse “Ora metterò un microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione”, ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. “Prendere o lasciare, ora Voglio che questa sia musica.” È davvero valida questa affermazione per definire un genere musicale, basta dire questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha ancora senso parlare di “genere musicale”?

Non ho letto la sua autobiografia, interessante Zappa che parla di Cage, due grandissimi.
Comunque sì, ognuno ha il suo linguaggio occorre però presentarsi bene, magari una cravattina e il succo di carota non lo farei troppo liquido, ci metterei anche qualche pezzettino di carota intero in modo che il microfono riesca a captare le variazioni del flusso armonico e poi un casco, consapevole che se lo facessi io dal vivo mi tirerebbero le pietre ma solo perché non ci credo veramente eh!
Penso ci sia musica facilmente catalogabile altra invece è più complicato collocarla in generi e sottogeneri e dargli un nome, preferisco la seconda.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una “globalizzazione” musicale?

Sì c’è questo rischio ma questa è anche l’epoca in cui tutte le informazioni sono a portata di click perciò sta a noi.



Possiamo parlare un attimo della tua produzione discografica? Nel 2010 hai pubblicato “Wait” e nel 2014 è uscito “Tales” con Cristiano Da Ros che mi ha davvero impressionato, come sono nati questi due progetti?

“Wait” potrei definirlo una raccolta: contiene brani scritti anche dieci anni prima della pubblicazione; è stato un po’ come tirare le somme, mettere in ordine gli appunti e mettere insieme il bagaglio di esperienze che avevo alle spalle. Ho suonato di tutto e in quel disco ho cercato di metterlo tutto nella mia chitarra.
“Tales” invece è un punto di partenza, il progetto con Cristiano Da Ros nasce dall’idea di rubare il sound acustico del blues rurale e collocarlo in un contesto musicale diverso, forse più moderno, e aperto ad armonie differenti. Oltre al suono e l’armonia con Cristiano lavoriamo molto sul ruolo dei nostri due strumenti: il duo ci permette di uscire dalle funzioni più convenzionali, e ci porta al dialogo nei momenti di improvvisazione. Cristiano è un eccellente solista, la chitarra suonata con le dita consente di avere una dimensione polifonica e trasversale allo spettro sonoro; spero tanto si colgano nel disco questi aspetti e i cambi di ruolo che vorrebbero conferire varietà di colore e dinamicità ai brani.
La linea di continuità tra questi due album è l’incisione in presa diretta: mi piace l’idea di incidere la performance e di sudare per inseguirla, vorrei che qualcuno ascoltando il CD pensasse “bello sto ascoltando questi due suonare la loro musica”. Entrambi i dischi escono sotto Baraban Records, che rappresenta il mio progetto, o forse è ancora solo un auspicio, di un etichetta indipendente.



So che sei un appassionato del blues rurale, io adoro suonare Mississippi John Hurt e sto cominciando col Reverendo Gary Davis, a chi vanno le tue preferenze? E’ un mondo davvero vasto da esplorare, siano benedette le ristampe dei cd!

Fantastico! Adoro Skip James poi Blind Blake, chitarrista incredibile, Big Bill Broonzy, sound pazzesco, Blind Willie Johnson Bo Carter…ce ne sono tanti. Sì è davvero un bel viaggio e più ci si addentra più si vuol conoscere. Un esperto? Senza dubbio Woody Mann.

Che consigli daresti oggi a un giovane che vorrebbe incidere un suo disco o iniziare una attività di musicista professionista?

Il consiglio che do sempre a me stesso è di essere concreto e avere dei piccoli obiettivi.

Ultima domanda: qualche anno fa , nel corso di una sua intervista con Bill Milkowski per il sup libro “Rockers, Jazzbos & Visionaries” Carlos Santana disse “Some people have talent, some people have vision. And vision is more important then talent, obviously.” Io credo che abbia un grande talento, ma… qual è la tua visione?

Ho una visione: Marzullo si è impossessato di te per questa domanda! Di Santana basta guardare la sua performance di Woodstock per capire lo spessore. Andrea grazie molte per questa intervista, il tuo blog è molto interessante sono proprio contento di esserci, a presto!



giovedì 26 febbraio 2015

ChitArsNova


Rassegna di concerti per chitarra classica 

Mostre di liuteria con prove pubbliche degli strumenti

Dal 21 Marzo al 18 Aprile 2015
Centro di Cultura Villa Brivio - Via Mariani, 4 Nova Milanese

CONCERTS D'HIVER 2015


mercoledì 25 febbraio 2015

Video: Bach Guitar Duo - Pachelbel: Chaconne in F Minor


From the album: Obstinatum (Chaconnes & Passacalles)
Guitarists: Florindo Baldissera and Vittorino Nalato

you can download the album Obstinatum (Chaconnes & Passacalles) on Alchemistica netlabel website:

http://www.alchemistica.net/releases/alfd005.html



Guitars Speak: la chitarra obliqua di Aram Bajakian


Download Podcast
Chitarrista eclettico assolutamente integrato nella scena downtown di New York, Aram Bajakian ha dimostrato di sapersi trovare a suo agio sia tra le musiche di John Zorn, Diana Krall e Lou Reed. Ascoltiamo la sua chitarra su Guitars Speak! 

http://arambajakian.com/

Aram Bajakian is an eclectic guitarist absolutely integrated into the downtown scene in New York, he has proved to be able to find at ease with different kind of music like John Zorn, Diana Krall and Lou Reed. Listen to his guitar on Guitars Speak!

http://radiovocedellasperanza.it/

lunedì 23 febbraio 2015

Guitar's Documentary: The Seventh String, The Life and Tales of Bucky Pizzarelli


A documentary on the life of renowned jazz guitarist Bucky Pizzarelli, from his experience on The Tonight Show to traveling with Benny Goodman.

Made for Unscripted, a summer class taught at the Jacob Burns Media Arts Lab for aspiring student documentary filmmakers.


domenica 22 febbraio 2015

4 INTERMEZZI con Pirata - excerpts by Maurizio Pisati


Two Guitars. Intermezzi in between Bellini's transcriptions.
Guitars Alessandro Blanco, Giuseppe Sinacori, project "Sinfonie d'Opera con...Pirata"

We find a sort of dissonance in the approach of these two words: “pirate” and “intermezzo”.
In fact no pirate would have been happy to be considered an interlude, so the actual nature of this music must be revealed: yes they were firstly meant for the empty spaces between other pieces, to freely navigate the concert, but they gradually also became compositions in their own right, as “encores”, seafaring and piratesque tales of unexplored lands.
In this spirit will then be performed, enjoying paradox and virtuosity, sometimes with a little of humor and always with deep affection for his own instrument, so as to play it straight, upside down, or in any way the invention could have imagined. mp

Vi è un certo sapore dissonante nell’accostamento di “pirata” ed “intermezzo”. In effetti nessun pirata si sarebbe mai accontentato di una parte intermedia, quindi è meglio svelare la vera natura che queste brevi composizioni hanno assunto durante la loro composizione: in principio erano sì pensati per lo spazio vuoto tra un pezzo e l’altro, per percorrere e navigare il concerto separando le musiche che al suo interno si susseguono, ma a poco a poco hanno anche acquistato il sapore di brani a sè, come bis o racconti -marinari e pirateschi appunto- di terre inesplorate.
Con questo spirito andranno quindi eseguiti, con un certo amore per il paradosso e per il virtuosismo, a tratti con un po’ di ironia e sempre con profondo affetto per il proprio strumento, tanto da suonarlo dritto, al rovescio, o in qualsiasi modo l’invenzione possa averlo immaginato.


sabato 21 febbraio 2015

Manuel Mota's video playlist on Blog Chitarra e Dintorni


Manuel Mota (born October 22, 1970) is an experimental jazz and blues guitarist from Lisbon, Portugal. Mota started playing guitar at 15.
In the late 1980s his discovery of experimental music, jazz and all the underground activity of that period inspired him to turn his work public, which happened in 1989. Between 1989 and 1997 he studied and experimented with prepared guitar, mainly acoustic, and focused his work on drone music, influenced by Phill Niblock and La Monte Young. Since then his interests shifted to the development of a personal language for fingerstyle guitar and started working in a regular basis with bassist Margarida Garcia. He collaborated closely with Sei Miguel from 1997 to 2005.
In 1998 he founded Headlights, a record label. Artists whom Mota has played and recorded with include Tetuzi Akiyama, Chris Corsano, Lukas Ligeti, Mattin, Donald Miller (of Borbetomagus), Phill Niblock, Gino Robair, and Ernesto Rodrigues.


venerdì 20 febbraio 2015

Recensione concerto Giuseppe Carrer – 24 gennaio 2015, Rovereto (TN), Sala Filarmonica.


Sono le note della Siciliana e Marcia op. 33 di Fernando Sor che accompagnano l’entrata di Giuseppe Carrer, aprendo il concerto di sabato 24 gennaio presso la Sala Filarmonica di Rovereto (TN). Subito, i densi colori della chitarra originale del liutaio francese René Lacote datata 1841 trasformano il palcoscenico in una finestra sull’ ‘800 francese, dalla quale il pubblico può apprezzare le opere di Fernando Sor, Fernando Ferandiere, e Dionisio Aguado presentate in tutta la loro genuinità originale dall’eleganza del suono di Carrer. Un’eleganza maestosa quella dell’Introduzione del Grand Solo op. 14 di Sor, che risolve nell’energia dell’Allegro, dove la preziosa Lacote risuona di timbri sempre nuovi nei virtuosismi che si susseguono leggeri e delicati, come nel gusto dell’epoca. La prima parte del concerto si conclude poi con le celeberrime Variazioni su un tema di Mozart:  l’aura di mistero introduttiva svela il famoso tema del Flauto Magico nelle variazioni tipicamente chitarristiche di Sor, che adornano la bellezza della linea tematica cantata con grande spontaneità dalla Lacote di Carrer.
La seconda parte del concerto inizia con le sorprese armoniche che si rincorrono in “el Laberinto” di Fernando Ferandiere, tratto da “Arte de tocar la guitarra espanola por musica”, manuale dello stesso autore pubblicato a Madrid nel 1799 e ripreso da Carrer nell’attento studio della trattatistica di area spagnola e francese tra il ‘700 e l’800. Al centro della scena ritornano poi le note di Sor, nella seguente V° Fantasia con Variazioni sul tema di Paisiello “Nel cor più non mi sento” op.16, dove l’autore esplora gli effetti musicali consentiti dalla chitarra dell’epoca giocando sulle variazioni della melodia, che quasi per un gioco di prestigio risultano risuonare nel fluido e spensierato canto della Lacote. Segue poi un cambio di chitarra: l’interprete decide di riservare al “Fandango varié” op. 16 dello spagnolo Dionisio Aguado un altro esemplare sempre del liutaio francese, realizzato nel 1840. La giusta presentazione dell’eccezionale strumento è seguita dalle armonie spagnole del Fandango: intrisi dei colori timbrici del prezioso strumento, l’energia e il carattere dell’interpretazione sembrano trasportare il pubblico nella vicina Spagna raccontata dalle pagine di Aguado. Le atmosfere spagnole vengono dipinte con elegante spontaneità da Carrer, che rende ogni sfumatura delle vivaci tinte iberiche esplorando con maestria l’eccezionale ricchezza timbrica dello strumento. Due bis dall’op. 35 di Fernando Sor concludono il viaggio attraverso il quale il pubblico non ha potuto non lasciarsi trasportare grazie alla spontanea cantabilità, alla leggerezza dei virtuosismi, ai fraseggi e le idee di rara e delicata eleganza di Giuseppe Carrer.

M.A.Schweitzer


giovedì 19 febbraio 2015

Tierkreis (Zodiac) - Stockhausen by Marco Pavin

Tierkreis, by Karlheinz Stockhausen. Marco Pavin, electric guitar. Massimo Pastore, vibraphone. Tiziano Zanotti, electric bass.


mercoledì 18 febbraio 2015

Concorso Internazionale Giovani Musicisti "Diapason d'oro"

Guitars Speak: la chitarra blues di Blind Lemon Jefferson


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Blind Lemon Jefferson, è stato un cantante e chitarrista statunitense di musica blues. Capostipite della scena blues mondiale, fu il primo chitarrista e cantante country blues della scena texana ad incidere una registrazione, nel dicembre 1925. Come indicato dal suo soprannome "blind" ("cieco") era non vedente. Conosciuto anche con il soprannome di "Padre del Texas Blues", fu uno dei bluesman di maggior successo commerciale degli anni '20, e uno tra i più importanti ed influenti della storia.

Blind Lemon Jefferson, was an American bules singer and guitarist. Founder of the blues scene, he was the first country blues guitarist and singer on the Texan scene to be recorded in December 1925. As indicated by his nickname "Blind", he is also known as the "Father of Texas Blues", he was one of the most commercially successful bluesman in the '20s, and one of the most important and influential in blues history.

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venerdì 13 febbraio 2015

10° Concorso internazionale di Musica “Trofeo Città di Greci” 22-29 marzo 2015



10° Concorso internazionale di Musica
“Trofeo Città di Greci”
22-29 marzo 2015

10° Concorso internazionale di Musica “Trofeo Città di Greci”, organizzato dall’Associazione Musicale “Art Muzikor”, in programma a Greci (AV), dal 22 al 29 marzo 2015.
La scadenza delle iscrizioni è fissata al 14 Marzo 2015.
Il Concerto e la premiazione dei vincitori avrà luogo domenica 29 Marzo 2015, alle ore 19:00.
Il Regolamento del concorso, le date per ciascuna Sezione e la domanda d’iscrizione sono reperibili sul sito: WWW.TROFEOCITTADIGRECI.COM



-           For the information in English, German and Russian language please contact M° Anna Radchenko
email: anna.s.radchenko@gmail.com; Tel.: 0049 157 75364656
-           For information musical character in Italian and English language please contact M° Angelo Baranello
email: angelo.baranello@tin.it; Tel.: 0039 333 4223159
-           For questions and information about the organization visit the website www.trofeocittadigreci.com
or contact Mr. Vincenzo Norcia Tel.: 0039 331 6783390;

mercoledì 11 febbraio 2015

Guitars Speak: la chitarra jazz di Jim Hal


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Muore nel sonno la mattina del 10 dicembre 2013 all'età di 83 anni il grande Jim Hall. Hall è stato uno dei grandi maestri della chitarra jazz, virtuoso elegante ma mai eccessivo, espressivo senza mai essere inutilmente mieloso, uno dei più seguiti e apprezzati strumentisti jazz. Rendiamo giustamente omaggio al suo grande talento con una puntata a lui interamente dedicata.

He died in his sleep on the morning of December 10, 2013 at the age of 83 years, the great Jim Hall. Hall was one of the great masters of jazz guitar, an elegant but never excessive virtuoso, expressive without being unnecessarily honeyed, one of the most popular and appreciated jazz instrumentalists. We rightly tribute to his great talent with an episode devoted entirely to him.

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lunedì 9 febbraio 2015

Intervista al Maestro Mauro Storti di Andrea Aguzzi



Quando ha iniziato a suonare la chitarra e perché? Che studi ha fatto e qual è il suo background musicale? Con che chitarre suona e con quali ha suonato?

E’ curioso che uno dei primissimi ricordi della mia infanzia sia legato ad un’immagine che ho ancora vivissima nella memoria: io bimbetto in piedi in un lettino e davanti a me mio padre che, sostenendo per il manico una chitarra, ne sollecita le sei corde suscitando in me un’indescrivibile emozione nel vederle vibrare in un sorprendente tripudio sonoro.
Mio padre non suonava la chitarra ma era sempre stato un appassionato frequentatore di compagnie di “musicanti” modenesi (fra i quali il padre del grande Luciano Pavarotti) e indubbiamente quella chitarra era entrata in casa nostra solo per il gusto di possederla e di poterla semplicemente toccare!
Una dozzina di anni dopo il caso volle (o forse ancora mio padre) che in occasione della Cresima del mio più giovane fratello gli venisse regalata una modestissima chitarra della quale però egli non sapeva che fare, e fu così che, caduta in mio possesso, ebbe inizio la mia avventura chitarristica.

Quali sono state e sono le sue principali influenze musicali?

In quel momento io venivo da una vita trascorsa per cinque anni in un collegio dove avevo imparato a leggere la musica cantando in coro dal gregoriano a Palestrina, da Hëndel a Perosi, da Mascagni a Verdi. Per contro mia madre, una Piccinini di Nonantola, cantava in maniera deliziosa le canzoni popolari in voga a quel tempo, mentre l’altro mio fratello maggiore che suonava magnificamente fin da giovane la fisarmonica, si avviava a farne la sua principale attività professionale.
Tra il mio gusto per la musica classica e il gusto per la musica leggera di mio fratello non ho mai avvertito alcun conflitto fino al momento in cui, scoperta quasi per caso alla radio la chitarra classica, non so se fosse Andrés Segovia, Ida Presti o Luise Walker ho lasciato da parte la chitarra “popolare” per andare alla ricerca di un metodo per suonare classico.

Con che chitarre suona e con quali ha suonato?

Come ho già detto, la prima chitarra era una povera cosa, piccola e con le corde di acciaio; si era nel’52 e delle corde di nylon, inventate solo da un paio di anni, non si sapeva nulla. Un deciso salto di qualità, visto l’infimo grado di partenza, avvenne con l’acquisto di un nuovo strumento armato di corde di nylon dei F.lli Masetti, liutai a Modena, che mi fu compagno per alcuni anni anche in occasione delle prime esibizioni alla radio. I passaggi successivi si chiamarono Enrico Piretti, Carlo Raspagni e infine, su consiglio di Alirio Diaz, Armando Giulietti al quale sono rimasto sempre fedele.

Quale significato ha l'improvvisazione nella sua ricerca musicale? Si può tornare a parlare di improvvisazione in un repertorio così codificato come quello classico o bisogna per forza uscirne e rivolgersi ad altri repertori, jazz, contemporanea, etc?

Penso che l’improvvisare sul repertorio classico prima che impossibile sia inutile. Fra i miei migliori allievi ne ho avuto uno, purtroppo scomparso prematuramente, di nome Daniele Russo che aveva una straordinaria abilità di improvvisatore (ne fa fede una video-cassetta che ho ancora in mio possesso). Si poteva sentirlo suonare un falso rinascomentale, barocco, classico o moderno e ritenersi convinti di ascoltare musica originale di Francesco Da Milano, di Bach, di Giuliani, di Ponce o di Villa-Lobos.
Ma una volta apprezzato lo straordinario gioco inventivo, si doveva riconoscere che non poteva derivare alcun vantaggio dall’ascolto di una musica falsa potendo suonare quella autentica. Ciò che può fare l’esecutore di musica classica è scavare in maniera sempre più approfondita nel significato profondo di una pagina musicale e nella ricerca dei mezzi più efficaci per esprimerne e comunicarne il contenuto.
Vincoli simili non esistono per altri tipi di repertorio, spesso nati proprio da processi
improvvisativi perfettamente adeguati a nuove e diverse caratteristiche di nuovi strumenti.

Come è nata la sua attività di didatta dello strumento? Quanto è ancora importante avere una ottima tecnica per un chitarrista? Glielo chiedo perché mi viene in mente un aneddoto: negli anni '70 Robert Fripp, pesantemente contestato da alcuni punk che lo consideravano ormai un dinosauro rispose serafico "chi è più schiavo della tecnica? Chi ne ha troppa o chi non ne ha?"

Sono partito da un doppio versante: da un canto la constatazione che i metodi che impiegavo per il mio studio, pur generalmente ritenuti ottimi, non davano risultati proporzionali al mio impegno e al dispendio di tempo. D’altro canto, la prova che i metodi elementari utilizzati nell’insegnamento presso la Scuola Musicale di Milano, in particolare il Carulli e il Sagreras, non riscuotevano alcun successo: dei 12 allievi iscritti al mio primo anno di lezioni, ben 8 non si iscrissero al secondo!
Fu allora, nel 1966 che gettati alle ortiche i soliti metodi, iniziai a progettare le prime pagine di un mio metodo personale che crebbe gradualmente negli anni mostrando di dare buoni frutti tanto per me che per i miei allievi.
Occorrerebbe molto tempo per spiegare le ragioni che stanno alla base delle direttive lungo le quali prese avvio lo sviluppo del nuovo iter didattico, ma alla base sta il gap tecnico-strutturale venutosi a creare tra la produzione musicale dei compositori chitarristi dell’Ottocento e quella dei compositori NON chitarristi del Novecento. A rivelare tale gap furono due straordinarie figure di chitarristi di estrazione tarreghiana: Miguel Llobet e Andrés Segovia, tanto ammirati quali sublimi artisti quanto incompresi quali innovatori della tecnica strumentale. Oggi più che mai per un chitarrista è di fondamentale importanza avere un’ottima tecnica ma c’è sempre il rischio incombente che molti non abbiano di mira che il fine di farne sfoggio, talvolta a grave discapito della qualità artistica.

Una domanda un po' provocatoria sulla musica in generale, non solo quella contemporanea o d'avanguardia, Frank Zappa nella sua autobiografia scrisse: "Se John Cage per esempio dicesse "Ora metterò un microfono a contatto sulla gola, poi berrò succo di carota e questa sarà la mia composizione", ecco che i suoi gargarismi verrebbero qualificati come una SUA COMPOSIZIONE, perché ha applicato una cornice, dichiarandola come tale. "Prendere o lasciare, ora Voglio che questa sia musica." È davvero valida questa affermazione per definire un genere musicale, basta dire questa è musica classica, questa è contemporanea ed è fatta? Ha ancora senso parlare di "genere musicale"?

Basterebbe chiedersi se i gargarismi di John Cage possono interessare qualcuno fino al punto di pagare per ascoltarli dal vivo o per comperarne una registrazione. Tuttavia anche il rumore di un gargarismo può essere utile per sonorizzare un’azione scenica, ma allora di fronte ad un evento sonoro si dovrebbe distinguere tra una semplice sonorizzazione o “musique d’ameublement” (come la definisce Honegger) e la vera e propria musica quando con il suo semplice fluire riesce a generare forti emozioni in chi la ascolta.

Berlioz disse che comporre per chitarra classica era difficile perché per farlo bisognava essere innanzitutto chitarristi, questa frase è stata spesso usata come una giustificazione per l'esiguità del repertorio di chitarra classica rispetto ad altri strumenti come il pianoforte e il violino. Allo stesso tempo è stata sempre più "messa in crisi" dal crescente interesse che la chitarra (vuoi classica, acustica, elettrica, midi) riscuote nella 'musica contemporanea, per non parlare del successo nella musica leggera, dove chitarra elettrica è ormai sinonimo di rock ... in quanto musicista polivalente e trasversale... quanto ritiene che ci sia di veritiero ancora nella frase di Berlioz?

Per sfatare l’idea che il repertorio della chitarra classica sia esiguo basta confrontarla con quella della viola o dell’arpa, ma quanto alla frase di Berlioz penso che sia ancor più veritiera per il cosiddetto compositore “classico contemporaneo” (qualifica impropria adottata da Maurizio Colonna) perché, a meno di limitarsi a produrre solo rumori, la musica da suonare, sia essa in stile antico, classico o contemporaneo, richiede di collocare entro i tasti del manico le quattro dita di una mano delle cui dimensioni, rimaste invariate nel tempo, egli è fatalmente costretto a tenere conto al momento di combinare i suoni.

Luciano Berio ha scritto "la conservazione del passato ha un senso anche negativo, quando diventa un modo di dimenticare la musica. L'ascoltatore ne ricava un'illusione di continuità che gli permette di selezionare quanto pare confermare quella stessa continuità e di censurare tutto quanto pare disturbarla", che ruolo può assumere la ricerca storica e musicologica in questo contesto?

Non saprei rispondere meglio che citando le esatte parole della musicologa francese Gisèle Brelet:”Rispettare l’opera musicale di un’epoca antica non vuol dire imprigionarla in un passato morto come vorrebbe chi ritenga che non possa vivere altrimenti che nel proprio habitat. Le opere belle rivelano un dualismo per il quale sembrano dotate di una esistenza ideale permanente che nell’esecuzione si può realizzare in maniera variabile; esse si sostengono per il loro valore intrinseco, indipendentemente dallo strumento sul quale vengono eseguite”. Intesa in tal senso, una ricerca musicologica che senza sopravvalutare i testi scritti sappia confrontarli con il reale contenuto spirituale da trasmettere, può indubbiamente contribuire ad arricchire il repertorio chitarristico.

Ho, a volte, la sensazione che nella nostra epoca la storia della musica scorra senza un particolare interesse per il suo decorso cronologico, nella nostra discoteca-biblioteca musicale il prima e il dopo, il passato e il futuro diventano elementi intercambiabili, questo non può comportare il rischio per un interprete e per un compositore di una visione uniforme? Di una "globalizzazione" musicale?

Purtroppo tale rischio esiste e si può toccare, se non con le mani con le orecchie, quando un pur ottimo strumentista non presta più attenzione al peculiare carattere di ciascuno dei diversi brani che compongono il suo récital, infischiandosi bellamente di dati storici, formali, estetici e di ogni prassi esecutiva. Il motto sembra essere:” basta fare le note giuste”, e ho l’impressione che soprattutto gli esecutori particolarmente interessati alla musica contemporanea tendano ad assumere tale posizione superficiale che si traduce in un totale appiattimento sonoro delle loro esecuzioni.



Possiamo parlare un attimo della ristampa avvenuta qualche anno fa della sua produzione discografica? I suoi dischi in vinile furono stampati nel 1970 e nel 1974, il primo addirittura registrato in un'unica sessione come in un concerto, che ricordi ha di quelle registrazioni? Ci può raccontare qualche aneddoto? Come è nata l'idea di ristampare i suoi dischi di vinile in cd?

Devo premettere che conscio dei miei limiti, dovuti anche al mio lungo e accidentato percorso di apprendistato, non ho mai preso in considerazione l’idea di intraprendere una carriera concertistica ma, completamente volto ai problemi dell’apprendimento e della didattica, ho ritenuto indispensabile passare dalla mia personale sperimentazione alla verifica effettiva dei risultati scaturiti dai miei studi, verifica il cui valore non avrebbe potuto venire confermato che dall’esecuzione in pubblico di un repertorio qualificante. Passato il periodo nel quale potevo dare concretamente prova delle mie performances, mi è parso utile riesumare le incisioni discografiche degli anni ’70 quale testimonianza storica a sostegno della metodologia esposta nelle mie numerose pubblicazioni didattiche. In altri termini, mi premeva che le mie idee non rimanessero solo parole prive di reale valore pratico. La prima incisione fu fatta in presa diretta con l’impiego di un semplice registratore Grundig mentre la seconda fu realizzata in uno studio professionale dietro richiesta di un produttore che aveva visto il mio nome in una locandina esposta alle Messaggerie Musicali di Milano relativa ad una stagione concertistica del Comune di Sesto San Giovanni.



Con che chitarre vennero eseguite queste musiche? Devo ammettere di essere rimasto colpito dalla qualità di incisione di questo cd, il Maestro Marco Taio ha fatto un lavoro davvero eccellente ... mi sembra che anche lui sia un suo allievo vero?

Lo strumento impiegato per entrambe le incisioni è la Giulietti del 1962 di cui ho già parlato e che ancora oggi conservo in ottimo stato, insieme ad un secondo strumento che egli volle costruirmi, quasi perfettamente identico al primo, nel 1972 quando, profilandosi il rischio di un distacco del ponticello, avrei potuto correre il rischio di dovere interrompere l’attività concertistica. Marco Taio ha fatto un lavoro da vero professionista, dando prova del livello sempre eccezionale delle sue prestazioni, tanto come chitarrista che come tecnico del suono.

Come era la situazione per quando riguarda la chitarra classica in quel periodo? Immagino fossero anni difficili .... Anni di pionieri ...

Anni difficili e da pionieri furono quelli tra il ’50 e il ’60, quando non esistevano ancora i registratori e le fotocopie! I rari 78 giri andavano a ruba e si copiavano a mano decine di pagine di Sor, di Tárrega e di Barrios. Negli anni ’70 si era ormai avviato un vivace movimento di rinascita da attribuirsi in gran parte alla diffusione discografica e radiofonica di pezzi entrati poi nella mitologia come Giochi Proibiti e Recuerdos de la Alhambra e alla conseguente possibilità di assistere a concerti di artisti che, anche se non prestigiosi come Segovia che compariva solo a cadenza decennale, si chiamavano Yepes, Williams, Bream e, soprattutto, Alirio Diaz.

In generale come era la situazione musicale? Voglio dire .. oggi siamo abituati alla possibilità di poter ascoltare e acquistare praticamente tutto ma all'epoca .. senza internet .. come facevate a mantenere i rapporti, a trovare gli spartiti, a incentivare la musica per chitarra classica?

Ci si poteva conoscere più facilmente se si abitava in una grande città in occasione dei concerti di chitarra o dei saggi pubblici delle scuole di musica. C’erano un paio di riviste che recavano notizie spicciole, articoli sulla didattica, recensioni di concerti, pubblicità editoriali e liutarie, bandi di concorsi e di convegni, ecc. E c’erano diverse associazioni chitarristiche sparse un po’ ovunque ma avulse dal grande mondo musicale.

Cosa le sembra sia cambiato, in meglio o in peggio, rispetto a quel periodo storico?

A quel tempo con i primi arpeggi di Giuliani e di Carulli il chitarrista veniva introdotto gradualmente e felicemente ai misteri della musica classica arrivando col tempo ad apprezzare dapprima le pagine del limpido classicismo di Sor e Carcassi per poi addentrarsi sempre più, attraverso Tárrega, Mozzani nel più complesso linguaggio bachiano e novecentesco di un Ponce, di un Villa Lobos e di un Castelnuovo-Tedesco. Si trattava di un entusiasmante cammino di conquista culturale che senza la chitarra non sarebbe forse mai stato possibile.
Oggi il solidissimo e appassionato legame che teneva unito il piccolo mondo della chitarra si è allentato: ormai tutto è a portata di mano per tutti ma purtroppo sono venuti meno la voglia e il piacere della conquista faticosa. Ovviamente esistono le debite eccezioni il cui numero è però di gran lunga inferiore a quello imponente di giovani e ragazzi velleitari e svagati, disorientati anche dal richiamo di tante diverse chitarre.

Che consigli darebbe oggi a un giovane neodiplomato che volesse incidere un suo disco? E' ancora così importante poter uscire con un lavoro discografico?


Oggi è molto facile produrre un disco anche con mezzi estremamente sofisticati ma dubito che possa essere di grande utilità ai fini della notorietà se non si dispone di un importante apparato pubblicitario e distributivo che possano farsene carico.